| Italia-Stati Uniti: storia di un alleanza 
              scomoda di Pino Bongiorno
 
 La politica estera statunitense dopo la seconda guerra mondiale ha 
              dovuto da subito fare i conti con l'interdipendenza, cioè con la 
              consapevolezza che bisognava tenere sempre a mente la "lezione di 
              Monaco", quando le superpotenze europee si erano illuse di poter 
              barattare la loro sicurezza con cedimenti controllati 
              all'espansionismo hitleriano. Questa consapevolezza sarà 
              addirittura formalizzata, qualche anno più tardi, e definita 
              "teoria del domino" o del bandwagon, per spiegare che una 
              sconfitta o una ritirata in un'area del mondo o su un particolare 
              problema avrebbe sicuramente ingenerato una reazione a catena, un 
              allargamento a macchia d'olio del conflitto internazionale. Alla 
              luce di questo assunto anche i rapporti con l'Italia diventano 
              importanti. Ma la giovane Repubblica italiana, come sottolinea lo 
              storico Mario Del Pero, ha fondato le sue sorti, dentro e fuori i 
              confini nazionali, su due diversi principi di legittimità, che 
              tenere insieme è impresa che solo le alchimie democristiane 
              renderanno possibile: all'interno, infatti, è l'antifascismo che 
              permette il compromesso costituzionale; mentre, a livello 
              internazionale, la partecipazione all'Alleanza atlantica obbliga 
              all'anticomunismo.
 
 Negli Usa questa anomalia italiana è presa molto sul serio. Prima 
              delle famose elezioni del '48, George Kennan, capo del Policy 
              Planning Staff del Dipartimento di Stato, preoccupato dalle 
              analisi dell'ambasciata americana a Roma e convinto che il 
              Cremlino sia intenzionato a indebolire il fronte occidentale, 
              scrive una lettera al segretario di Stato, George Marshall, in cui 
              chiede, prima che sia troppo tardi, che il Pci sia messo fuori 
              legge anche a costo di scatenare una guerra civile, comunque da 
              preferirsi alla conquista legale del potere da parte del partito 
              guidato da Togliatti. Successivamente, lo stesso Kennan si oppone 
              in tutti i modi possibili all'ingresso del nostro paese 
              nell'Alleanza atlantica, temendo che il virus comunista, di cui 
              l'Italia è portatore più o meno sano, infetti la communitas 
              occidentale. Le posizioni radicali di Kennan non hanno seguito 
              nell'establishment statunitense, che tuttavia, dopo l'aprile 1949, 
              esige dal governo italiano una maggiore azione anticomunista, resa 
              ancora più urgente dall'inasprimento delle tensioni 
              internazionali, che raggiungono un picco proprio nel 1949-'50 con 
              la vittoria comunista in Cina, l'esplosione della prima bomba 
              nucleare in Urss e lo scoppio del conflitto coreano.
 
 A tali pressioni De Gasperi risponde con la strategia del 
              containment (contenimento), ossia con un atteggiamento accorto che 
              lo porta a trattare, dilazionare e anche a rifiutare, a seconda 
              dei casi. Il "matrimonio d'interesse" spinge Stati Uniti e Dc alla 
              convivenza coatta, nonostante l'esuberanza del primo, convinto che 
              l'Italia si sarebbe salvata dai comunisti e occidentalizzata 
              soltanto se fosse stata capace di trasformare la sua struttura 
              socio-economica e di ripensare i suoi comportamenti politici, e la 
              ritrosia della seconda, preoccupata che i precari equilibri 
              politici che tenevano in piede il paese potessero venire meno e 
              quindi impegnata soprattutto a minimizzare, mediare, imbonire. "De 
              Gasperi era sicuramente consapevole - scrive Del Pero - che il 
              mantenimento della situazione post-aprile 1948 garantiva alla 
              Democrazia cristiana uno straordinario potere di condizionamento 
              nei confronti degli Usa; nei rapporti tra Stati Uniti e Dc 
              emergeva infatti uno dei paradossi tipici di qualsiasi alleanza 
              eccessivamente asimmetrica, ove il partner più debole, lo 
              Stato-cliente, riesce a sfruttare questa debolezza per imporre le 
              proprie esigenze a quello più forte, lo Stato-patrono". La 
              mancanza di alternative e la priorità dell'azione anticomunista 
              trasformarono rapidamente la Dc nell'interlocutore privilegiato 
              degli Usa. L'ambasciatrice americana in Italia, Claire Boothe 
              Luce, denunciò questo stato di cose, sottolineando come un "forte 
              governo anticomunista" fosse "impossibile in una situazione in cui 
              il mantenimento della minaccia comunista" era "l'unica cosa a 
              disposizione dei politici anticomunisti per ottenere ampie somme 
              di denaro di cui essi non sono tenuti a rendere conto in 
              pubblico". Il mantenimento dello status quo, e quindi di una 
              presenza comunista che bloccava il sistema politico garantendo la 
              perpetuazione della leadership democristiana, ha costituito una 
              rendita di capitale su cui la Dc ha costruito le sue fortune.
 
 21 giugno 2002
 
 Mario Del Pero, L'alleato scomodo. Gli Usa e la Dc negli anni del 
              centrismo (1948-1955), Carocci, Roma, 2001, pp. 322, € 23,20.
 
 
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