| Anna Sogno: ritratto di signora di Renato Tubére
 
 Un itinerario ricco d'immagini, divise equamente fra la nostalgia 
              per l'uomo della propria vita che non c'è più e la consapevolezza 
              di aver rappresentato con il suo talento di pittrice un angolo 
              remoto dell'Indocina, il Myanmar, ed il luogo simbolo della Torino 
              sociale, l'Ospedale Cottolengo. 
              
              Anna Sogno, vedova del celebre 
              Edgardo, è donna dal sorriso eternamente stampato sul volto e 
              dallo sguardo sognante. La sua grande passione per la pittura, 
              ereditata dal bisnonno milanese, uno dei fondatori del movimento 
              della Scapigliatura, le è stata d'aiuto nel riprodurre i luoghi 
              visitati al seguito del suo amato Eddie, ambasciatore della patria 
              servita con orgoglio e sprezzo del pericolo fin dai tempi della 
              Resistenza al nazifascismo. I quadri della casa torinese di via 
              Donati ripropongono tanti paesaggi e ritratti della Birmania, oggi 
              ribattezzata da uno dei regimi più crudeli ed assolutisti al mondo 
              Myanmar, dove i due coniugi videro dal 1967 al 1971 la 
              sconvolgente miseria della popolazione locale, vessata da una 
              classe dirigente avida e corrotta. Eppure questa terra, 
              magnificata già alla fine del XIX secolo da Kipling come "diversa 
              da ogni altra terra che io possa aver conosciuto", evoca in Anna 
              lo splendore incancellabile dalla sua memoria della valle dei 
              templi di Bagan e della cupola dorata di Shwedagon Paya a Yangon, 
              insieme ai volti affilati dalla carestia ma eternamente illuminati 
              dal sorriso di molti bimbi.
 
 "Quante volte Eddie" racconta la vedova Sogno "dovette sottrarre 
              da morte certa interi nuclei familiari, condannati da quel regime 
              dittatoriale ad essere sepolti vivi in cavità nascoste nelle 
              foreste quasi inaccessibili a noi occidentali!". Via da Rangoon e 
              da questa difficile missione diplomatica, giunsero poi i turbinosi 
              anni Novanta: tutti conosciamo il calvario sopportato con fierezza 
              da Edgardo Sogno e molti di noi, a posteriori, ne celebrano adesso 
              l'insostituibile orgoglio di patriota, messo duramente alla prova 
              dalla protervia dei suoi nemici ideologici. Anna reagì a suo modo: 
              mentre la vicenda politica ed umana del marito occupava le prime 
              pagine dei quotidiani nazionali, bussò alla porta del Cottolengo. 
              Il desiderio di rendersi utile lì, dipingendo nel contempo i mille 
              volti dell'universo sconosciuto e qui ospitato da quasi duecento 
              anni, la spinse ad entrare per un reportage in occasione del 
              Giubileo 2000. Fu una sorpresa assoluta: mai si sarebbe aspettata 
              una simile atmosfera di pace, di operosità e di felice complicità 
              fra gli sfortunati ospiti e l'esercito di religiosi e laici dedito 
              al loro sostentamento.
 
 Ecco che nei suoi bellissimi dipinti Anna colse magistralmente i 
              vari aspetti del vivere quotidiano; suorine intente a cucinare o a 
              rassettare le stanze dei malati suggeriscono il ricordo delle ore 
              passate lì ad osservare e ad osservarsi. Anna Sogno racconta di 
              aver imparato per la prima volta in vita sua cosa fosse il 
              disagio, la diversità presunta fra esseri umani le parve 
              scomparire di fronte alla solidarietà genuina fra gli ospiti, 
              quasi tutti condannati a vita a restare confinati al Cottolengo, e 
              le persone cosiddette normali al loro fianco. "Quanti scherzi ho 
              visto fare gli uni agli altri: come se fossi tornata all'asilo!" 
              ride divertita al pensiero e intanto confessa il suo legame 
              affettivo soprattutto verso un personaggio, dipinto con grande 
              maestria. "Stavo nelle cucine intenta a creare un bozzetto e, 
              mentre parlavo con una suora, mi sentii toccare una spalla: era 
              Monsu Luis, noto a tutti per la sua gentilezza inframezzata a 
              vuoti improvvisi di mente, che voleva assolutamente parlarmi da 
              solo. L'amica religiosa strizzò un occhio, finse di dover uscire 
              per una commissione e ci lasciò soli: nessuno di noi aveva mai 
              visto prima l'altro, ma per una buona mezzora credo di aver 
              ascoltato un uomo dolce e fiero di sé, quasi fosse il sosia di mio 
              marito. A distanza di anni la sua immagine sintetizza a meraviglia 
              la mia esperienza dietro quelle mura!".
 
 21 giugno 2002
 
 renatotubere@email.it
   |