| Narrativa. Storie di uomini senza qualità di Carlo Roma
 
 Michel Maudet è un giovane di provincia spiantato pronto a tutto 
              pur di aprirsi una strada nel bel mondo. Accecato dal desiderio di 
              emergere ed imporsi, non esita a calpestare chi può ostacolare la 
              sua ascesa. Si fa via via sempre più cinico e lucido, calcolatore 
              ed astuto. Inseguendo il suo disegno di emancipazione da una 
              misera condizione sociale si mostra disposto a rinunciare ad una 
              vita tranquilla senza affanni e grandi aspettative al fianco della 
              moglie, la semplice e mite Lina, sposata da appena qualche mese. 
              Insegue con avida tenacia i suoi sogni e non si tira indietro di 
              fronte a nessun tipo di ostacolo che possa limitarli o, peggio 
              ancora, pregiudicarli. Davanti a sé immagina di avere un futuro 
              ricco di possibilità e speranze da cui trarre vantaggi e 
              notorietà. Davanti a sé, soprattutto, si staglia la figura 
              imponente e minacciosa di Dieudonné Ferchaux. Oramai anziano, ma 
              ancora capace di intimorire, Dieudonné è un uomo ricco e 
              controverso. Deve la sua fama ad una lunga attività in Africa 
              grazie alla quale, insieme al fratello Émile, ha costituito un 
              enorme impero finanziario. Partiti come clandestini dal porto di 
              Bordeaux i due erano approdati sulle sponde del Congo belga 
              poveri, privi di risorse e a caccia di fortuna. Cominciarono, dopo 
              alcune traversie, ad intessere la loro rete: rientravano di tanto 
              in tanto in Francia, chiedevano in prestito ingenti somme e le 
              reinvestivano nel commercio di caucciù, di semi di palma e di 
              ricino. “Diudonné Ferchaux ebbe a dire un giorno: l’essenziale era 
              arrivare da qualche parte per primi. Arrivare, insediarsi, 
              diventare i padroni”.
 
 I fratelli Ferchaux vincono la loro scommessa. In effetti, 
              arrivano per primi: alla fine della Grande guerra il loro potere 
              sembra non avere più confini, ora possono andare a braccetto con 
              le élite di Francia. Ecco gli uomini con i quali Michel Maudet 
              spera di poter collaborare proficuamente. La tanto attesa 
              occasione della vita gli si presenta, dunque, in un fumoso caffè 
              di Parigi di fronte ad un buon calvados, in un’atmosfera di 
              pioggia e vento. Michel è seduto al tavolo mentre entra un ospite 
              saltuario, Buchet, un uomo di primo pelo che dà l’impressione di 
              avere conoscenze dovunque. “A proposito... - esordisce il nuovo 
              arrivato - Conosci qualcuno che cerca un posto di segretario ? Me 
              ne ha parlato un tizio, poco fa... Pare che il posto sia buono: si 
              viaggia molto, forse anche in Africa” All’insistenza del suo 
              interlocutore, Buchet risponde sorpreso, cercando fra i suoi tanti 
              biglietti da visita: “Aspetta.... No, non è questo... Ah ecco! 
              L’ho scritto qui... E’ un certo signor Dieudonné. E’ uno che ha 
              diversi castelli, navi e chissà cos’altro” Inizia così l’avventura 
              di Michel Maudet. Ma, in realtà, comincia con una delusione 
              cocente. Il suo padrone è stanco, paga poco e si nasconde dietro 
              un’identità fittizia. Nulla di più lontano e di diverso da quanto 
              Michel poteva attendersi da un uomo le cui proprietà avevano fatto 
              risvegliare l’invidia di tanti. In fuga da un’oscura pendenza 
              giudiziaria che rischia di prosciugargli l’intero patrimonio, il 
              vecchio trascina la sua rumorosa gamba di legno da una stanza 
              all’altra di una casa spoglia, adagiata sulla costa occidentale 
              francese davanti all’Oceano, che gli serve da rifugio. Pronto a 
              scappare da un momento all’altro, si batte come un leone ferito 
              contro i suoi maligni accusatori i quali, forti di una vecchia 
              vicenda di sangue rispolverata proprio per incriminarlo, lo 
              vogliono in galera.
 
 Ciò che interessa Georges Simenon in “Il primogenito dei Ferchaux” 
              non è il terribile declino umano prima ancora che economico dei 
              Ferchaux. Alla vicenda, salita alla ribalta a metà degli anni 
              Trenta, l’autore dedica una nota introduttiva (prassi narrativa 
              che adotterà solo in poche altre circostanze) con la quale 
              richiama gli eventi essenziali di un affaire che all’epoca fece 
              davvero molto scalpore. Simonon, come di consueto, è incuriosito 
              dalla parabola spirituale dei due protagonisti che mette a 
              confronto. Il primo, Dieudonné, oramai consumato ed offeso dalla 
              vita, si rispecchia nella freschezza e nella forza del suo 
              segretario al quale è disposto ad offrire quanto ancora gli resta 
              del suo ingente patrimonio. Michel, viceversa, non sa e non vuole 
              attendere il suo momento: l’ansia di realizzare i suoi desideri di 
              gloria, infatti, lo spinge ad un gesto estremo tanto razionale 
              quanto sanguinario. Gesto con cui si chiude un romanzo teso ed 
              incisivo che scende nella profondità dell’anima di uomini piccoli 
              ed insignificanti fino a svelarne gli istinti più animaleschi.
 
 29 ottobre 2002
 
 crlrm72@hotmail.com
  
              
              Georges Simenon, Il primogenito dei 
              Ferchaux, Adelphi, pp. 363, € 16 |