| I vini del Franco bevitore. Barbera, 
              passioni d'inverno di Franco Ziliani
 
 Quando arriva l'autunno, con le foschie che annunciano le prime 
              nebbie ed il freddo, sono regolarmente preso dalla voglia di bere 
              Barbera. Lo bevo perché mi piace, perché come ha scritto 
              perfettamente il mio amico e collega Andreas März, "il Barbera è 
              un vino meraviglioso. Il suo frutto, il suo corpo, la sua acidità 
              vigorosa lo rendono un ideale accompagnatore della buona tavola", 
              oppure, come ha sottolineato, con parole che condivido alla 
              lettera, Wilma Zanaglio su WineReport: "Il 
              suo concreto e solido carattere, capace sia di complessità che 
              d'inesauribile predisposizione alla beva e propensione alla convivialità mi affascina, la sua ruvida e schietta acidità, 
              integrata dalla morbidezza terrosa e contadina del frutto, la pone 
              sempre in cima alle mie scelte a tavola e mi porta spesso nuove 
              sorprese, anche in caso di abbinamenti audaci". I problemi però, 
              per me e per ogni vero appassionato del più piemontese dei 
              vitigni, (esistono anche buoni Barbera in Oltrepò Pavese, ma la 
              Barbera fa solo rima con Piemonte), diventano davvero tosti ed 
              intricati quando nel mare magnum dei vini che oggi portano in 
              etichetta la dizione Barbera (d'Alba, d'Asti o del Monferrato, 
              poco importa), si debbano distinguere, con un'operazione simile 
              alla separazione del grano dal loglio, i Barbera autentici da 
              quelli, invece, che sono letteralmente partiti per la tangente e 
              con un'idea tradizionale del Barbera mantengono legami 
              sottilissimi e davvero difficili da avvistare.
 
 Parlo dei Barbera destinati agli "amanti del genuino carattere 
              legnoso", vini che raccontano di "coraggiosi investimenti 
              nell'economia forestale francese", che confermano in pieno la 
              convinzione secondo la quale "nessun altro tipo di vino italiano 
              riesce ad esaltare le caratteristiche organolettiche della 
              barrique in maniera più pura ed autentica del Barbera. E' proprio 
              merito di questa varietà, se le note fini del legno e della 
              tostatura rimangono invariate". Una monotonia assoluta che 
              minaccia il Barbera. Il risultato, inevitabile e triste, è che 
              oggi "nel segmento di punta del Barbera, regna una monotonia 
              assoluta. Solo pochi viticoltori sono abbastanza ostinati da 
              imbottigliare una Barbera così come ce la regala madre natura. E 
              soltanto pochissimi winemakers sono in grado di usare la barrique 
              in maniera tale da non coprire volgarmente le fini caratteristiche 
              del Barbera, ma da farle addirittura risaltare, consentendo che a 
              fare da ago della bilancia sia l'acidità. Ago della bilancia, 
              dispensatrice di persistenza e di elegante finezza, la sensazione 
              sapido-acida gioca il fondamentale ruolo di "far stare in piedi" 
              un vino, di dare nervatura e movimento a tutta la sua struttura e 
              di reggere la sua relazione con il cibo, alla Barbera questo 
              "pizzico di sale" della freschezza non manca mai".
 
 Snervate, patinate, trattate al silicone, rese ruffiane, 
              petulanti, noiose, prevedibili, da questa autentica e 
              colpevolissima "castrazione", consistente nell'asportare al vino i 
              suoi attributi virili, nel togliere loro carattere, nerbo, quella 
              diversità che taluni dicono di tutelare e che alla prova dei fatti 
              normalizzano ed umiliano, un sacco di Barbera finiscono per essere 
              vini, importanti, anzi, pretenziosi e presuntuosi, che non si 
              fanno assolutamente bere. Vini che portati a tavola e abbinati 
              alle preparazioni classiche, che sono sempre un po' ruspanti, 
              ricche di sapore e di sostanza, e che necessitano di vini che 
              "sgrassino" e puliscano il palato, che rilancino il boccone 
              sapido, fanno letteralmente flop, si dimostrano inadatti, privi di 
              senso e di una qualsivoglia funzione logica, che non sia quella, 
              la cui intelligenza è tutta da dimostrare, di esprimere tutto 
              l'appeal, quando ci sia, nei quindici minuti che seguono la 
              stappatura.
 
 Bruciato tutto il loro fascino in questa sorta di cento metri 
              piani del gusto, gran parte dei Barbera new style, anche quelli 
              che vanno per la maggiore, che arrivano a costare intorno ai 20-25 
              euro in enoteca, che si fregiano di giudizi iperbolici delle varie 
              guide, si smontano, svaniscono, si sporcano nel bicchiere, 
              diventano dei banali concentrati di frutta vanigliata e speziata, 
              perdono completamente quel pizzico di anima che sembravano avere. 
              Ci sono eccezioni, per fortuna, aziende che di rendere modaioli e 
              à la page i loro Barbera non si curano certo, ma cercano 
              semplicemente di ricavare ottimi vini rispettosi del terroir, e 
              tra queste, una di quelle a me più care è la Cascina Luisin di 
              Barbaresco. Quasi novant'anni di storia, circa sette ettari di 
              proprietà ed una produzione, confidenziale e accurata, intorno 
              alle 35 mila bottiglie, Cascina Luisin è uno di quei nomi che 
              senza alcun contributo mediatico, da sempre costituisce una 
              garanzia per tutti gli appassionati del buon vino. Lo stile 
              dell'azienda è rigorosamente tradizionale e basato su un semplice 
              segreto: la dotazione di grandi vigneti (che a Luigi e Roberto 
              Minuto, suo figlio, ragazzo schivo e senza fronzoli come sanno 
              esserlo i giovani vignaioli di Langa, non mancano di certo), e la 
              pazienza, l'accuratezza, la meticolosità, senza ricorrere a 
              scorciatoie tecniche, nelle vinificazioni. Effettuate ricorrendo a 
              vasche d'acciaio e di cemento, (ebbene sì), per la fermentazione e 
              a grandi botti di rovere di Slavonia per la maturazione.
 
 Quando si ha la fortuna, come nel loro caso, di avere due ettari e 
              mezzo sulla collina del Rabajà a Barbaresco, una delle aree più 
              evocate e prestigiose per la coltivazione del Nebbiolo, tutto è 
              più facile e davvero impossibile, anche a voler essere 
              autolesionisti, è riuscire ad ottenere vini che rinneghino il 
              legame stretto con la terra d'origine e suonino falsi. Grandi 
              barbareschisti, i Minuto se la cavano benissimo anche con la 
              Barbera, che propongono in due versioni, una la Barbera d'Alba 
              Asili affinata in barrique e "tribicchierata" anche quest'anno, ad 
              uso dei modernisti più intelligenti, che amano anche in uno vino 
              cautamente new wave trovare grande piacevolezza, pulizia, armonia, 
              e l'altra, quella che… "a me mi piace molto", la Barbera Maggiur, 
              che nasce da un vigneto di sei ettari esposto a sud-sud ovest, 
              posto a circa 300 metri d'altezza ed è vinificata in maniera 
              totalmente old style, con fermentazione sulle bucce protratta per 
              otto giorni, malolattica, e affinamento in botti di rovere, ma di 
              Slavonia, di 12 mesi. Di questo vino, di cui sono disponibili 
              mediamente 10-11 mila bottiglie, potrei dire che rappresenta 
              perfettamente il modello di vino di quel vino della convivialità, 
              della piacevolezza, dell'allegria, dell'equilibrio in ogni sua 
              parte, del prezzo ragionevole, rispettoso della sua storia e del 
              consumatore, di cui tutti quanti siamo alla ricerca.
 
 Una Barbera, opulenta, polputa, dalle misure robuste e dalle curve 
              rotonde, favorita anche dall'andamento dell'annata 2000 che ha 
              sancito i 14 gradi dichiarati in etichetta, piena in ogni momento 
              della degustazione, capace di dare soddisfazione e gioia, con il 
              suo colore rubino intenso con la sua bell'unghia violacea, 
              viscoso, ma senza eccessi, con un naso netto franco, floreale, che 
              richiama la viola cresciuta nell'ambiente umido del sottobosco 
              dove la terra è sempre bagnata e dove emerge un che di selvatico 
              anche nella componente fruttata, matura, che evoca la prugna e 
              l'amarena. Un vino che mentre lo bevi, e ne godi la densità, la 
              consistenza, la ricchezza, la succosità del frutto, non si 
              dimentica mai di farti percepire come sia viva e fremente la 
              qualità della materia, ricca di sali minerali, innervata di un 
              pizzico di acidità, vigorosa e pimpante. Un vino senza 
              autocompiacimenti, che non si siede mai, che non sa di plastica: 
              una Barbera vera, di quel genere, autentico e "ruspante" che tutti 
              noi, che amiamo questo magnifico vitigno piemontese, 
              rappresentasse una costante nel panorama produttivo, e non una 
              perla rara per aficionados.
 
 8 novembre 2002
 
 bubwine@hotmail.com
 
 Azienda agricola Cascina Luisin. Rabajà 23 - 
              12050 - Barbaresco Cuneo. Prezzo € 8. Tel e fax 0173 635154
 
 
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