| In nome dell'Italia, storia di un paese 
              sospeso di Alfredo Bruni
 
 Da una parte c'è la cronaca politica italiana che, da Tangentopoli 
              in poi, segue i ritmi vertiginosi di un'accelerazione quotidiana 
              che impedisce ogni ragionamento, ogni analisi che lasci il segno 
              oltre l'attualità. Dall'altra, c'è l'esigenza, anzi la necessità, 
              di ordinare il cammino della cosiddetta transizione italiana, 
              nobilitandone il dibattito, i contenuti e le prospettive. Una 
              transizione che, tra spinte e controspinte, vive in una sorta di 
              eterna fase di passaggio (da una prima Repubblica che sembra non 
              morire mai a una seconda Repubblica che ancora non nasce mai 
              compiutamente).
 
 Fabio Torriero, nella sua ultima fatica, tenta di comporre tale 
              frattura: conduce per mano il lettore, gli racconta un anno di 
              centrodestra e centrosinistra, muove dal contingente (setacciando 
              ciò che è accaduto nei vari mesi) e arriva alla riflessione 
              complessiva di un'Italia "che passa" (non piace), un'Italia "che 
              cambia" (grazie alle prime riforme attuate dal centrodestra al 
              governo) e un'Italia "che resta" (il peso dell'identità e della 
              cultura nazionale nel contesto della globalizzazione e 
              dell'Europa). L'approdo del libro, infatti, è anche la chiave di 
              lettura con cui può essere interpretato un primo bilancio del 
              governo e dell'opposizione scaturiti il 13 maggio 2001. Un viaggio 
              tra un centrodestra che, nonostante esitazioni e contraddizioni, 
              sta decollando e un centrosinistra che non c'è, nel quale l'autore 
              riprende il nucleo della riflessione che va conducendo da qualche 
              anno: la ricerca di un minimo comune denominatore credibile, in 
              grado di assicurare l'unità e la compattezza degli schieramenti e 
              l'individuazione di un linguaggio comune, di una nuova sintesi 
              politica, di una memoria condivisa, premesse indispensabili per 
              giungere a un nuovo clima ancor prima di qualsiasi vestito 
              giuridico e istituzionale (presidenzialismo, federalismo, ecc.).
 
 "Siamo ancora figli di patrie di parte" è il grido di dolore 
              dell'autore, ma pure la consapevolezza di un'Italia ancora 
              ostaggio di opposte demagogie e di cittadini-elettori spesso 
              trasformatisi in semplici tifosi quando non, peggio, indifferenti 
              alla politica e alla sfera pubblica. Non c'è fatto politico 
              generale e particolare che Torriero non affronti (il G8, i primi 
              "cento giorni", il nuovo concetto di "bene pubblico") e se la 
              destra non si è liberata dalla "sindrome da legittimazione" (la 
              richiesta inconscia di essere accettata nel salotto buono, 
              promossa da chi non ha titoli per giudicare, bocciare o 
              promuovere), la sinistra è schiava della "sindrome di Voltaire" 
              (l'identificazione religiosa col bene, la democrazia, la cultura, 
              la giustizia, l'ambiente, ecc.). Una sindrome che ha prodotto il 
              fallimento speculare di Prodi, D'Alema e Amato e i nuovi rivoli 
              giacobini, come i girotondini, gli auto-convocati, i 
              professori-indignati. Una forma mentis che le impedisce di 
              comprendere gli errori e immaginare un'idea di modernizzazione del 
              paese. Mentalità pragmatica che Berlusconi, invece, ha dimostrato 
              di avere. E di mettere in pratica.
 
 22 novembre 2002
 
 Fabio Torriero, In nome dell'Italia. 2001-2002: un anno di destra 
              e di sinistra, Koinè, Roma, 2002, pp. 148 - € 12
 
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