| L’abbraccio di Roma che riscopre il suo 
              orgoglio di Barbara Mennitti
 
 “Americano, faje Tarzan”, diceva uno dei tanti cartelli esposti 
              giovedì mattina in piazza San Giovanni. Così, in maniera 
              irriverente, qualcuno ha voluto immaginare l’incontro fra Alberto 
              Sordi e l’aldilà e dare l’ultimo addio, con il sorriso a fior di 
              labbra, all’ultimo grande attore comico. Ma oggi è evidente che 
              per Roma e i suoi cittadini Albertone ha rappresentato e 
              rappresenta molto di più che un grande artista. Chi conosce questa 
              città oltre le immagini da cartolina, sa bene cosa può voler dire 
              piazza San Giovanni gremita in un comune giovedì mattina o farsi 
              quattro ore di fila in piazza del Campidoglio per sfilare davanti 
              ad una bara aperta, sostare qualche secondo, magari deporre un 
              fiore o una sciarpa della Roma o un cappellino della Lazio. Eppure 
              per una volta questa città cinica e caotica, abituata a macinare 
              eventi e persone e a digerirle senza un sussulto, si è fermata. 
              Per una volta anche i vigili urbani sorridevano e consigliavano 
              gentilmente dove cercare parcheggio (“Ci vuole pazienza, siamo qui 
              tutti per lo stesso motivo”) e i tassisti, anzi i tassinari, 
              strombazzavano per salutare il passaggio del feretro, invece che 
              per liberarsi dagli ingorghi. E anche noi, per la prima volta dopo 
              tanto tempo, imboccando via Merulana in motorino, ci siamo detti: 
              “Ma quant’è bella ‘sta città!”
 
 Giovedì mattina in piazza San Giovanni c’era semplicemente Roma. 
              Gli anziani, quelli che possono ancora vantarsi di essere nati al 
              centro storico, che ricordano una città che ormai non esiste più e 
              i ragazzetti un po’ disadattati delle borgate; gli impiegati 
              fuggiti dai ministeri e gli infermieri del vicino ospedale 
              allontanatisi “solo un attimo, solo per vedere”; il corpo dei 
              vigili urbani, orgogliosi, col petto in fuori, che hanno portato a 
              spalle il feretro e i bottegai; i tassisti con le auto schierate 
              in parata e, miracolosamente fianco a fianco, i tifosi della Roma 
              con le sciarpe in mostra e quelli della Lazio (domenica entrambe 
              le squadre in campo col lutto al braccio). Per tutti Alberto Sordi 
              significava qualcosa, tutti hanno riconosciuto in lui, almeno un 
              po’, almeno una volta, i propri tic, la propria storia, i propri 
              difetti e propri pregi. E con questa presenza massiccia, commossa 
              e anche un po’ dissacrante, Roma ha voluto ricambiare l’amore 
              sconfinato di questo interprete dell’uomo comune. Orgogliosa, una 
              volta tanto, della sua bistrattata romanità.
 
 La cerimonia laica che ha seguito quella religiosa, officiata dal 
              Cardinale Ruini, è stata aperta dal sindaco Walter Veltroni, 
              cultore cinematografico e amico di famiglia di Sordi. “Questa è la 
              prima giornata di tristezza che ci regali”, ha esordito Veltroni e 
              con parole che suonavano sinceramente commosse ha ricordato come, 
              nei precedenti giorni della veglia funebre in Campidoglio, chi 
              facendo la fila passava accanto agli schermi che proiettavano 
              spezzoni dei più famosi film di Albertone, non riusciva a 
              trattenere il sorriso in mezzo alle lacrime. E proprio questo 
              irrefrenabile sorriso è stato il regalo più importante del grande 
              attore alla sua città. Anche in questa giornata. Mentre era ancora 
              in corso la cerimonia, un piccolo aereo è apparso nel cielo sopra 
              piazza San Giovanni con un cartello attaccato alla coda: “Stavorta 
              c’hai fatto piagne!” Qualche minuto dopo il feretro di Alberto 
              Sordi è stato portato via, accompagnato dalla celebre marcetta di 
              “Polvere di stelle” e dagli applausi a tempo di musica. Battendo 
              le mani, con gli occhi lucidi e il sorriso sulle labbra, Roma 
              ringrazia.
 
 28 febbraio 2003
 
 bamennitti@ideazione.com
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