| Libri. Comunismo, storia di errori e di 
              orrori di Pino Bongiorno
 
 Con il termine ‘comunismo’ si è soliti riferirsi a tre fenomeni 
              distinti ma correlati: un ideale, la perfetta eguaglianza 
              socioeconomica, di cui l’abolizione della proprietà privata è la 
              condizione necessaria; un programma, tracciato nel Manifesto del 
              partito comunista da Marx ed Engels alla metà dell’Ottocento; un 
              regime, instaurato in Russia nel 1917 e tragicamente sopravvissuto 
              fino al 1991. Richard Pipes, professore di storia a Harvard e 
              grande conoscitore dell’argomento, ha affrontato, in “Comunismo. 
              Una storia” (Rizzoli, Milano 2003, pp.236), ognuno dei tre 
              fenomeni succitati ed è giunto alla conclusione, tanto perentoria 
              quanto persuasiva, che il fallimento dell’illusione che ha 
              dominato gran parte del XX secolo non è ascrivibile alle forme con 
              cui si è provato a realizzarla, ma all’illusione stessa . “Il 
              comunismo non è stato una buona idea che ha avuto un cattivo 
              esito; è stato una cattiva idea” (p. 199).
 
 E’ nel marxismo, infatti, cioè nel fondamento teorico del 
              comunismo, che si rintracciano quegli errori che sono stati poi 
              ingigantiti fatalmente da Lenin e Stalin nel momento in cui ne 
              hanno fatto criteri di condotta politica e obiettivi 
              rivoluzionari. Ritenere che la proprietà privata sia un istituto 
              transitorio, per giunta costituitosi con l’espropriazione, e non 
              già una caratteristica permanente della vita sociale, un diritto 
              individuale inalienabile, ha costretto al tentativo di rimodellare 
              la natura umana facendo ricorso sistematicamente, ossia come 
              metodo abituale di governo, alla coercizione e alla violenza. 
              Esigenza, inoltre, che ha reso inevitabile, per via del ruolo 
              demiurgico assegnato allo Stato, la formazione di una burocrazia 
              ipertrofica, di una nomenklatura di “intoccabili”; con ciò negando 
              “de facto” quel principio dell’eguaglianza che pure era dato a 
              giustificazione del tutto. In altre parole, per mettere in atto 
              l’eguaglianza della proprietà si istituzionalizzava 
              l’ineguaglianza dei diritti. “La contraddizione tra fine e mezzi è 
              inscritta nel comunismo e in ogni paese in cui lo Stato possiede 
              tutta la ricchezza produttiva” (p. 203).
 
 Pipes si preoccupa anche di smentire un altro mito, creato da 
              Trockij e ripreso da Kruscëv, a lungo in circolazione e tuttora 
              accreditato. Quello secondo cui lo stalinismo, con le sue 
              nefandezze, abbia rappresentato un tradimento del leninismo. Il 
              “leader” della Rivoluzione d’ottobre è stato in realtà 
              l’ispiratore dello stalinismo. E’ stato lui infatti che ha 
              instaurato un dispotismo senza scrupoli, in cui la dittatura del 
              proletariato doveva essere, secondo le sue parole, un “potere non 
              limitato da nulla, da nessuna legge, non condizionato da alcuna 
              regola, che si basa sulla coercizione”; che ha introdotto la 
              strategia del terrore, convinto che le rivoluzioni del passato 
              fossero fallite perché si erano fermate a metà strada e avevano 
              permesso ai loro nemici di classe di sopravvivere e 
              riorganizzarsi; che ha abolito tutte le procedure legali affidando 
              l’amministrazione della giustizia ai tribunali rivoluzionari, 
              presieduti da giudici d’occasione il cui unico requisito era la 
              “coscienza di classe”, e il suo rispetto alla Čeka, la nuova 
              polizia segreta.
 
 28 febbraio 2003
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