| Libri. Il filo rosso del terrore di Pino Bongiorno
 
 Richard Pipes, nel suo “Comunismo. Una storia” (Rizzoli, Milano 
              2003), sostiene, e argomenta ampiamente, che “il comunismo non è 
              stato una buona idea che ha avuto un cattivo esito; e stato una 
              cattiva idea”. Marco Messeri è sulla medesima lunghezza d’onda e 
              individua una sola “logica nella tragedia del comunismo: la logica 
              di un’idea tragicamente sbagliata”. Un’idea antica cui il 
              Novecento ha affidato la palingenesi collettiva, la formazione 
              dell’“uomo nuovo”. Bilancio dell’illusione: cento milioni di 
              vittime. “Assassinati, morti nei campi di concentramento, gettati 
              nelle fosse comuni dopo orrende esecuzioni di massa, deportati e 
              abbandonati in steppe gelate, morti di fame nel corso di carestie 
              provocate dalla folle presunzione di riprogettare la società e 
              creare un nuovo uomo ideale, unita alla più disperante 
              incomprensione della natura dell’uomo reale”. Una tragedia 
              spaventosa, che dovunque ha visto la luce ha preso le forme di una 
              “costosa” via al sottosviluppo, come dettagliatamente, e con cifre 
              che sgomentano, documenta Messeri.
 
 Ciò che colpisce del comunismo è proprio questo. A qualsiasi 
              latitudine si è realizzato, ha prodotto morte, miseria, negazione 
              dei diritti più elementari. Se esso è veramente stato una 
              tragedia, e dati alla mano è difficile avere dubbi in proposito, 
              Unione Sovietica, Cina, Europa dell’Est, Indocina e Cuba ne hanno 
              messo in scena varie repliche, diverse solo per quel tanto, o per 
              quel poco, che natura e storia sono riuscite a metterci di loro. 
              Lenin, Stalin, Tito, Mao Zedong, Kruscëv, Fidel Castro, Kim Il 
              Sung sono stati tra i più importanti attori-protagonisti della 
              rappresentazione comunista, cui hanno dato un contributo personale 
              pur richiamandosi l’uno all’altro nella sostanza dell’azione 
              politica e negli esiti da essa scaturiti. Per chi ancora crede che 
              è stato Stalin a traviare e pervertire il bolscevismo, risulta 
              salutare la lettura delle pagine che Messeri dedica a Lenin. E’ 
              questi che instaura la “dittatura del partito”, in vece della 
              marxiana “dittatura del proletariato”, ed elimina appena possibile 
              ogni opposizione, sia politica sia culturale. E’ Lenin che 
              teorizza, già in gioventù, la pratica del terrore, di cui una 
              volta al potere si serve a piene mani, colpendo indistintamente 
              contadini e borghesi, preti ed ebrei, “bianchi” e 
              socialrivoluzionari. Nei centodiciassette anni di regno degli 
              ultimi cinque zar russi sono state giustiziate 6.321 persone; nei 
              cinque anni compresi fra il 1917 e il 1922 Lenin è stato 
              responsabile dell’esecuzione di ben 140.000 persone.
 
 Al mitico Mao Zedong si deve l’istituzione, all’inizio degli anni 
              Cinquanta, di campi di concentramento dai nomi suggestivi (“Lago 
              dell’Entusiasmo Nascente”, “Prezioso Villaggio del Nord”, 
              eccetera), per i quali sembra che siano passati decine di milioni 
              di cinesi, con una mortalità stimata al 5 per cento annuo (durante 
              la carestia del 1961-1962 ha perso la vita il 90 per cento dei 
              detenuti). Oggi le cose non vanno molto meglio. “In Cina, segnala 
              Amnesty International, vi sono tuttora migliaia di detenuti per 
              reati di opinione. Alcuni sono stati condannati senza aver potuto 
              ricevere l’assistenza di difensori. Altri sono detenuti 
              amministrativamente senza accusa o condanna. Vengono perseguiti 
              gli attivisti democratici che fanno uso di Internet. La tortura 
              continua a essere molto frequente. Almeno sessantotto reati, anche 
              non violenti, sono passibili di pena di morte. I dati ufficiali 
              rivelano che negli anni novanta sono state superate le 27.000 
              condanne a morte e le 18.000 esecuzioni. Amnesty International 
              stima però che le cifre reali debbano essere molto più alte. Le 
              condanne sono eseguite di solito poche ore dopo la sentenza, 
              vanificando la possibilità di presentare appello. I condannati 
              vengono portati in pubblico, alcuni in ceppi e con corde attorno 
              al collo. Le esecuzioni avvengono talvolta negli stadi, davanti a 
              migliaia di spettatori portati dai luoghi di lavoro o dalle 
              scuole”.
 
 Anche il castrismo non è un’eccezione. In mezzo secolo esso non 
              sembra essere stato in grado di creare un elevato grado di 
              benessere e si è contraddistinto solo in negativo. Basti pensare 
              al cosiddetto “machismo-leninismo”, introdotto a Cuba negli anni 
              Sessanta e supportato da speciali campi di lavoro destinati agli 
              “asociali”, cioè maschi effeminati, preti, testimoni di Geova, 
              “parassiti”.
 
 10 ottobre 2003
  
              
              Marco Messeri, Utopia e terrore. La storia non raccontata del 
              comunismo, Piemme - Casale Monferrato, 2003, pp. 267 - € 14,90 |