| Il fascino discreto del già vissuto di Angela Maria Punzi
 
 Quali libri preferite? Piccoli e discreti o grandi manuali 
              enciclopedici? Con una bella copertina accattivante e colorata o 
              una più austera stile Adelphi? Che profumino di nuovo o aroma di 
              pagine ingiallite? Vergini o vissuti, per dirla in breve? C’è un 
              giardiniere a cui piacciono semplicemente tramandati. E’ seduto al 
              tavolino di una piccola locanda e ad alleviare la tristezza di un 
              pasto consumato in solitudine c’è un libro, commensale discreto e 
              taciturno. Legge solo libri usati. Perché i “libri nuovi sono 
              petulanti, i fogli non stanno quieti a farsi girare, resistono e 
              bisogna spingerli per tenerli giù”. Ed è vero: quando provi ad 
              aprirli devi premere con forza, insistere perché ti lascino 
              entrare. E loro offesi da questa invadenza mostrano delle crepe 
              nel centro: sembra quasi di avergli fatto del male. Sono gelosi 
              delle parole che custodiscono, e mentre sfogli le loro pagine, 
              queste pigre ed ostinate tornano indietro. I libri usati sono più 
              docili, “hanno le costole allentate”. Ti accolgono come un 
              visitatore atteso e si lasciano leggere. I libri usati hanno “le 
              pagine unte dalle dita” di chi li ha vissuti: sembra quasi un 
              ricordo vagamente leopardiano delle sudate carte, così care e 
              sofferte dal poeta. Unte e sudate: participi passati che si 
              portano appresso uno strascico di chi li ha vissuti.
 
 “Tre Cavalli” di De Luca, sfiora il racconto dei primi due 
              destrieri della vita di un uomo, la sua passione giovanile che lo 
              trasporta in Argentina e la sua ragionata maturità. Descrive 
              l’attesa dell’amore, la ricerca della sua dolce metà che non vuole 
              essere una resa perché, dice, “esistono creature assegnate che non 
              riescono ad incontrarsi mai e s’aggiustano ad amare un’altra 
              persona per rammendarne l’assenza”. Così, pazientemente, decide di 
              aspettare: perché questo è “un infinito asciutto che non sbrodola 
              di ansia, non sbava speranza”. Sono pagine che hanno un sapore 
              amaro e dolce. Hanno l’amarezza del racconto di una guerra a cui 
              aderisci anche per vergogna di rimanerne fuori “e poi un lutto ti 
              afferra e ti mantiene dentro a fare il soldato per rabbia”. Dolci 
              sono “i piedi che si strofinano la buonanotte”. E’ un libro da 
              farsi prestare o da rubare perché i libri dovrebbero riposare 
              incustoditi nei posti pubblici, attendere di spostarsi insieme ai 
              passanti. Dovrebbero inseguire i loro lettori. “Dovrebbero morire 
              con loro, consumati dai malanni, infetti, affogati giù da un ponte 
              insieme ai suicidi, ficcati in una stufa d’inverno, strappati dai 
              bambini per farne barchette”. Accompagnarsi alle vite di chi li ha 
              invasi: mai semplice tappezzeria, abbandonati alla polvere di una 
              biblioteca. “Insomma ovunque dovrebbero morire tranne che di noia 
              e di proprietà privata, condannati a vita in uno scaffale”.
 
              
              5 novembre 2003
 Erri De Luca, "Tre Cavalli", Feltrinelli, € 6,50.
 
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