L'anima
sovversiva del fascismo
di Danilo Breschi
Ideazione
di settembre-ottobre 2006
La
rivoluzione in camicia nera.
Dalle origini al 25 luglio 1943
Paolo Buchignani
Mondadori,
Milano, 2006
pp. 457, € 20
Tutto,
o quasi, ebbe inizio sul finire dell’Ottocento, nel ribollire di
una cultura europea che si compiaceva con morbosità crescente di
un romanticismo oramai estenuato e sempre più annoiato. La noia
dell’esistente implicava la ricerca di alternative sia sul piano
estetico sia sul piano politico e sociale. Se l’esistente era la
democrazia liberale e parlamentare nonché una società civile
guidata da una borghesia animata da una filosofia individualistica, utilitaristica
e conflittualistica, non si poteva che perseguire la rivoluzione attraverso
l’elaborazione di una cultura politica organicistica, spiritualistica
e irrazionalistica e di modelli statuali fondati sulla collaborazione
tra le classi in nome dell’interesse nazionale. La prima guerra
mondiale fu l’evento che incendiò questa componente cospicua
e rumorosa della cultura europea.
Una moltitudine di scrittori, poeti, pittori, filosofi e letterati di
vario calibro e genere salutò l’estate del 1914 come l’occasione
storica che offriva un banco di prova a spiriti generosi repressi dalla
meschinità e dal mercantilismo borghesi, un «lavacro di sangue»
per popoli imbrigliati da classi dirigenti corrotte, infine una scossa
vitale o mortale, comunque necessaria, per una civiltà occidentale
in decadenza. Sono tutte qui le origini ideologiche del fascismo, e Paolo
Buchignani ce lo ricorda sintetizzando efficacemente le tesi storiografiche
di Zeev Sternhell e di Emilio Gentile: da un lato, l’idea che il
fascismo trovi un’incubatrice ideologica di molti suoi temi, miti
e valori nella ricerca di una “terza via” tra liberalismo
e socialismo che la cultura politica francese aveva compiuto a cavallo
tra Otto e Novecento; dall’altro lato, la constatazione che in Italia
l’antiparlamentarismo, l’antiriformismo, l’utopia rivoluzionaria
e l’uso della violenza nella lotta politica non sono prodotti del
fascismo ma premesse al suo avvento che vennero incubate dall’antigiolittismo
dilagante nella cultura politica d’anteguerra. Il libro di Buchignani
prende di petto il tema storiograficamente complesso e controverso dell’ideologia
fascista, rinvenendo nella formula della “destra rivoluzionaria”
la sua quintessenza.
Quel che un tempo poteva parere una contraddizione in termini, ossia l’abbinamento
tra “destra” e “rivoluzione”, oggi risulta pressoché
scontato. Felice ed efficace l’espressione sostitutiva scelta da
Buchignani, quella di «sovversivismo nero», così come
esatta pare l’individuazione della guerra quale origine e compimento
dell’idea fascista di rivoluzione, con una parabola che si consuma
fra 1915 e 1940. Altrettanto corretto ci pare l’aver evidenziato
la forte carica antiborghese della primigenia ideologia fascista, oscillante
fra l’attesa di una rigenerazione salvifica dell’Occidente
e il desiderio di uccidere tale civiltà, ponendo fine a quella
che pareva nient’altro che una lunga agonia. Berto Ricci, Romano
Bilenchi e altri giovani fascisti della generazione degli anni Trenta
portarono avanti questa loro personale idea della rivoluzione “in
camicia nera”.
L’analisi svolta da Buchignani offre quindi documentazione e argomentazioni
ulteriori per spiegare ragioni e modalità dell’iter politico
che nel dopoguerra condurrà non pochi intellettuali italiani a
spogliarsi dell’orbace e impugnare il vessillo rosso della rivoluzione
comunista. Pronti a rovesciare tutte le premesse ideologiche pur di coltivare
il mito di un “mondo nuovo”, di un’alternativa radicale
al sistema politico, economico e sociale vigente, rimasto a loro avviso
sempre e comunque borghese e capitalista, sia prima che durante che dopo
il fascismo.
(c)
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