Lotta Continua vista dall'interno
di Domenico Naso
Ideazione
di marzo-aprile 2007
I ragazzi che volevano fare la
rivoluzione
Aldo Cazzullo
Sperling & Kupfer, Milano, 2006
pp. 350, € 12
«I ragazzi che volevano fare la rivoluzione è la loro storia, il loro ritratto di gruppo. In cui molti forse non si riconosceranno. E criticheranno questo libro, e avranno ragione. Altri forse troveranno questo libro un po’ accondiscendente. E lo criticheranno, e avranno ragione anche loro». Così Aldo Cazzullo chiude la premessa al suo libro, riferendosi a tutti quei ragazzi che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta diedero vita a quella avventura che fu Lotta continua. Il cronista politico del Corriere della Sera ha ragione quando prevede reazioni contrastanti al suo racconto, quando dà ragione a chi giudicherà il libro troppo duro o troppo tenero nei confronti di quei ragazzi che sacrificarono più di un decennio della loro vita a ideali sbagliati, perseguiti in maniera indifendibile.
I ragazzi che volevano fare la rivoluzione è un libro molto utile, qualsiasi sia il giudizio finale su quegli eventi. Cazzullo riesce a descrivere il difficile clima degli anni Settanta, le sincere passioni politiche (condivisibili o meno) di migliaia di ragazzi, lo sbandamento successivo di alcuni di loro ammaliati dalle mortali sirene della lotta armata. Per chi c’era e ricorda può servire dunque da amarcord, per chi era troppo piccolo, o è nato dopo, è invece un’occasione per conoscere vicende cruciali della storia italiana, anni drammatici che hanno cambiato per sempre il nostro paese. L’accurato racconto di Cazzullo prende le mosse dal clima inquieto del ’68, dagli studenti ribelli e dagli operai arrabbiati, da quel nuovo sentimento di libertà e libertarismo equivocato da alcuni, stravolto da altri, strumentalizzato da troppi. Fu quello il brodo di coltura in cui germinarono le esperienze successive, lc compresa.
Il movimento guidato da uomini come Sofri, Viale, Ristagno, Bobbio trovò una sua dimensione lontano dal movimento studentesco del ’68. I ragazzi di lc volevano fare la rivoluzione e puntavano sugli operai, sul proletariato, sui conflitti sociali nelle fabbriche. Tentarono più volte, con alterne fortune, una sintesi tra studenti e operai ma non abbandonarono mai del tutto la via operaista, la strada che loro credevano la più breve verso la rivoluzione.
Tra volantinaggio ai cancelli di Mirafiori e attentati antifascisti, si formò dunque un gruppo eterogeneo ma affiatato, un po’ libertario e ribelle ma tenuto insieme dal fascino indiscusso del suo leader Adriano Sofri. Convivevano molte anime all’interno di Lotta continua: operai, studenti, militaristi, movimentisti, femministe, cattolici, non violenti e filoterroristi. lc fu tutto questo e molto di più e Cazzullo narra la storia del movimento attraverso la viva voce dei suoi stessi militanti, molti dei quali oggi fanno una vita diametralmente opposta, con idee politiche a volte antitetiche tra loro. Da Gad Lerner a Carlo Panella, da Marco Boato ad Andrea Marcenaro, sono centinaia i militanti che sono riusciti ad entrare nel cuore di quel sistema che volevano abbattere. Opportunismo o normale maturazione intellettuale? Cazzullo non se lo chiede e forse fa bene. Nessuno può dare una risposta ad un quesito del genere. Quello che gli storici o i cronisti come Cazzullo possono fare è soltanto raccontare l’epopea di quella generazione.
Non possiamo parlare, tuttavia, di un’esperienza vincente e positiva. Innanzitutto ce lo vieta la nostra coscienza politica. E poi sono troppe le zone grigie tra movimentismo extraparlamentare e lotta armata, troppi i dubbi e le possibili relazioni pericolose.
Lotta continua non è esente da queste ambiguità. Basti pensare al caso Calabresi, alla lunga e travagliata vicenda giudiziaria. E poi la violenza di quegli anni non si manifestò solo con le gambizzazioni, i sequestri o gli omicidi. Le parole di allora ferivano quanto un colpo di mitra, fomentavano le masse e creavano tensione e odio sociale. E quei ragazzi che volevano fare la rivoluzione lo sanno bene e quasi tutti ammettono oggi che i toni usati negli anni Settanta erano sbagliati, nel merito e nel metodo. Una parte di loro ha fatto i conti con la coscienza (e a volte con la giustizia), altri no. E forse è per questo che quegli anni terribili periodicamente tornano a far capolino nelle vicende politiche del nostro paese, mostrando intatta la scia di mostri che hanno generato.
(c)
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