L'Italia
liberale prima del fascismo
di Federico Anghelé
Ideazione
di marzo-aprile 2006
Il regime liberale e l’avvento del fascismo
Olindo Malagodi
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005
pp. 220, € 8
Leggere
un libro che si credeva perduto costituisce sempre una piacevole sorpresa.
Anche quando si tratta solamente di un volume abbozzato, di un lungo e
pensoso frammento che l’editore Rubbettino ha recentemente mandato
alle stampe nella collana della Fondazione Einaudi di Roma grazie alla
sapiente cura di Fulvio Cammarano. L’autore, Olindo Malagodi, giornalista
di razza e direttore della Tribuna, giornale giolittiano, fu un liberale
educato a Londra.
Dopo un giovanile passato da socialista turatiano, il lungo trasferimento
dal 1895 nella capitale inglese, in qualità di corrispondente per
diverse testate, ne fece un propagatore delle idee e delle istituzioni
britanniche. Mentre l’analisi del fenomeno fascista rimane, nel
libro, un semplice proposito, di grande interesse è il racconto
del “prima”, di un’Italia della quale Malagodi fu un
protagonista di primo piano. Egli evita, da una parte, una banale apologia
dell’Italia liberale; dall’altra, però, è ben
lontano dalle tante cassandre convinte dell’impossibilità
di un travaso del liberalismo nel cuore della latinità. Se è
vero che il pensiero liberale è un fenomeno tutto moderno che nacque
a Londra e si universalizzò, poi, con la Rivoluzione francese,
l’Italia conobbe, tuttavia, un’antica età delle libertà
incarnata dai comuni medievali. Certamente il governo della destra storica
segnò il punto più alto del liberalismo nostrano; non per
questo, però, quel che seguì va necessariamente inteso come
un irreversibile allontanamento dall’alveo inglese. Semmai, assertore
di un sano realismo politico, Malagodi evitò giudizi affrettati
e si espresse senza severità sul trasformismo di Depretis. Quest’ultimo,
infatti, non fu soltanto un abile leader in grado di guidare la società
del suo tempo con i mezzi a sua disposizione, ma lo stesso trasformismo
per il quale egli è ricordato con disprezzo, contribuì a
spostare al centro il timone della politica isolando, in tal modo, le
frange estreme. Quel che è certo è che con il 1876, data
che segnò l’avvicendamento tra destra e sinistra, venne meno
una vera alternativa politica. La destra, infatti, si era vista sottrarre
dall’intransigenza del non expedit vaticano una porzione non marginale
del consenso cattolico e conservatore. Crispi, la seconda figura con la
quale egli riassume la storia dell’Italia prefascista, costituì
una degenerazione della politica italiana, contrassegnata da un decennio
di disordini e da un violento autoritarismo portato avanti anche dagli
stessi avversari del politico siciliano (basti pensare alla dura repressione
dei moti del ’98, condannata con tenacia dall’autore).
Il nuovo secolo si aprì all’insegna del terzo protagonista
delle vicende dell’epoca, Giovanni Giolitti. In questo caso, influenzati
da tutta una cultura storiografica e letteraria improntata ad un facile
anti-giolittismo, non potremo che beneficiare dall’ascolto delle
parole di uno stretto collaboratore del leader di Dronero. Il rapporto
di fiducia tra i due non impedì comunque al giornalista di analizzare
con lucidità la lunga fase giolittiana. Per Malagodi, il presidente
del Consiglio fu sì un dittatore, come vogliono i suoi detrattori,
ma un dittatore liberale, a capo di un sistema in cui il liberalismo era
calato dall’alto e alla guida di un’Italia che conobbe un
notevole progresso.
Nonostante la capacità giolittiana di controllare non solo il Parlamento,
ma ancor più “il paese”, il leader piemontese non fu
in grado di diffondere una vera passione civile, un sentimento popolare
che sarà invece alla base del fascismo. Eroso il consenso al regime
liberale, Mussolini infatti ereditò le pratiche dittatoriali di
quest’ultimo purgate, però, di ogni elemento liberale.
(c)
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