Non
chiamiamola letteratura
di Paola Vitali
Ideazione
di marzo-aprile 2006
Un giorno perfetto
Melania Mazzucco
Rizzoli, Milano, 2005
pp. 410, € 18
Caos calmo
Sandro Veronesi
Bompiani, Milano, 2005
pp. 451, € 17,50
Che
i due “giovani” romanzieri Melania Mazzucco e Sandro Veronesi
abbiano con Un Mondo Perfetto e Caos Calmo dato alla letteratura italiana
due capolavori, o appena poco di meno, la critica ce lo dice già
da qualche mese. Più o meno in concomitanza con la grande vendita
natalizia hanno cominciato a dircelo pure i fan e i lettori – a
dirlo, ma soprattutto a scriverlo, in recensioni on line, forum e blog
che per questi romanzi non hanno che parole di plauso, quando non entusiasmo
o addirittura estasi.
A sollecitare più di qualunque altro carattere di questi due romanzi
il consenso dei lettori, è la loro (presunta) “veridicità”.
Sarebbero, secondo i nostri recensori in rete, opere documentate, puntuali,
autentiche, tali da restituirci un quadro compiuto e veritiero dell’Italia
di oggi. Valutazioni sulle quali nulla vi sarebbe da dire – salvo
confermare due stelle letterarie e osservare con un po’ di stupore
il raro sovrapporsi di pubblico e critica – se non fosse che, in
realtà, colpiscono assai lontano dal bersaglio. Le due storie di
Un Mondo Perfetto e Caos Calmo non hanno nulla di originale, si nutrono
di personaggi che più che macchiette non riescono ad essere, di
descrizioni di ambienti urbani – rispettivamente Roma e Milano –
e della loro quotidianità che non vanno mai oltre l’accenno
furbo, l’immagine a effetto, il dettaglio attento ma infilato in
ogni pagina con gran fretta e per fare colore, mai – per carità!
– perché diventi davvero soggetto.
I lettori parlano di “storie così vere”, di “personaggi
così realistici”, e ovviamente di “libri così
profondamente introspettivi”. Poco importa che né Veronesi
né Mazzucco ci lascino una sola pagina davvero memorabile, che
nulla – non sia mai uno spunto, o una riflessione – ci resti
addosso dopo le quattrocento pagine di chiacchiere che riempiono i loro
romanzi, che non ci sia in nessuna piega niente di veramente ricercato
– anche e soprattutto in senso “tecnico”, nel senso
della ricerca approfondita che può essere necessaria a scrivere
un romanzo, malgrado a sentir loro gli autori abbiano lavorato a tempo
pieno e interpellato specialisti d’ogni campo per produrre questi
capolavori di cronaca metropolitana.
Veronesi ci regala così un vedovo e padre fuori di testa che per
l’intero romanzo non riesce ad avere un’emozione plausibile
che sia una, circondato com’è da personaggi-caricature del
mondo del lavoro – verrebbe da dire alla Camera Cafè –
e da individui appartenenti ad un ambiente trendy-chic-altoborghese così
esasperato e scollato da risultare grottesco. Con l’aggravante dell’inevitabile
puntata antiberlusconiana (come si potrebbe altrimenti restare nel girone
dei migliori narratori giovani italiani?), per giunta condensata in un
effettaccio di pessimo gusto – Berlusconi e Previti rappresentazioni
mentali di quanto di più disgustoso vi sia, e utili perciò
a scoraggiare una prepotentissima erezione.
Mazzucco risponde alla sfida con una galleria di luoghi comuni in forma
di esseri umani che dovrebbe rappresentarci la Roma ricca e povera di
oggi, con un doppio contesto (troppo) simile a “Caterina Va in Città”,
che qui come lì è portato sempre all’estremo della
caratterizzazione, anche nei diversi registri linguistici dei personaggi
– tanto apprezzati dai lettori. Un quadretto talmente banale e scontato
da far sorgere ad un certo punto il dubbio che Mazzucco stia facendo un
gioco-esercizio di stile prendendo in giro il proprio stesso romanzo,
e con esso tanta rassicurante filosofia da rotocalco o fiction tv. Un
dubbio che retrospettivamente si rivela sconfortante – perché
il romanzo, in realtà, tutto fa tranne prendersi in giro. Ad accomunare
i due libri, a ben vedere, non è tanto lo slancio velleitario verso
il ritratto accurato della famiglia e della vita di oggi, come hanno spesso
dichiarato gli autori; quanto piuttosto il comune modulo narrativo che,
in particolare nella scrittura della Mazzucco, meno fantasiosa e raffinata
del più ingegnoso Veronesi, traduce su carta i percorsi affabulativi
della fiction televisiva, telefonando da una pagina all’altra quadretti
situazionali che non riescono mai – davvero mai – a sorprendere
il lettore. Questo dovrebbe garantire ai nostri romanzi l’aderenza
al vero? Che Veronesi riempia il suo romanzo di personaggi tanto privilegiati
quanto angosciati (annegando così il proprio senso di colpa per
appartenere a una società occidentale e benestante), e che per
mera retorica della disabilità assegni a priori la palma della
persona migliore alla mamma di un bimbo down, senza però minimamente
scomodarsi a ragionare su quelle che, presumibilmente, saranno le sue
angosce, così più profonde e perciò meno scontate
di quelle degli altri? Che in Un Mondo Perfetto la coppia in uscita della
Metro Spagna venga urtata (indovina indovina) da un extracomunitario in
fuga dai controlli (ma quali?), col suo bel carico di borse contraffatte;
che le parioline radunate alla festa in Santanché-La-Rosa style
parlino in quel preciso modo, vacuo e ignorante, delle loro badanti, che
ci siano per forza entro la fine del romanzo due tre sms (litterati come
“essemmess”, molto più fico, no?) scambiati tra madre
e figlia con le rituali abbreviazioni “tvtb”, “mi manki”,
eccetera? Che anche la Mazzucco, dopo aver invano tentato di resistere
resistere resistere, ceda infine alla forza maggiore, regalando a Berlusconi
la citazione in un dialogo che più da portineria non si può
- e ovviamente non per i personaggi volutamente di poco spessore che disegna,
ma per i contenuti scontati della conversazione?
Mazzucco e Veronesi possono a buon diritto aspirare al club degli intoccabili
della “cultura” italiana, ivi inclusa quella cinematografica
– quelli come Muccino e Virzì, per intenderci, gli autori
di meravigliosi “film corali”, di affreschi di costume dove
c’è di tutto un po’ e non manca mai niente, e soprattutto
ci sono sempre gli stessi, ma proprio gli stessi topoi (il no-global,
l’onorevole distratto-ma-buono, il professore frustrato nelle aspirazioni
di grande scrittore, la casalinga Bovary di alto ceto o del ceto basso
– la protagonista di Un Mondo Perfetto si chiama Emma… –,
l’adolescente inquieto in fissa con Marylin Manson, la vecchia popolana
sguaiata che guarda la De Filippi); quei topoi che fanno dire agli spettatori
all’uscita del cinema: “quanto è vero!”, perché
i personaggi somigliano così tanto ai loro amici nel gergo giovanilistico
e sempre già superato un istante dopo, nelle piccole idiosincrasie,
nei sentimenti contraffatti da infelice società del benessere.
Il confronto con un (per altri versi non esaltante) McEwan e il suo ultimo
Sabato viene spontaneo: un libro pieno, anziché di chiacchiere,
di pagine dettagliate e appassionate sul lavoro di un neurochirurgo di
esperienza, con tanto di descrizioni meticolose di operazioni al cervello,
procedure di sala operatoria, diagnosi di malattie degenerative –
pagine che non solo non annoiano, ma regalano il piacere di avvicinarsi
a una materia nuova, a una professione sconosciuta, come pochi libri contemporanei
hanno mai fatto. E sempre per guardare all’estero (che cosa dobbiamo
fare?), nel tentativo di restituirci un quadro davvero “autentico”
della famiglia americana di questo inizio di millennio, Franzen nelle
Correzioni ha riempito pagine e pagine con la descrizione di una grigliata
domestica, o della crociera di due pensionati, accumulando dettagli su
dettagli, parole su parole, che sono – lì sì! –
capaci di descrivere dall’interno un mondo facendocene davvero cogliere
in profondità l’essenza, e facendocene cercare un senso,
se lo vogliamo, senza sbrodolate sui sentimenti, senza “introspezioni
vere” che più reality non si può.
Ultima considerazione, gemella a quella che da anni divide quando si parla
di televisione: è il pubblico a chiedere prodotti di così
basso livello, o sono i prodotti mediocri ad abbassare il livello culturale
del pubblico? Chi sono questi lettori entusiasti che ci parlano dalla
rete: gli omologhi della bonona incolta e sognatrice e dell’altoborghese
disillusa della Mazzucco, o persone normalmente avvezze a pagine più
articolate, per una volta – magari in un momento di debolezza o
distrazione – impressionate da quattro notiziole su un call-center
telefonico, sulle famiglie da mille euro al mese o sulla scuola dell’obbligo?
Forse, più semplicemente, non sono altro che lettori in cerca di
un’evasione facile, rassicurati dai luoghi comuni e dal politicamente
corretto, facilitati dall’uso di un gergo narrativo da fiction al
quale sono ormai avvezzi da anni. E forse nella loro capacità di
rasserenare questi lettori, di rispondere a una richiesta di ordine, è
il valore “autentico” dei libri di Veronesi e Mazzucco. Ma
non chiamiamola, per carità, letteratura.
(c)
Ideazione.com (2006)
Home
Page
Rivista | In
edicola | Arretrati
| Editoriali
| Feuilleton
| La biblioteca
di Babele | Ideazione
Daily
Emporion | Ultimo
numero | Arretrati
Fondazione | Home
Page | Osservatorio
sul Mezzogiorno | Osservatorio
sull'Energia | Convegni
| Libri
Network | Italiano
| Internazionale
Redazione | Chi
siamo | Contatti
| Abbonamenti|
L'archivio
di Ideazione.com 2001-2006