La lunga marcia della Cina
di Alberto Indelicato

Ideazione di novembre-dicembre 2006

Da Mao a McDonald's
 Fernando Mezzetti
   Milano, Tea, 2006
 pp. 535, € 10

La Cina è probabilmente il paese che ha fatto – o subìto – un maggior numero di rivoluzioni nel Ventesimo secolo, rivoluzioni anzitutto politiche, ma anche economiche e culturali. Con un costo umano enorme, il sonnacchioso impero, che sembrava destinato ad essere la vittima predestinata dei vicini giapponesi e degli Stati europei, si è trasformato in uno dei protagonisti dell’attuale scena mondiale. Il suo risveglio era sembrato cominciare con la proclamazione della repubblica nel 1911. Il governo di Pechino partecipò addirittura alla prima guerra mondiale accanto agli Alleati, ma si rifiutò di firmare il trattato di Versailles ritenendo che la sua vittoria fosse stata “mutilata” dal Giappone, anch’esso tra i vincitori. Le lotte tra i signori della guerra negli anni seguenti avrebbero facilitato l’ingerenza del bellicoso vicino, che sarebbe continuata e si sarebbe fatta sempre più arrogante sino all’occupazione di buona parte del suo territorio nel corso della seconda guerra mondiale. Dopo la sconfitta, del Giappone si giunse al duello finale tra Kuomintang e comunisti, conclusosi con la vittoria di questi ultimi nell’ottobre del 1949. Fu allora che cominciò una nuova storia senza che però cessassero le rivoluzioni, ora opera dello stesso partito che aveva unificato la Cina e del suo “Grande timoniere”, Mao Zedong. È a questo lungo periodo non meno tragico dei precedenti che Fernando Mezzetti ha dedicato il suo lavoro Da Mao a McDonald, accurata ricostruzione delle lotte all’interno della dirigenza comunista e della modernizzazione del paese realizzata da un regime che ha saputo conservare una solida presa sulla società. In questo modo alla Cina sembra essere riuscito l’esperimento fallito a Gorbaciov di salvare un regime irrazionale e dittatoriale pur allentando la presa sulle strutture economiche. Ma per giungere ad un tale risultato, il partito e Mao in particolare hanno fatto subire alla popolazione le loro “rivoluzioni”, esperimenti che sono costati milioni di vite umane, immani sofferenze e umiliazioni, tragedie individuali e collettive innumerevoli.

Non fu, infatti, soltanto negli anni della rivoluzione culturale che studiosi, scienziati, intellettuali furono mandati a lavorare nei campi ad imparare dai contadini o che i professori dovettero essere sbeffeggiati o torturati dagli studenti. Già nella stagione che seguì ai “cento fiori” ed in quella del “gran balzo in avanti” la società era stata sconvolta in base a presupposti ideologici e, naturalmente, alle rivalità personali. Mezzetti rievoca quei periodi utilizzando una ricca documentazione; gli giova anche la sua esperienza personale di attento giornalista che, se deve seguire l’attualità, non sottovaluta mai né gli aspetti profondi, ideologici e politici, né le conseguenze umane drammatiche delle lotte per il potere.

Esse - com’è noto - sarebbero continuate dopo la morte di Mao, nel suo nome e per rispettare o surrettiziamente stravolgere il suo insegnamento. La lotta contro la “banda dei quattro” e l’avvento di Deng Xiaoping sono gli snodi decisivi del periodo, poiché senza di essi non sarebbe cominciata la trasformazione della Cina. Tra tanti “rivoluzionari” Deng è stato indubbiamente quello che ha maggiormente spinto il paese nella direzione della modernizzazione. Ma egli è anche il responsabile del massacro di piazza Tien an Men con cui è stata soppressa nel sangue la vera e più necessaria grande modernizzazione, la concessione della libertà politica. Per il momento, comunque, i cinesi sembrano accontentarsi della possibilità di migliorare la loro situazione economica e per alcuni di loro quella di arricchire seguendo in certo modo l’esortazione che, già un secolo e mezzo prima, François Guizot rivolgeva ai francesi.

I progressi economici individuali hanno portato anche allo sviluppo della Cina come grande potenza commerciale, con un’espansione delle esportazioni che, specie quelle di prodotti a basso costo, non mancano di preoccupare gli altri paesi. Mezzetti non perde d’occhio quest’aspetto, né tanto meno la nuova politica internazionale instaurata già all’epoca di Mao con il riconoscimento da parte degli stati occidentali e degli Stati Uniti in particolare. Non che essa sia priva di pericoli, come dimostrano le ricorrenti minacce a Taiwan, ma indubbiamente con il mutato status, con le maggiori responsabilità internazionali e con la migliorata situazione economica, la Cina ha perduto buona parte di quel carattere “avventurista”, che la caratterizzava nei primi decenni del regime comunista. Il non breve e tormentato cammino da quegli anni di fanatismo ed ottusità ideologia alla modernità attuale della Cina odierna nella precisa e brillante ricostruzione di Mezzetti è ben rappresentata dal titolo del suo libro che potrebbe sembrare paradossale; ma - come si sa - il paradosso è spesso la scorciatoia della verità.


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