Come
studiare la comunicazione
di Paola Liberace
Ideazione
di maggio-giugno 2006
Una scienza normale
Andrea Miconi
Meltemi
editore, Roma, 2005
pp. 191, € 17
Nell’affollamento
di pubblicazioni sui mezzi di comunicazione di massa, il libro di Andrea
Miconi si distingue già a partire dagli intenti dichiarati: fornire
un contributo sul metodo, una proposta per studiare i media, e non l’ennesima
prospettiva dirompente. L’obiettivo è lavorare perché
la scienza delle comunicazioni evolva da uno stato di permanente eccezionalità,
fatto di teorie generali di grande impatto, a quello di una ragionata
normalità, con lo sviluppo delle teorie stesse e con la loro verifica
e applicazione. Agevolmente si condivide l’analisi dell’autore,
che – citando Bourdieu – rileva come l’eccesso di estro
(e il corrispondente difetto di rigore) ha sinora dato l’impressione
di una scienza inesistente, inventata a bella posta per accogliere sacche
di inefficienza accademica.
Passare da questo stato entropico a una disciplina – nel senso letterale
del termine – è possibile, più che proponendo un’innovazione
di merito, attraverso una scelta metodologica precisa: che privilegia
la continuità rispetto alle rotture, la “ripulitura”
del paradigma rispetto alla creazione di un paradigma nuovo, la parzialità
dell’analisi scientifica rispetto alla totalità dell’immaginazione.
Conseguente (e plausibile) la scelta dei riferimenti: Weber invece di
Morin, Ong invece di De Kerchove, Colombo invece di Benjamin. È
il profilo di una ricerca conservativa: non soltanto perché rifiuta
di procedere per svolte drammatiche, ma anche perché recupera eredità
pesanti, oggi vagamente demodé. Procedimento meritorio, fino a
che dalle tre assunzioni di metodo – il distacco, la parzialità
del campo d’indagine, la valutatività – si passa alla
loro applicazione in un’ottica di estrazione materialista. Qui il
senso di sollievo iniziale inizia a rarefarsi progressivamente. Il proposito,
almeno in prima battuta, è condivisibile: si tratta di inaugurare
la transizione da una serie di pratiche “deboli”, figlie di
un pensiero imparentato con il postmoderno, a un metodo “forte”,
limitato e replicabile. Con un passaggio ulteriore, tuttavia, i quattro
modelli interpretativi proposti (le “onde lunghe” di Kondrate’v,
i “gruppi sociali pertinenti” di Bijker, le “tecnologie
caratterizzanti” di Bolter, e la “lunga durata” di Braudel)
vengono incastonati in una visione complessiva in cui risuonano le parole
chiave di classiche letture “organiche”. La preferenza accordata
al materialismo viene così sovrapposta alla scommessa metodologica:
in realtà, l’abbandono delle retoriche del moderno e del
complesso non coincide con una scelta obbligata in questo senso, tanto
più se uno dei requisiti del metodo ha da essere la falsificabilità,
in nome della quale Miconi ha accantonato le teorie di Levy e De Kerchove.
Il libro procede rivendicando un’impostazione selettiva, che concentra
lo sguardo della ricerca su un obiettivo preciso. Eppure, per mettere
alla prova la tenuta del metodo, è necessario sposare la selettività
con la generalizzabilità del modello. In caso contrario, si corre
il rischio di tracimare dalla proposizione metodologica in una sequenza
di assunzioni che, tutte insieme, danno l’impressione di raccontare
una storia già sentita. Come quella del “flusso televisivo”,
che plasmerebbe la società secondo l’intenzione di alcuni
gruppi sociali pertinenti (tesi discutibile non solo per il passato della
tv, alle cui origini non esiste un flusso ma tanti programmi irrelati,
ma anche per il suo presente e futuro, legato alla visione di singoli
eventi – partite, concerti, film, eccetera). O come quella dell’economia-mondo,
al cui interno lo strapotere economico del centro sulla periferia corrisponderebbe
a quello culturale e comunicativo. Dall’iniziale sollievo si giunge
infine al dubbio: va riconosciuto a Miconi il merito di voler ricondurre
la scienza delle comunicazioni alla serietà del metodo, ma non
è chiaro se sia necessario, a questo scopo, consegnarsi a principi
mutuati da una scienza che minaccia di sconfinare nell’ideologia.
(c)
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