L'antisionismo degli europei
di Marta Brachini
Ideazione
di marzo-aprile 2007
Autodafé
L'Europa, gli ebrei e l'antisemitismo
Emanuele Ottolenghi
Lindau, Torino, 2007
pp. 373, € 24
La
parola Autodafé richiama «quel grottesco e orribile rituale medioevale
nel quale uomini e donne giudicati eretici si autoincolpavano
pubblicamente e affrontavano le fiamme purificatrici dei roghi
inquisitori». Il richiamo medievale nel titolo dell’ultimo libro di
Emanuele Ottolenghi – Autodafé. L’Europa, gli ebrei e l’antisemitismo –
non giunge casualmente, anzi, mette in rilievo con forza un fenomeno di
dissociazione e autonegazione sempre più diffuso tra gli intellettuali
ebrei europei dei nostri giorni rispetto alle idee sullo Stato di
Israele. Il parallelo storico vuole sottolineare una continuità col
passato che, pur in condizioni ovviamente irripetibili, si trascina
dietro ferite ancora aperte. Questo libro è una vera e propria
psicoanalisi della genesi di un contraddittorio rapporto dell’Europa con
l’ebraismo nella sua dimensione nazionale, lo Stato d’Israele. Una
indagine ampiamente documentata con lettere, articoli, dichiarazioni,
petizioni e memoriali, raccolti a partire dall’estate 2001, ovvero da
quando Ottolenghi assistette al pubblico mea culpa di un gruppo di ebrei
londinesi durante una conferenza sui profughi palestinesi alla London
School of Economics. Un vero e proprio punto di partenza per indagare il
crescente antisionismo europeo degli ultimi cinque anni, le motivazioni
stesse dei suoi sostenitori e le radici più profonde di un sentimento
antisemita in continua trasformazione nel tempo. Un campo di ricerca
complesso, soprattutto considerando l’esistenza di un dualismo di fondo,
ormai consolidato, tra un ebraismo della diaspora, universalista, degli
ebrei “senza armi e senza bandiera”, e un ebraismo nazionale, prodotto
della riconciliazione di un popolo con la terra, culturalmente
rivendicata, nel nome di una appartenenza che fonda le sue radici
nell’identità religiosa. E in una società dove, in nome della promozione
di ideali multiculturali, umanisti, illuministi e cosmopoliti di nuova
generazione, viene privilegiata a priori la difesa delle minoranze, la
scelta cade inevitabilmente su quella ebraica in Europa e quella
palestinese in Israele. Sono queste le idee che fanno apparire superiore
solo un determinato tipo di ebraismo – quello dei «buoni ebrei» d’Europa
come li definisce Ottolenghi – ovvero di quelli che si dissociano,
rivendicano la superiorità morale della diaspora, denunciano e rivelano
la vera natura dello Stato d’Israele rimettendo in discussione le sue
vere origini, nel riconoscimento dei limiti di uno Stato etnicamente
connotato. Ne dà prova la stessa popolarità di scrittori e attori del
panorama culturale europeo ed italiano che promuovono e diffondono una
immagine politicamente accettabile dell’ebraismo. Illuminante in tal
senso l’analisi dell’autore che mette in evidenza un tipo di difficoltà
psicopolitica che investe in pieno il dilemma dell’identità ebraica
eternamente in discussione, ora messa alla prova dalla stessa esistenza
di una identità nazionale israeliana. Nel cuore del libro troviamo
infatti una attualissima riflessione sul postsionismo, i nuovi storici e
la delegittimazione d’Israele dove viene meticolosamente criticata la
radicata convenzione secondo cui «il sionismo e la sua attuazione
comportano una perdita d’innocenza per il popolo ebraico» e i cui
«inquietanti risvolti non hanno nulla a che fare con la ricerca
storica». Ottolenghi analizza infatti il grado di influenza che hanno
gli scritti e le opinioni di intellettuali ebrei come Noam Chomsky negli
Stati Uniti, Harold Pinter in Inghilterra, dei nuovi storici israeliani
Benny Morris o Avi Shlaim e della loro diffusione nel continente
europeo. E aggiunge moltissimi esempi di come un certo tipo di pensiero
politico – pur espresso legittimamente – riesce a farsi pensiero
dominante, spacciandosi per pensiero critico, guadagnandosi il favore di
una certa corrente politica che non disdegna di farlo proprio
soprattutto se funzionale ai suoi interessi. Val la pena citare – a
titolo esemplificativo – i boicottaggi delle università israeliane, come
forma di protesta contro le “politiche di apartheid” di Israele, che
hanno affascinato e contagiato migliaia di professori universitari
statunitensi, inglesi, europei ed italiani. Senza dimenticare i proclami
come quelli diffusi dalla British Association of University Teachers
(Aut) dell’aprile 2005 o il boicottaggio delle relazioni scientifiche e
culturali con Israele promosso dalla prestigiosa Università Ca’ Foscari
di Venezia nel 2003 e firmato da professori di tutto il mondo. Se si
vuole andare a fondo sul perché di questo tipo di manifestazioni
pubbliche, il libro di Ottolenghi è il testo adatto a fornire delle
risposte.
(c)
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