Ronald
Reagan, un americano vero
di Tiziano Buzzacchera
Ideazione
di maggio-giugno 2006
Ronald
W. Reagan.
Un americano alla Casa Bianca
Marco Respinti
Rubbettino
Editore,
Soveria Mannelli, 2006
pp. 156, € 13
La vittoria più grande nella vita politica di Ronald
Reagan, a ben vedere, sarà stata quella di aver ridato voce all’America
vera, l’heartland, il cuore appassionato della middle-class americana
che aveva smesso di pulsare dopo i contorsionismi multiculturalisti, statalisti
e buonisti di Kennedy, Johnson e Jimmy Carter (e il semi-tradimento di
Nixon). Il trionfo di Reagan fu, come si è già sottolineato
altrove, lo specchio della rivoluzione di Barry Goldwater: è proprio
dal 1964, l’anno del tracollo del senatore dell’Arizona, allora,
che parte la disamina di Marco Respinti che, nel suo Ronald W. Reagan.
Un americano alla Casa Bianca, getta uno sguardo su quel che accadde nei
quindici anni che separarono l’elezione di “Ronnie”
dall’amara esperienza goldwateriana. Anni segnati dall’imporsi
della prospettiva di un “fusionismo possibile” che ricomponesse
i pezzi del puzzle che coloravano al tempo (e ancor oggi) il panorama
della rive droite americana, per raccontare poi la rassicurante parabola
della presidenza Reagan.
«Goldwater – scrive Respinti – compattò e galvanizzò
attorno alla propria candidatura le diverse articolazioni, spesso litigiose,
della Destra nordamericana; portò con significativo, anche se non
completo, successo il conservatorismo in politica; e influenzò
ampi settori del Partito Repubblicano in modo tanto profondo da imprimere
a una certa parte di quella formazione politica una svolta a destra mai
più venuta meno». Reagan, in breve e molto semplicisticamente,
fece il resto, perché «ha offerto ai conservatori e alla
nazione intera la propria Amministrazione come casa comune definitiva
della politica conservatrice, rilanciando e incarnando l’idea goldwateriana
del partito politico che si piega sul movimento facendosene interprete».
Ma, dopo Reagan? Dopo c’è un «fusionismo possibile»,
giacché «la storia del conservatorismo statunitense è
storia di fusionismi», di lancinanti dibattiti e contrapposizioni
rigide, eppure il nocciolo della Right Nation potrebbe essere uno solo,
al di là dei nomina e delle distinzioni. Quindi, si dovrebbe seguire
l’esempio di Meyer e anche andare oltre. Perché questi fu
criticato dalla destra libertarian (e, segnatamente, da Rothbard), pur
incorniciando una riscoperta delle radici non pensabile senza il ramo
neocon, componente ormai salda a destra, ancorché affatto scevra
da critiche feroci da parte della Old Right.
Non c’è solo questo, naturalmente, nel libro di Respinti.
Le divisioni scompaiono quando ci si affaccia a leggere due bellissimi
discorsi del Presidente, tra cui quello che diverrà famoso come
il discorso sull’ “Impero del male”, l’inferno
sovietico targato falce e martello. E, altrettanto ovviamente, non poteva
mancare il reciproco scambio di affettuosi e sinceri, ma mai retorici
o abborracciati, complimenti fra i due leader, l’uno Reagan appunto
e l’altro “Maggie” Thatcher, che hanno avuto il merito
di rendere il mondo un po’ più libero, a dispetto dell’ironia
dei critici. In comune avevano la fiducia negli individui, la profonda
diffidenza verso il governo e l’odio verso il comunismo. Certo,
lo stile era diverso, eppure era la capacità di persuadere e comprendere
l’anima profonda dei propri popoli ciò che avvicinava fraternamente
questi due straordinari presidenti.
Tocca infine ai conservatori stessi giudicare Reagan. Paul Craig Roberts
(teorico della supply-side economics ed editorialista vicino agli ambienti
libertarian) ne mette in luce l’opera, pressoché unica, in
campo economico: sbriciolamento delle aliquote fiscali dal 70 al 28 per
cento, ripresa economica, allontanamento dai precetti keynesiani ma, soprattutto,
il coraggioso ed infaticabile lavoro di difesa del capitalismo, mentre
Ed Feulner dell’Heritage Foundation descrive sapientemente la sua
capacità di aver ridato orgoglio e vitalità ad una nazione
in declino. A Padre Robert Sirico è affidato invece il compito,
tutt’altro che ingrato, di delineare l’inusuale abilità
di Reagan nel mettere in fila le priorità morali, o meglio la Priorità
con la p maiuscola: restituire dignità alla singola persona, “creata
a immagine di Dio”, in un’era in cui proprio i collettivismi
erano riusciti a violentare il senso dell’essere umano. Dinesh D’Souza,
nel suo contributo, coglie i meriti dell’operato del presidente
nella lotta al comunismo, Pat Buchanan e Peggy Noonan, quest’ultima
già speechwriter di Reagan, ricostruiscono invece la figura di
un politico atipico, onesto, generoso ed idealista. Un po’ come
la sua America, dopotutto.
(c)
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