Mali
vecchi e nuovi dell'America Latina
di Maurizio Stefanini
Ideazione di gennaio-febbraio
2006
Rumbo
a la libertad
Álvaro Vargas Llosa
Planeta,
Madrid, 2004
pp. 344, $ 13,95
«Por
qué la izquierda y el neoliberalismo fracasan en América
Latina», «perché la sinistra e il neoliberalismo falliscono
in America Latina». È una domanda veramente cruciale quella
cui cerca di rispondere Álvaro Vargas Llosa in Rumbo a la libertad:
un libro certamente da leggere per chi vuole capire certe recenti evoluzioni,
superando gli opposti schematismi. Ma, innanzitutto, è utile capire
di chi stiamo parlando. Nato a Lima nel 1966 e figlio del famoso scrittore
Mario, dopo essersi laureato in Storia Internazionale alla London School
of Economics Álvaro Vargas Llosa fu a 23 anni portavoce della campagna
elettorale del padre durante la sua famosa candidatura alla presidenza,
e di quell’esperienza lasciò un resoconto vivace nel libro
El diablo en campaña. Ma, come è noto, quelle elezioni furono
perse di fronte all’outsider di origine giapponese Alberto Fujimori,
che prima da candidato capitalizzò in modo demagogico la paura
della sinistra per le ricette liberali dell’avversario, e poi da
presidente le fece invece proprie, unendovi per di più un piglio
autoritario che costrinse lo stesso Álvaro in esilio. E lì
divenne noto per il Manuale del perfetto idiota latinoamericano: un salace
pamphlet contro il populismo di destra e di sinistra, scritto a sei mani
col colombiano Plinio Apuleyo Mendoza e con l’esule cubano Carlos
Alberto Montaner, e poi continuato nell’altro volume Fabricantes
de miseria. Ma scrisse anche altre opere. Tra esse El exilio indomable,
sulla storia dell’opposizione anticastrista di Miami; e En el reino
del espanto, drammatica cronaca degli eccessi compiuti dai servizi segreti
della coppia Fujimori-Montesinos col pretesto della lotta antiterrorista.
Divenuto consigliere dell’“indio di Harvard” Alejandro
Toledo, Álvaro lo accompagnò nella vittoriosa battaglia
che avrebbe costretto alla fine Fujimori alla fuga, divenendo responsabile
delle relazioni internazionali del suo partito Perú Posible. Ma,
una volta arrivato Toledo alla presidenza, si sarebbe a sua volta scontrato
con un nuovo clima di corruzione e favoritismi, trovandosi un’altra
volta costretto all’esilio. Insomma, un’amara esperienza personale
di quanto in America Latina si finisca per cambiare tutto per non cambiare
niente. Ma nella sua disavventura Álvaro ha visto una metafora
della più generale impasse in cui si è cacciata l’intera
regione all’inizio del XXI secolo, col generalizzato fallimento
di quel tipo di riforme economiche comunemente definite “neo-liberali”
o del “Consenso di Washington”, e con il ritorno di politici
populisti della schiatta di quelli che avevano a loro volta innescato
i disastri economici degli anni Sessanta e Settanta. A differenza dei
suoi lavori più noti, questo libro lascia dunque il tono abituale
del pamphlet per lanciarsi in un’analisi storico-economica a tutto
tondo che, senza mai essere pesante, si ammanta però di un corpus
di note e bibliografia veramente imponente. La chiave interpretativa,
ovviamente, è tutta in quel “neoliberalismo” messo
tra virgolette. In America Latina, secondo Álvaro, continuano a
imperare da secoli «cinque principi di oppressione» che traggono
le proprie origini sia nel passato precolombiano che nell’eredità
iberica: il corporativismo; il mercantilismo di Stato; il privilegio;
la redistribuzione dal basso verso l’alto; la politicizzazione del
diritto. E non sono solo i populisti di sinistra e di destra che, sostenendo
di combattere l’arretratezza latino-americana, hanno finito in realtà
per rafforzarne queste cause. Anche il tipo di politiche liberali che
sono state realizzate negli anni Novanta hanno avuto un effetto simile,
proprio perché non hanno inciso su questi nodi di fondo. Le privatizzazioni,
in particolare, non hanno mirato a diffondere la proprietà e la
concorrenza, ma sono servite solo a finanziare il clientelismo, sostituendo
agli inefficienti monopoli pubblici dei monopoli privati altrettanto rapaci.
E in generale il sistema giuridico continua a non essere funzionale al
primario obiettivo di creare un sistema di diritti di proprietà
diffuso e garantito.
Se però il sottotitolo è pessimista, nel titolo vero e proprio
una nota di speranza rimane: Rotta alla libertà. Così come
le “cinque piaghe” sono presenti nel passato di paesi non
latino-americani che sono riusciti a superarli, osserva, anche nel passato
precolombiano e ispanico ci sono esempi grandiosi di imprenditoria dal
basso, autonomia della società e fermenti intellettuali libertari:
dalle repubbliche mercantili del Messico azteco alle teorie liberiste
della Scuola di Salamanca. E se si tratta di fermenti che sono stati sconfitti,
ne è restato comunque abbastanza da alimentare quel poderoso movimento
di auto-organizzazione dal basso che i latino-americanisti hanno chiamato
rivoluzione informale. Su questo, ci dice Álvaro Vargas Llosa,
bisogna continuare a puntare.
(c)
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