Alle
origini del nazionalsocialismo
di Federico Anghelé
Ideazione
di settembre-ottobre 2006
Hitler
e i tedeschi
Eric Voegelin
Milano,
Medusa, 2005
pp. 262, € 24
Districarsi
nella ricchissima produzione libraria che ha come protagonista la Germania
nazista non è impresa semplice. Se si vuol esser certi di non sprecare
il proprio tempo, allora questo Hitler e i tedeschi sarà il libro
giusto. Il volume raccoglie un ciclo di lezioni che Eric Voegelin tenne
a Monaco nel 1964. All’epoca, il filosofo politico tedesco aveva
da poco fatto ritorno in Germania dopo un esilio incominciato nel 1938.
Approdato negli Stati Uniti, si era dedicato all’attività
accademica insegnando presso l’Università della Louisiana
a Baton Rouge.
In America egli si era affermato con saggi come Scienza, politica e gnosi,
Ordine e storia nei quali si rintraccia il tema principale della sua riflessione
filosofica: la progressiva affermazione della gnosi, vera cifra distintiva
dell’età moderna. È all’interno di questo scenario
che si inseriscono le vicende del nazismo considerato come una “religione
politica”, per usare una categoria euristica oggi di gran moda.
Voegelin, infatti, non si limita a tracciare un profilo storico-politico
del Terzo Reich, ma si propone, invece, di indagare «la condizione
spirituale di una società nella quale i nazionalsocialisti riuscirono
a raggiungere il potere». È pertanto evidente come il nazismo
non segni nient’altro che l’apice – il più sanguinario
e disumanizzante, ovviamente – di una parabola in cui si inscrive
il passato tedesco. Al di là delle specificità germaniche
Voegelin è convinto che la disumanizzazione che ha prodotto la
barbarie novecentesca nasca ben prima del secolo appena trascorso.
L’inizio di tale processo regressivo è infatti segnato dal
rifiuto umano di riconoscere la propria natura teomorfica, di considerarsi
imago Dei, parte, cioè, del divino: «Non è possibile
negare la propria divinità senza negare la propria umanità
– con tutte le conseguenze della disumanizzazione che si dovranno
affrontare». Diretta conseguenza di tale rifiuto è l’attitudine
umana a negare la realtà e a plasmarne, d’altra parte, una
totalmente nuova. Resosi demiurgo, l’uomo fa proprio il celebre
motto di Novalis: «Il mondo sarà come io lo desidero».
Per Voegelin, pertanto, «la costruzione di una seconda realtà
deriva dal desiderio di raggiungere l’aldilà nel mondo terreno.
L’individuo non ha un rapporto genuino con il trascendente, che
diventa piuttosto un oggetto da possedere».
È a questo punto che si innestano le caratteristiche proprie del
mondo germanico che resero possibile l’affermarsi di un regime “ideocratico”,
rifacendosi all’acuta espressione coniata da Ernst Nolte. Innanzitutto,
in Germania, a differenza del resto dell’Occidente, la costruzione
della società e dell’idea di uomo non è avvenuta tramite
l’umanesimo, il rinascimento, il giusnaturalismo, l’illuminismo
ma soltanto attraverso il periodo romantico caratterizzato dallo scaturire
della concezione del Volkstum, cioè dell’irriducibile specificità
di un popolo, idea che ha contribuito a separare l’homo germanicus
dal resto dell’umanità.
Le spinte nazionalistiche e scioviniste non fecero che accrescersi con
l’imperialismo bismarckiano, in cui la politica della forza del
Kaiser non venne bilanciata da una crescita della partecipazione politica
della società tedesca. Ben prima di Weimar, che si rivelò
un regime prigioniero degli opposti schieramenti radicali, era chiaro
come l’analfabetismo spirituale avesse ormai afflitto anche le classi
dirigenti. Così si spiega l’ascesa della figura di Hitler,
«uomo privo di ragione e di spirito, che – secondo Voegelin
– non ricevette mai un orientamento in termini di sviluppo personale
da nessuna opera letteraria di pregio nella storia dell’umanità».
Il fascino del Führer, in grado di soggiogare un popolo ridotto alla
stupidità (il filosofo si rifà qui alle tesi espresse da
Musil nel saggio Sulla stupidità del 1937), non aveva però
fatto presa sui tanti che abbandonarono la Germania fin dal ’33
e che colsero da subito l’intrinseca ferocia disumanizzante del
regime nazista.
Giocoforza, se il nazismo ha costituito la più assassina delle
metastasi di un cancro radicato nella modernità, l’Occidente
non potrà guarire che ripensando i propri stessi presupposti, a
cominciare dal rapporto con la trascendenza. E, perorando la causa del
realismo politico contrapposto alla politica delle ideologie, Voegelin
ci lascia memorabili parole di una stringente attualità: «Ogni
società che funzioni, una società di patrizi, si basa su
atti di cortesia, su compromessi, su concessioni agli altri. Chiunque
abbia un’idea fissa e la voglia mettere in atto, e cioè chiunque
interpreti la libertà di parola e la libertà di coscienza
fino al punto di ritenere che la società dovrebbe agire nel modo
che egli ritiene giusto, non ha qualità adatte per essere cittadino
di una democrazia».
(c)
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