Il terrorismo è come il fiume carsico: periodicamente scompare e poi si manifesta all’improvviso irrompendo dalle viscere della terra. La verità è che non interrompe mai la sua corsa perché la tendenza all’estremismo è un elemento permanente della natura degli uomini, nei quali esalta i risentimenti sino a farli sfociare nell’odio, provocando impulsi aggressivi, anzi distruttivi. L’uomo, per fortuna solo eccezionalmente ed in sparuta compagnia, può fare anche questo: quando è sopraffatto dal rancore cede alla tentazione della giustizia sommaria e vede il suo simile come il nemico da abbattere. L’uomo, l’altro uomo, colui che pensa in modo diverso, diventa l’ostacolo da rimuovere. Magari ammazzandolo con rito d’urgenza.
Il terrorismo è il contrario della politica. Se quest’ultima getta le fondamenta nel consenso, il terrorismo è sbrigativo e opera puntando tutto sulla suggestione di poter raggiungere velocemente qualunque obiettivo. E tuttavia l’unica arma efficace contro il terrorismo rimane la politica. Perché il terrorismo, per esercitare la sua attività, ha bisogno di compiacenze e di potersi muovere in quell’acqua torbida che è un intruglio di reticenze, di silenzi, di espressioni equivoche che non pronunziano mai né adesioni né condanne esplicite. Ma coltivano l’insana illusione di poter trarre dal dramma una qualche convenienza. La politica vince se utilizza bene le sue armi. A parte gli eccessi demagogici, la sua logica ha per base, se non proprio la fiducia, almeno la speranza. E siccome l’uomo viene al mondo con la naturale speranza di vivere dignitosamente, quando anche ha deviato, conserva la tendenza a recuperare il percorso normale. Lo testimoniano quanti, avendo alimentato l’ultima ondata terroristica che ha sconvolto il nostro paese, ora sono tornati insieme a noi, nelle redazioni dei giornali e persino in parlamento. A lavorare, discutere, convenire e divergere. Cioè a fare politica.
In questo schema generale si pongono le vicende sulle quali ha indagato la magistratura milanese. Ogni volta che inquirenti attenti ed operosi riescono a sventare trame criminose che riconducono alla matrice politica di sinistra, si apre l’interminabile polemica sull’album di famiglia, sulla fondatezza dell’attribuzione della paternità allo schieramento chiamato in causa. È un rimescolare nel torbido davvero senza senso, perché è ormai acquisito che l’estremismo di sinistra si manifesta quando in quell’area si determinano eventi politici che rompono gli schemi della contrapposizione frontale. Le Brigate Rosse si costituirono dopo la decisione del pci di dar corpo alla operazione politica che produsse la “grande maggioranza”. Le frange estreme, comunque collegate al partito, considerarono quella operazione un cedimento dei comunisti alle lusinghe democristiane. Si sentirono “tradite” e reagirono con una sorta di impazzimento criminale, sorretti dalla speranza che la lotta armata avrebbe potuto impedire che l’intesa giungesse a compimento. Moro è la vittima simbolo di quella follia: non esprime l’avversione ad una ipotesi di accordo fra alcuni partiti, piuttosto uno stato d’animo destinato a ripetersi, il prodotto di quella malattia infantile della politica che si chiama estremismo. Oggi sono cambiati alcuni dettagli, ma la sensazione di abbandono della linea dura e pura da parte della formazione politica più forte della sinistra è diffusa fra alcuni militanti che non sono riusciti a superare il disagio spostando il loro fervore attivistico dal partito al sindacato. Gli eventi di Vicenza sono eloquenti, ma altrettanto lo sono gli scioperi dell’autunno scorso contro la legge finanziaria, mai prima così contestata, perché i dimostranti erano spinti dalla miscela esplosiva della rabbia sommata alla delusione. «Non bisogna abbassare la guardia» è la riposta che abbiamo sentito ripetere in questi giorni da tutti i pulpiti. Ma è una risposta burocratica, un appello a magistrati e poliziotti a tenere alto il livello dell’attenzione. Una esortazione di buon senso, non una proposta politica. Ed invece il terrorismo si può fronteggiare con una attenta attività inquirente, ma si può sconfiggere solo opponendogli una politica sana, dialettica, ordinaria, nella quale la vittoria e la sconfitta sono due elementi perenni mai esclusivi di una parte o di un protagonista. Non abbassiamo la guardia, certo; però, se ci adoperiamo anche ad elevare il livello della politica, forse è meglio.
Domenico Mennitti, sindaco di Brindisi e presidente della Fondazione Ideazione.
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