L’onda lunga della Right Nation è giunta in Europa. Da qualche
tempo, anche il dibattito intellettuale nel Vecchio Continente ha abbandonato
il pigro canovaccio del politicamente corretto trovando nuove chiavi per
interpretare la complessità dei tempi moderni. Anzi, chiavi antiche,
giacché è proprio dal versante conservatore, più che
da quello liberale, che giungono segnali più vivaci di analisi ed
elaborazione culturale per una riscossa ideale della civiltà occidentale.
Sulla scia del dibattito americano, anzi proprio nel momento in cui sull’altra
sponda dell’Atlantico quella miscela eterogenea ed esplosiva di neocon
e teocon sembra esaurire la spinta propulsiva, ecco che quelle idee, sollecitazioni
e interpretazioni prendono nuovo vigore qui da noi e vengono approfondite
e rilanciate alla luce della più lunga e meditata tradizione europea.
Meno enfasi sulle strategie imperiali dell’Occidente, nessuna particolare
predilezione per un continente che abbandoni Venere per abbracciare Marte,
nessun appello alle armi per l’Europa nel conflitto con il terrorismo
islamico. Ma sul piano dei valori e dell’identità, la sfida
al politicamente corretto è ormai lanciata.
Se in Italia, anche
sulla scia di una maggiore frequentazione dei think tank americani, alcuni
di questi temi sono da tempo entrati nel dibattito culturale, dal cuore
del Continente giungono novità interessanti, lungo l’asse centrale
di quella Vecchia Europa che in fondo custodisce il faticoso senso di marcia
dell’unificazione. Rapidi e imprevisti, ad esempio, sono stati i cambiamenti
del clima culturale nella Germania di Angela Merkel (e di Joseph Ratzinger).
Movimenti maturati nel fondo della società buonista e un po’
irresponsabile della generazione sessantottina di Gerhard Schröder
e Joschka Fischer ed emersi una volta apertasi almeno la piccola porta della
grande coalizione. Il mensile liberal Cicero, il periodico di cultura politica
più attento a captare le novità della scena berlinese, ha
analizzato a fondo il fenomeno riportandolo in un ampio dossier del numero
di agosto dal titolo inequivocabile: “Der Zeitgeist ist Konservativ”,
lo spirito del tempo è conservatore. Dalle arti al pensiero politico,
dalla letteratura alla musica fino al senso comune della società,
ovunque trionfa lo spirito conservatore. Tre le direttrici della “Reconquista”:
il piano artistico, con lo svuotamento delle avanguardie; il piano economico,
con la fine della società edonistica e il ritorno della sobrietà;
il piano politico-sociale, con la richiesta di ordine e sicurezza legata
a nuove esigenze identitarie (e religiose) anche per confrontarsi con il
radicalismo islamico, percepito adesso come pericolo anche per la società
europea. Si diffonde inoltre un sentimento ecologico, derivato dalla consapevolezza
dell’esauribilità delle risorse energetiche e della salvaguardia
del patrimonio naturale, che viene declinato in senso conservatore e non
ecologista (sul versante cattolico Papa Benedetto XVI parla di «salvaguardia
del creato»).
L’autore del lungo reportage, Juergen Busche, ci butta dentro un po’
di tutto, con il rischio di mescolare cose e persone anche assai diverse
tra di loro, ma l’insieme è convincente. E fa impressione.
Si va dal giovane Daniel Kehlmann, autore del romanzo rivelazione La misura
del mondo (appena tradotto in italiano da Feltrinelli e premiato qualche
mese fa dalla fondazione conservatrice Konrad Adenauer) all’economista
Paul Kirchhof, il professore di Heidelberg che la Merkel aveva lanciato
in campagna elettorale per poi oscurarlo quando la sua proposta di introduzione
della flat tax fece precipitare la cdu nei sondaggi; dallo storico Paul
Nolte, autore di saggi provocatori sulla riforma dello Stato sociale al
“predicatore” Peter Hahne che dalla lezione dell’11 settembre
auspica il ritorno a una società dei valori e della tradizione condensato
nello slogan “Holt Gott zurueck!”, riportiamo Dio (nella società);
dal successo del giovane musicista classico Hans Werner Henze ai sociologi
Matthias Matussek e Florian Illies, autori di libri sulla riscoperta della
patria.
Germania e patria sono
un filone recente della pubblicistica nazionale. Argomento sensibile, addirittura
tabù nei decenni passati, troppo legato alle colpe e alle tragedie
del nazionalsocialismo, ha riguadagnato interesse e spazio nell’ultimo
decennio anche a seguito della riunificazione, accompagnato a un crescente
interesse per la storia del paese. I tedeschi si accorgono che non solo
di sangue e guerre è fatto il loro passato e gli storici e i divulgatori
accompagnano questo ritrovato piacere di guardarsi indietro con libri, serie
televisive, aperture di nuovi musei sulle storie regionali, così
importanti in un paese che ha raggiunto l’unità nazionale in
ritardo rispetto agli altri grandi Stati europei. Poi il mondiale di calcio
ha fatto il resto e il tripudio inatteso di bandiere nero-rosso-oro, l’orgoglio
nazionale sublimato in undici giocatori con la maglia bianca è tracimato
in dibattiti infiniti, ma compiaciuti, sulla stampa nazionale, anche quella
di sinistra. Che poi, all’ultimo, la coppa sia finita in Italia, è
un dettaglio quasi trascurabile.
Radici cristiane, rilancio dei valori della famiglia, riscoperta del sentimento
religioso. La laicissima intellighenzia tedesca rimase letteralmente sorpresa,
un anno fa, nel misurare l’entusiasmo di tanti suoi giovani per la
giornata mondiale di Colonia e per quel Papa bavarese così austero
e tradizionalista. Oggi lo è un po’ meno nel constatare che
da settimane, ormai, il libro più venduto è Schilderungen
vom Jakobsweg, il racconto di viaggio di Hape Kerkeling lungo la via del
pellegrinaggio a Santiago di Compostela, ricco di sentimento e pathos religioso
e divenuto una sorta di Siddharta per cattolici ritrovati. Il libro di Kerkeling
è al primo posto nelle classifiche di saggistica, il romanzo di Kehlmann
guida quelle di narrativa. Due anni fa, in cima a quelle classifiche c’era
la saga anti-bushiana di Michael Moore: non c’è dubbio che
si tratti di una svolta. Talmente ampia da intaccare anche il tempio della
cultura socialdemocratica del paese, il settimanale Der Spiegel, che da
sempre misura umori e passioni della pensosa sinistra anseatica. Cicero
è drastico e dopo essersi chiesto quanto a destra sia scivolato il
magazine amburghese, conclude: con la direzione di Stefan Aust, una cosa
è certa, non è più di sinistra. L’ultima copertina
sullo scandalo dello scrittore-icona Günter Grass, con l’autore
raffigurato mentre batte mestamente sul suo tamburo di latta, sembrerebbe
confermare anche questa svolta.
Da Berlino a Parigi
rimbalza poi il dibattito sulla famiglia, sul suo valore, sulla sua riscoperta
come base morale ed economica di una moderna società europea. Aumentano
i divorzi, diminuiscono i matrimoni, nascono sempre meno bambini ma i conservatori
non si danno per vinti e rilanciano proposte concrete per politiche familiari
raccordandosi anche su questo versante con il mondo cristiano. E se in Germania
il ministro per la Famiglia della cdu Ursula von der Leyen esibisce orgogliosamente
in copertina la propria numerosa famiglia come esempio della possibilità
di realizzarsi a un tempo a casa e sul lavoro tenendo assieme tradizione
e modernità, in Francia il settimanale Courrier International dedica
uno dei suoi numeri alla riscossa conservatrice che fonde identità
e valori familiari e che, unita a un senso di patria che a Parigi si tinge
sempre di grandeur nazionale e di senso repubblicano, fanno ormai parte
del bagaglio elettorale del candidato conservatore alla presidenza, Nicolas
Sarkozy, forse il politico più brillante e passionale apparso negli
ultimi tempi sulla scena politica europea. Legge e ordine, valori religiosi
e senso repubblicano, libertà economica e riforma dello Stato sociale
sono punti cardine di un programma che mira a chiudere la lunga e cinica
stagione chiracchiana e a fondare su basi morali e civili più solide
una nuova fase del centrodestra francese.
Insomma, proprio dal cuore di un’Europa che sembrava destinata a un
declino inesorabile per la pressione economica delle grandi economie asiatiche,
per l’incapacità riformistica della proprie società,
per la marginalizzazione della sua presenza strategica, giunge una proposta
che, per alcuni aspetti e con diversi risultati, ha già sostanziato
esperienze di governo in Spagna e in Italia.
Bisognerà vedere
se questa proposta, lungi dal prospettare una società chiusa che
del conservatorismo privilegia solo gli aspetti difensivi in una sorta di
riedizione dell’antico trittico Dio-Patria-Famiglia, saprà
affinarsi e calarsi nelle dinamiche di società moderne, fornendo
soluzioni a tempi complessi e non solo facili scorciatoie in un passato
idealizzato. E, soprattutto, se le classi dirigenti europee di centrodestra
vorranno adottarla, ritenendola una valida traccia su cui impostare politiche
future. Non è detto che questo accada. E se in Francia Nicolas Sarkozy
sembra offrire la sintesi finora più convincente tra istanze conservatrici,
tradizione repubblicana e riformismo liberista, proprio in Germania, dove
più robusta è la pressione del pensiero conservatore, la cdu
di Angela Merkel è assai più prudente: perché costretta
a una coabitazione impegnativa con i socialdemocratici e perché il
suo personale politico appare innanzitutto culturalmente impreparato a cogliere
“l’opportunità conservatrice”. Lo stesso si può
dire per l’Italia, dove Fini prevede per an bagni di modernità,
Forza Italia ritarda l’aggiornamento della propria proposta politica
post-berlusconiana, la Lega affoga nel populismo e il piccolo partito cattolico
dell’udc nell’eterna tentazione trasformista. Della Spagna,
neanche a parlarne. Con il paradosso di leggere, in molti paesi d’Europa,
il romanzo politico surreale di governi di sinistra al tempo dello Zeitgeist
conservatore.
Pierluigi Mennitti,
direttore di Ideazione.
(c)
Ideazione.com (2006)
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