Peter Bauer si interessò moltissimo alla questione di come gli
atteggiamenti possano influenzare il potenziale di sviluppo economico
nei paesi sottosviluppati, e in qualche modo fu costretto ad occuparsene
poiché gran parte del sapere tradizionale sullo sviluppo, al quale
egli si contrappose, negava l’attinenza della teoria economica fondamentale
ai paesi in via di sviluppo.
In Economic Analysis and Policy in Underdeveloped Countries, Bauer (1957:
15-16) scrisse: «Solitamente, coloro che contestano l’attinenza
delle asserzioni delle scienze economiche ai paesi sottosviluppati basano
le loro argomentazioni sulle differenze di atteggiamenti e di istituzioni
tra il mondo sottosviluppato e i paesi occidentali. [...] Alcuni anni
fa, nella Gold Coast, un impiegato statale con un’ottima posizione
mi disse che la sua esperienza lo aveva convinto che le scienze economiche
erano irrilevanti in Africa, poiché gli africani semplicemente
non rispondevano a motivazioni economiche». Tuttavia, Bauer era
assolutamente convinto che le scienze economiche fondamentali, e in particolare
la teoria della domanda e dell’offerta, erano molto attinenti ai
paesi sottosviluppati; come scrisse con Basil Yamey nel classico The Economics
of Under-developed Countries: «Benché gran parte delle differenze
tra le varie parti del mondo sottosviluppato siano radicate in profondità,
alcuni degli strumenti e dei concetti fondamentali delle scienze economiche
si applicano ampiamente anche ai paesi sotto-sviluppati. Questo risulta
vero, ad esempio, per quanto riguarda gli elementi fondamentali dell’analisi
della domanda e dell’offerta» [Bauer e Yamey 1957: 8].
Inoltre, dal suo ampio studio e dall’osservazione diretta in Asia
e in Africa, Bauer (1957: 15) concluse: «Ora, sono convinto dell’ampia
applicabilità ai paesi sottosviluppati dei metodi e dell’approccio
di base delle scienze economiche. [...] Penso in modo particolare agli
elementi dell’analisi della domanda e dell’offerta e alle
sue conclusioni più elementari, alla tendenza delle persone di
ricercare attività e occupazioni che producano il più alto
guadagno netto all’interno delle opportunità che si aprono
loro».
In uno scritto del 1967, Bauer mise in risalto l’importanza dei
principi economici elementari; criticò i modelli economici sofisticati
«in cui l’astrazione e l’aggregazione implicate li rendono
irrilevanti [...], diventano travisamenti che deviano l’attenzione
dagli elementi essenziali e oscurano le questioni più importanti».
Egli sottolineò come «la necessità di accentuare l’importanza
di asserzioni elementari apparentemente banali» derivi dal fatto
che «negli ultimi vent’anni circa gli economisti stessi le
hanno ignorate». Ora, fra queste «asserzioni elementari»
vi sono quelle della teoria della domanda e dell’offerta, con un
accento particolare su «offerta, domanda e prezzo come rapporti
funzionali» (Bauer [1967] 1976: 285-87). Fu proprio per questa ragione
che Bauer appoggiò la causa dell’osservazione diretta delle
condizioni nei paesi in via di sviluppo. In quest’enfasi, il suo
punto di vista era esattamente l’opposto di ciò che avevano
in mente molti altri economisti, che nel corso della storia del pensiero
economico hanno posto in risalto l’osservazione. In tutta la storia
delle scienze economiche, i critici della teoria economica, e in particolare
quelli della teoria della domanda e dell’offerta, hanno sostenuto
che le scienze economiche dovrebbero basarsi non già sulla teoria,
ma su relazioni empiricamente fondate. Il punto di vista di Bauer era
esattamente l’opposto: per poter applicare asserzioni economiche
semplici ai più disparati contesti del mondo reale, è necessario
riconoscere le particolarità di questi contesti disparati, altrimenti
l’attinenza di queste asserzioni elementari di teoria economica
verrà trascurata o negata. La convinzione di Bauer circa l’attinenza
universale dell’analisi della domanda e dell’offerta era basata
sulla sua intuizione che, nonostante le differenze nei «valori in
cui le persone credono e quindi negli obiettivi che desiderano raggiungere,
e nei vari ostacoli sociali e tecnici che limitano le loro attività»,
gli esseri umani condividono un atteggiamento fondamentalmente «economico»
(Bauer 1957: 17-18). Come disse Lord Desai (2002: 62), Bauer era convinto
«che la forza trainante dell’interesse personale nel perseguimento
del benessere avesse un’applicazione universale».
Personalmente, cercherò di far fare ancora un passo in avanti all’approccio
di Bauer relativamente al suo riconoscimento della forza universale del
semplice interesse personale economico. La mia attenzione non si rivolgerà
tanto all’intuizione, centrale nella posizione di Bauer, secondo
cui l’interesse personale fa in modo che le curve della domanda
scendano verso il basso e quelle dell’offerta salgano verso l’alto,
assicurando così l’attinenza dell’analisi della semplice
domanda-offerta. Piuttosto, la mia attenzione si concentrerà sul
processo imprenditoriale della competizione del mercato dinamico, da cui
dipende la nostra convinzione che i mercati tendono in effetti a gravitare
verso i prezzi e le quantità che emergono dall’intersezione
offerta-domanda.
Tradizionalmente, i critici della teoria economica hanno focalizzato i
loro attacchi sul modello dell’homo oeconomicus, con la sua enfasi
sulla massimizzazione del profitto pecuniario netto: costoro credevano
che proprio questo modello dell’agente economico fosse alla base
della teoria economica. Gli economisti che Bauer cita come coloro che
negano l’attinenza della teoria economica ai paesi in via di sviluppo
sostenevano che gli atteggiamenti degli agenti economici nei paesi in
via di sviluppo erano così differenti dall’atteggiamento
dell’homo oeconomicus che l’analisi domanda-offerta non era
più pertinente. Bauer, al contrario, difese questa attinenza andando
contro la concezione dei critici circa gli atteggiamenti degli agenti
economici nei paesi in via di sviluppo.
Affronterò gli argomenti dei critici non già rivendicando
la presenza universale del forte interesse personale pecuniario, ma negando
che i teoremi cruciali delle scienze economiche dipendano interamente
da tale interesse personale pecuniario. Dal mio punto di vista, la visione
degli economisti dell’andamento del mercato e della cosiddetta legge
della domanda e dell’offerta poggia sull’intuizione che gli
agenti economici agiscono sulla base di propositi. In questo seguo una
tradizione (legata ai nomi di Philip Wicksteed, Lionel Robbins e Ludwig
von Mises) secondo cui la teoria economica non poggia sull’assunzione
di rigoroso egoismo, bensì sulla propensione umana a manipolare
i mezzi scarsi al fine di conseguire gli obiettivi adottati. A mio avviso,
infatti, ci si può aspettare lo stesso tipo di andamenti di mercato
competitivo che stanno alla base delle conclusioni della teoria economica
anche in una società immaginaria popolata soltanto da altruisti.
Anche se ogni agente economico non avesse altro obiettivo se non quello
di fare del bene ai propri concittadini in qualche modo particolare, dovremmo
aspettarci che, in una società che permette la libertà delle
attività di mercato, si presentino le attività e i fenomeni
di mercato a cui siamo familiari nel nostro mondo, in cui l’altruismo
non è il primo obiettivo universale dei membri della società
(cfr. Kirzner 1990, 2004).
In un siffatto mondo immaginario altruistico, una persona intenta a curare
i malati potrebbe cercare di massimizzare i suoi profitti producendo,
ad esempio, formaggio per sostenere gli ospedali nella loro assistenza
e nella loro ricerca medica. Egli non pagherà più dei salari
di mercato (e non fornirà più prerogative e cortesie di
quelle assolutamente necessarie) per assicurare il lavoro richiesto. Nel
far questo, non sarà del tutto egoista, ma sarà altruista
nei confronti dei malati.
Un altro industriale potrebbe produrre biciclette per dar di che mangiare
agli affamati, e anch’egli agirà in conformità con
la teoria della massimizzazione del profitto della ditta, entrando fortemente
in competizione con altri partecipanti del mercato. L’aspetto ancor
più importante è che sia il produttore di formaggio sia
il fabbricante di biciclette – proprio perché altruisti –
staranno in guardia pronti a cogliere le occasioni di puro profitto. In
quanto imprenditori, non «massimizzeranno» meramente «i
profitti» (o, più precisamente, le quasi-rendite) come nella
teoria della ditta in mercati in equilibrio; essi vigileranno continuamente
per cogliere le occasioni di acquistare fattori di produzione (inclusa
la manodopera) a prezzi più bassi rispetto a quelli prevalenti,
per vendere il loro formaggio o le loro biciclette a prezzi più
alti in mercati scoperti da poco e per sondare le possibilità di
passare dalla produzione di formaggio o di biciclette a quella di maglioni
o di lezioni di golf – il tutto, naturalmente, con l’obiettivo
di incanalare in qualche modo i profitti pecuniari verso il miglioramento
altruistico della condizione umana.
Non è mia intenzione, naturalmente, sostenere che nel nostro mondo,
persino in società non ancora inurbate e industrializzare, l’egoismo
è rimpiazzato dall’altruismo. Piuttosto, il mio obiettivo
è quello di mostrare che l’attinenza della teoria dell’andamento
del mercato, della teoria imprenditoriale e della teoria della competizione
dinamica nel senso di Mises-Hayek, non dipendono dall’assunzione
dell’interesse personale pecuniario nel senso dell’egoismo,
come viene solitamente inteso1.
Di conseguenza, Bauer aveva ragione nel sostenere che le «differenze
di atteggiamenti» degli agenti economici nei paesi sottosviluppati
non mettono in dubbio l’attinenza della semplice teoria economica.
Tale attinenza comprende un’ampia varietà di «possibili
atteggiamenti» e culture – non già perché l’egoismo
pecuniario comprende tutte le culture (per quanto possibile), ma perché
tutto ciò che è necessario alla semplice teoria economica
per essere attinente è il fatto che gli uomini agiscono sulla base
di propositi.
Questa intenzionalità umana è caratterizzata da:
a) obiettivi scelti, che potrebbero differire largamente fra le varie
culture, come ha riconosciuto Bauer;
b) la costanza nel perseguire tali obiettivi, il che non significa la
costanza nel modello della scelta, quanto piuttosto la manipolazione sistematica
degli scarsi mezzi disponibili per conseguire i fini prefissati;
c) la vigilanza umana verso nuove possibilità di conseguire obiettivi,
il che costituisce l’elemento imprenditoriale nel comportamento
umano. Infatti, è proprio questo elemento imprenditoriale nel comportamento
umano che separa «l’azione umana» di Mises dalla microteorizzazione
standard, in cui gli individui sono assunti semplicemente per massimizzare
qualche funzione oggettiva all’interno dei vincoli delle limitazioni
delle risorse.
Naturalmente, si potrebbe descrivere l’intenzionalità umana
(e in modo particolare la vigilanza imprenditoriale) come un «atteggiamento»,
affermando quindi che lo sviluppo economico nei Paesi sottosviluppati
(come nel caso della storia delle economie occidentali) dipende effettivamente
da un «atteggiamento». Tuttavia, credo che Peter Bauer concorderebbe
sul fatto che la nostra argomentazione mostra come lo sviluppo economico
non dipenda da alcun atteggiamento particolare. Credo anzi che ammetterebbe
che lo sviluppo economico dipende dall’umanità condivisa
da tutti i membri della razza umana: non dagli atteggiamenti dell’homo
oeconomicus, ma dall’atteggiamento dell’homo sapiens.
Nota
1.
Mi trattengo deliberatamente dall’usare un linguaggio che descriverebbe
come “egoista” il comportamento di un individuo che insiste
nell’assegnare un più alto grado di urgenza a qualche obiettivo
altruistico rispetto a quello che farebbero altri.
Riferimenti
bibliografici
P. Bauer, (1957) Economic Analysis and Policy in Underdeveloped Countries,
Durham, N.C., Duke University Press.
([1967] 1976) «Economics as a Form of Technical Assistance»,
in Dissent on Development, cap. 7, ed. rivista Cambridge, Mass., Harvard
University Press.
P. Bauer, B. S. Yamey, (1957) The Economics of Under-developed Countries,
Chicago, University of Chicago Press.
M. Desai, (2002) «Peter Bauer and the Observation of Economic Life»,
in A Tribute to Peter Bauer, cap. 4, London, Institute of Economic Affairs.
I. M. Kirzner,
(1990) «Self-interest and the New Bashing of Economics: A Fresh
Opportunity in the Perennial Debate?», Critical Review 4 (inverno/primavera),
pp. 27-40.
(2004) «Economic Science and the Morality of Capitalism»,
in Economy and Virtue: Essays on the Theme of Markets and Morality, London,
Institute of Economic Affairs.
Cato Journal, vol.
25, n. 3 (autunno 2005). Titolo originale: “Human Attitudes and
Economic Growth”. © Cato Institute.
(traduzione
di Alberto Rezzi)
Israel M. Kirzner, professore emerito di Economia presso la New York University.
(c)
Ideazione.com (2006)
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