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Lo strano silenzio di Napolitano
di ENRICO GAGLIARDI

[10 apr 08] Il momento del voto è praticamente arrivato e con esso si chiude una campagna elettorale che di sicuro non ha brillato per lo spessore degli argomenti trattati, ma che anzi ha privilegiato discorsi sul metodo piuttosto che sul merito. Si poteva fare di meglio, soprattutto perché il Paese ne aveva e ne ha dannatamente bisogno. Ma evidentemente le scelte sono state altre. L’agone elettorale, nel complesso, si è caratterizzato per un confronto dialettico meno aspro rispetto all’ultima tornata elettorale, quella che ha visto protagonisti Romano Prodi e Silvio Berlusconi; questo, però, non vuol dire che siano mancati i momenti di tensione o gli scambi di battute al limite della correttezza istituzionale. In tutto questo clima si registra l’assenza del Capo dello Stato che ha scelto, a quanto pare volutamente, di non intervenire anche nei momenti più delicati, sottraendosi così al suo ruolo istituzionale di “arbitro” tra le parti in causa. Una decisione che può essere guardata da molti punti di vista e che in buona sostanza si muove su un crinale piuttosto sottile, al confine tra le diverse concezioni che del ruolo del Presidente della Repubblica si possono avere.

Prima di qualsiasi considerazione, il dato normativo: i compiti ed i poteri del Capo dello Stato sono disciplinati dalla nostra Carta fondamentale in vari articoli e da una lettura sistematica del dettato costituzionale spicca immediatamente la funzione di garante delle istituzioni che a lui viene affidata; una funzione di bilanciamento tra le varie “parti in causa” tesa proprio a mantenere in equilibrio l’ordinamento giuridico. Le modalità attraverso cui tale equilibrio può essere mantenuto viene solo abbozzato dalla Costituzione ed è proprio in questo dato testuale molto generico che risiedono le principali dispute su come un Presidente della Repubblica dovrebbe svolgere il suo mandato. In altri termini, il ruolo più squisitamente politico di questa figura non ha una disciplina rigida e il suo esplicarsi con minore o maggiore intensità viene lasciato alla scelta che il singolo decide di imprimere alla sua carica, caratterizzandola per un marcato protagonismo istituzionale piuttosto che per una intromissione quasi impercettibile nell’arena politica. La storia del nostro Paese ci ha abituato a presidenti di ogni tipo, “interventisti” e non; Giorgio Napolitano fino ad ora sembrava inseribile nella prima categoria e più di una volta con i suoi comportamenti sia attivi (esplicite dichiarazioni), sia passivi (omissioni di intervento), ha ricordato a tutti il suo retroterra ideologico propendendo in maniera esplicita per il passato governo Prodi.

Proprio per questo, ora suona molto singolare se non addirittura bizzarra questa scelta, evidentemente dettata da precisi calcoli e ragionamenti, di non esprimersi, anche quando, in più di un’occasione, i toni si sono accesi forse in maniera eccessiva. Una posizione di terzietà che in questo senso ha sorpreso anche Domenico Mennitti, il quale, proprio in un articolo di qualche giorno fa pubblicato su Ideazione.com, segnalava giustamente come fosse estraneo alla cultura politica di Napolitano il suo appellarsi ad una stagione di compromessi, di accordi preventivi, soprattutto poi in un momento come questo in cui il Paese ha necessariamente bisogno di uno scossone e non certo di accordi e pastette. Più di una volta, nel corso della legislatura, il Capo dello Stato ha tenuto in vita una maggioranza che probabilmente già da tempo era arrivata al capolinea, evitando di staccare la spina tra lo sconcerto di parecchi commentatori ed osservatori: che ora la medesima persona eviti di intervenire se non per auspicare quasi delle larghe intese, proprio a pochi giorni dal voto, è cosa che desta meraviglia.


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