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EUROPA: PLURALISTA MA NON MULTICULTURALE
Il filosofo francese difensore dei valori
dell’Occidente getta uno sguardo preoccupato sull'Europa. Che deve evitare
la trappola del multiculturalismo.
intervista ad ALAIN FINKIELKRAUT di STEFANO
MAGNI
[22 apr 08] Per il movimento studentesco francese è un “razzista”. Eppure Alain Finkielkraut, filosofo francese, figlio unico di un superstite di Auschwitz, è sempre stato inserito negli ambienti dell’intellighentsia di sinistra francese. A differenza della maggior parte degli intellettuali suoi contemporanei, rifiuta i dogmi del pensiero debole e del relativismo e si fa promotore della difesa ad oltranza dei valori fondamentali dell’Occidente. Per l’estrema sinistra di oggi, Finkielkraut è “razzista” perché si batte contro l’ideologia anti-razzista. Per anti-razzismo si intende quella cultura politica che, per risarcire le minoranze etniche discriminate in passato dal razzismo tradizionale, sviluppa un vero e proprio pregiudizio razziale contro l’etnia maggioritaria. In Francia, dopo la decolonizzazione, si assiste alla diffusione di un vero e proprio razzismo anti-francese, diffuso soprattutto tra gli stessi intellettuali dell’intellighentsia parigina. L’anti-razzismo serve come giustificazione a tutti gli atti di intolleranza di cui si rendono protagoniste le minoranze etniche e religiose. In particolare fa da paravento all’intolleranza e alla violenza islamiche. Nel 2005 Finkielkraut fu l’unico intellettuale di spicco che ebbe il coraggio di attribuire tutta la responsabilità della rivolta delle banlieu parigine alla cultura dell’odio dei rivoltosi e non al “disagio sociale” o alla “discriminazione razziale”. La sua presa di posizione gli costò cara: sessanta ricercatori e professori della Ecole Polytechnique hanno firmato una petizione contro le sue posizioni. La settimana scorsa la casa editrice Spirali ha pubblicato il suo ultimo libro, Che cos’è la Francia, una raccolta di sue interviste e trasmissioni radiofoniche Républiques su France Culture. Abbiamo approfittato dell’occasione per sentire le sue opinioni su alcuni temi caldi del multiculturalismo.
La Francia
ha sempre mirato all’assimilazione dei suoi immigrati affinché aderissero
alla sua cultura. Il modello di Stato liberale, al contrario, lascia liberi
i suoi cittadini di aderire alla loro cultura e tradizione di riferimento,
purché non arrechino danno ad alcuno. Quale modello di Stato è possibile e
adattabile all’odierna società multiculturale?
L’Europa non è una società multiculturale. La nazione che si avvicina di più
a questo modello è l’Olanda, almeno prima dell’assassinio di Theo Van Gogh.
Io credo che in Europa vi sia molto spazio per la diversità, per un
pluralismo di tradizioni e di regole religiose, ma la legge deve restare una
per tutti. L’Europa non può tollerare che vengano messi in discussione i
suoi principi fondamentali. L’Islamismo pone oggi il problema più grave. Le
rivendicazioni degli islamisti, infatti, non si limitano alla richiesta di
una legislazione separata per la loro comunità, ma chiedono che nelle scuole
non vengano insegnati autori considerati blasfemi. Queste richieste sono
irricevibili. Al giorno d’oggi di fronte a questa “nuova immigrazione”, che
non chiede di integrarsi, ma vuole imporre le sue leggi, l’Europa, a maggior
ragione, non può scegliere il modello multiculturalista.
Come è possibile fare accettare una moralità laica senza passare per intolleranti nei confronti di chi aderisce a una moralità religiosa? L’imposizione del laicismo ha sempre creato conflitti di natura religiosa…Nessuno sta pensando di imporre una moralità laica e non stiamo parlando di laicismo. Qui si tratta semplicemente di difendere i valori fondamentali europei, che poi si traducono in leggi, nei principi costitutivi della Comunità Europea. Chi accetta di vivere nella Comunità Europea deve anche accettarne le leggi fondamentali. Le leggi dell’ospitalità sono sempre state intese in una prospettiva di reciprocità. Chi è ospite deve accettare le regole fondamentali di chi lo sta ospitando, mai si è vista un’ospitalità unilaterale.
Eppure nel caso
delle vignette su Maometto pubblicate su un quotidiano danese ci si è
chiesti fino a che punto possiamo essere liberi di esprimerci e si è giunti
alla conclusione che la libertà di stampa deve essere limitata dal rispetto
della sensibilità religiosa. Lei cosa ne pensa?
Va difesa la libertà di stampa. Ma il problema è più profondo. Non è solo
una questione di difesa della libertà di espressione. Qui si tratta di
decidere se l’Europa è ancora europea o deve prendere gli ordini dagli
islamisti, se non da Bin Laden, dagli islamisti più “presentabili”. Se non è
lo Stato a difendere la libertà di pubblicare delle vignette, saranno i
religiosi che emettono Fatwe ad esercitare direttamente il loro potere sul
territorio e non più i ministri e i giudici europei. Per di più nella
consapevolezza che vignette di questo tipo pullulano nel mondo arabo e
islamico. Sarebbe totalmente falso descrivere la nostra come una società
dissacrante, contrapposta ad un mondo islamico più religioso e rispettoso
della tradizione, perché non è così: persino a Teheran i giornali satirici
sono pieni di vignette dissacranti nei confronti degli ebrei, dei cristiani
e degli stessi musulmani.
E come porsi di
fronte ad atti non aggressivi dei musulmani, come la scelta (l’atto
volontario) di alcune ragazze di portare il velo a scuola o in luoghi
pubblici?
In Francia, come in tutti i Paesi europei, le ragazze maggiorenni possono
portare il velo all’università. Nella scuola pubblica, in Francia, per i
minorenni è proibito portare qualsiasi simbolo religioso evidente. E’
proibito il velo per le musulmane, così come è proibita la kippah per gli
ebrei minorenni, o una croce per i cristiani. La scuola è libera da
qualsiasi identità religiosa. Non vedo perché si debba fare un’eccezione a
favore dell’Islam. Quanto alle ragazzine che vogliono portare il velo, non
caschiamo nel quadretto idilliaco che ci vogliono far vedere! La pressione
esercitata dai gruppi islamisti sulle minorenni, perché queste portino il
velo, è molto forte e violenta. E’ un modo per dir loro che devono restare
nell’ambito della loro comunità, sottomesse ai maschi, lontane dalla
promiscuità che prevale nella scuola francese.
Poniamo allora il
caso in cui in una scuola privata, perfettamente in regola, l’insegnamento
sia caratterizzato dall’istigazione all’odio nei confronti della società
moderna, laica e occidentale. In questo caso, benché si tratti di
un’istituzione privata e legale, lo Stato dovrebbe intervenire?
Non so se possa esistere un caso simile. Poniamo che ve ne sia uno: sì, in
questo caso lo Stato dovrebbe intervenire per legittima difesa. Nelle scuole
pubbliche, piuttosto, si assiste alla crescita di quel fenomeno che possiamo
chiamare multirazzismo. Non solo c’è la xenofobia francese nei confronti
degli immigrati, ma anche una forte francofobia da parte degli immigrati. La
lotta contro la discriminazione e l’intolleranza è un diritto di tutti. Si
devono difendere i diritti e la dignità dei nuovi arrivati. E allo stesso
tempo combattere contro la francofobia crescente. Soprattutto quando la
francofobia viene insegnata nelle classi. La scuola francese non deve
trasformarsi in uno strumento di lotta contro la Francia.
Le riflessioni di un filosofo sul mondo che cambia. _____________ Un occhio indiscreto e dissacrante nei Palazzi del potere. _____________ _____________ IL POST I migliori post del giorno selezionati dai blog di Ideazione. _____________ IDEAZIONE DOSSIER Analisi, approfondimenti e reportage.
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