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HILLARY VINCE IN PENNSYLVANIA E INIZIA LA RIMONTA
Obama scivola sulla "bitter America", Clinton lo stacca di nove punti e riduce lo svantaggio. Ora l'ultima parola potrebbero averla i superdelegati democratici.
di ALESSANDRO MARRONE

[23 apr 08] Hillary Clinton ha vinto le primarie in Pennsylvania, staccando Obama di oltre 9 punti percentuali e ridando così nuovo fiato alla sua difficile corsa per la nomination democratica. Clinton ha vinto nel 90 per cento delle contee dello Stato, con l’importante eccezione della capitale Philadelphia. L’analisi dei flussi elettorali, tra un elettorato per l’81 per cento bianco, mostra un certo vantaggio di Obama tra gli elettori con un più alto titolo di studio, più che compensato dal margine di Clinton tra gli elettori che hanno solo il diploma della high school. Una situazione del genere si riflette anche sul lato del reddito, con una netta prevalenza della senatrice tra i cittadini che guadagnano meno di 75.000 dollari l’anno e una situazione di sostanziale pareggio nella fasce di popolazione economicamente più benestanti. Infine, confermando anche in questo caso il trend nazionale riscontrato finora, Clinton riscuote maggiori consensi tra le donne e tra gli over 45, Obama tra gli uomini e soprattutto tra i giovani.

Il voto in Pennsylvania era stato preceduto dalle affermazioni di Obama sui cittadini americani “bitter”, amareggiati dalla crisi economica che si aggrappano a “pistole e chiesa” per andare avanti. Un lapsus liberal di Obama che ha danneggiato fortemente il tentativo fin qui vincente di porsi come candidato rappresentativo anche dell’America moderata e conservatrice. Una gaffe sfruttata immediatamente da Clinton, che si è rivolta principalmente a questo segmento di elettorato nell’ultimo scorcio di campagna elettorale. I risultati sembrano averla premiata, in primo luogo per la vittoria netta e poi per i sondaggi che rilevano il suo successo tra gli elettori che vanno a messa e tra coloro che si dichiarano moderati e conservatori. Obama ha vinto tra coloro che non vanno mai in chiesa e tra chi si proclama liberal, ma ciò non poteva bastare: dopo una campagna all’insegna del “si può fare” si è così ritrovato nel suo loft nove punti sotto, con il sostegno dei vari Michael Moore ma senza i voti dei cittadini comuni. Altro elemento che contribuisce a spiegare la vittoria di Clinton è la sua affermazione tra coloro che considerano economia e sistema sanitario nazionale i temi in base ai quali scegliere il presidente. Affermazione che ha compensato la sua sconfitta tra coloro che hanno votato in base alle posizioni sull’Iraq premiando Obama che, a differenza della rivale, si oppose da subito alla guerra. Infine, non va dimenticato che Clinton ha vinto nettamente tra i lavoratori sindacalizzati, tradizionale bacino elettorale del partito democratico, nonostante i vertici di alcuni sindacati si fossero pubblicamente schierati con Obama.

In Pennsylvania erano in palio 188 delegati, assegnati proporzionalmente per due terzi in base al voto popolare complessivo e per un terzo nei singoli distretti elettorali dello Stato. La vittoria di Clinton, a conti fatti, si tradurrà quindi in un guadagno di poche decine di delegati nella convention democratica. Tuttavia avrà un impatto significativo sulla percezione, da parte dei superdelegati ancora indecisi e dell’opinione pubblica, di quale sia il candidato maggiormente in grado di battere McCain. Dopo la Pennsylvania, infatti, Clinton può ribadire con più credibilità tre affermazioni. Primo, che è finito il feeling tra i repubblicani moderati e Obama e che lei può attrarre meglio il voto dell’America conservatrice. Secondo, che è lei la scelta preferita dalle classi lavoratrici e da tutti coloro che sono preoccupati per la situazione economica, e quindi il candidato migliore per una campagna presidenziale in tempi di crisi economica. Terzo, che ha vinto in Pennsylvania come in Texas, in Ohio e negli altri grandi Stati tradizionalmente in bilico che vanno strappati ai repubblicani se i democratici vogliono riconquistare la Casa Bianca. La vittoria della Clinton sembra dunque prolungare la sua corsa riavvicinandola ad Obama, che rimane comunque in testa sia per numero di delegati sia per il consenso nazionale attribuitogli dai sondaggi. Tale situazione si riflette anche nella raccolta fondi, un indicatore relativamente importante della forza di una candidatura: a marzo Obama aveva raccolto 42 milioni di dollari e Clinton 21, ma sull’onda della vittoria in Pennsylvania la senatrice ha raccolto in meno di quattro ore 2,5 milioni di dollari.

In Pennsylvania si svolgevano anche le primarie repubblicane. Ora che John McCain ha già i delegati necessari per essere eletto e i suoi principali rivali si sono ritirati, tali appuntamenti servono più che altro come termometro della popolarità del candidato repubblicano tra i militanti del suo partito. Ebbene, in Pennsylvania McCain ha ottenuto “solo” il 72 per cento dei consensi, perché l’11 per cento dei voti è andato al candidato, ritirato, della destra religiosa Huckabee e il 15 alla candidatura di bandiera del liberista texano Ron Paul. Un voto di protesta, si direbbe in Italia, che testimonia come McCain debba ancora lavorare molto per ottenere il consenso delle componenti più identitarie del Grand Old Party. Di certo il prolungamento dello scontro interno al partito democratico aiuta McCain, da un lato dandogli più tempo per consolidare la sua posizione tra i repubblicani, dall’altro logorando le candidature rivali con un inasprimento del dibattito che sembra scivolare sempre più sul piano personale. Alla vigilia delle primarie Obama ha infatti finanziato una massiccia campagna pubblicitaria per accusare il piano di riforma sanitaria sostenuto dalla Clinton, durante la presidenza del marito, di essere al servizio degli interessi dei gruppi privati del settore.

La senatrice dal canto suo ha insistito duramente sul fatto che con le sue affermazioni sulla “bitter America” Obama si è dimostrato non in sintonia con i sentimenti del popolo americano. Entrambe le accuse potrebbero essere ribadite benissimo dai repubblicani, che ringraziano i rivali per il contributo alla loro futura campagna elettorale contro il vincitore delle primarie democratiche. Certo, se alla fine lo sconfitto nella corsa democratica facesse davvero un passo indietro sostenendo pubblicamente il vincitore, gran parte del partito si ricompatterebbe in nome della battaglia comune contro l’avversario repubblicano. Tuttavia, non è automatico che tutti gli elettori democratici segnati da mesi e mesi di confronto così duro, una volta delusi dalla sconfitta del loro favorito, rientrino ordinatamente nei ranghi appoggiando chi fino a poco tempo prima si era aspramente criticato. Un’indagine svolta tra i votanti democratici delle primarie in Pennsylvania afferma, infatti, che se la scelta di novembre per la Casa Bianca fosse tra McCain e Obama il 15 per cento voterebbe il candidato repubblicano e il 10 si asterrebbe. Similmente, se la sfida finale fosse tra McCain e Clinton l’11 per cento voterebbe McCain e il 6 si asterrebbe. Dopo la tappa in Pennsylvania, per i democratici la strada per Washington si fa davvero lunga.


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