Tra le tante questioni
che in questi ultimi anni la diplomazia si è trovata ad affrontare,
quella riguardante la proliferazione è stata forse la più
difficile da gestire. Ma i rischi della corsa all’arma atomica non
derivano tanto dalla crescita del numero di paesi dotati di arsenali nucleari,
quanto dal fatto che la maggior parte di questi sia costituito da stati
considerati sostenitori del terrorismo internazionale e quindi in grado
di esercitare un’azione destabilizzatrice sugli equilibri e la sicurezza
internazionale. All’esclusivo club atomico inizialmente formato da
Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Francia e Cina, negli anni
si sono aggiunti prima Israele ed il Sudafrica – la cui forza nucleare
è stata però smantellata dopo la fine del regime dell’apartheid
– poi India e Pakistan, mentre è probabile che tra poco tempo
a questi possano aggiungersi anche l’Iran e la Corea del Nord, se
riusciranno a portare a termine i loro programmi.
Ed
è da questo punto che si deve partire per comprendere se la sfida
portata avanti dai regimi di Teheran e Pyongyang costituisca una minaccia
per la comunità internazionale e se questa disponga di strumenti
e mezzi diplomatici adeguati per risolverla. Al primo di questi interrogativi
si può rispondere affermativamente, in quanto il programma nucleare
iraniano e nordcoreano costituisce un pericolo per almeno due ragioni.
La
prima è costituita dagli obiettivi che si propone il progetto portato
avanti da Iran e Corea del Nord: se un paese decide di dotarsi di una forza
nucleare è essenzialmente perché vuole disporre di uno strumento
di dissuasione con il quale controbilanciare lo stesso tipo di armamento
posseduto da una potenza rivale. E questa motivazione non sussiste per Teheran
e Pyongyang. Nessuno degli stati confinanti con l’Iran e la Corea
del Nord, infatti, posseggono armi nucleari e non va dimenticato, inoltre,
come le loro Forze Armate dispongano di un numero di effettivi e di un armamento
convenzionale di gran lunga superiore a quello dei paesi vicini. Nel caso
iraniano non regge neanche il pretesto che il suo programma costituisca
un contrappeso al possesso di armi nucleari da parte di Israele. Quello
israeliano era un progetto essenzialmente difensivo, che il governo di Tel
Aviv decise di realizzare negli anni in cui non si intravedeva nessuna prospettiva
di pace con i paesi arabi e allo scopo di disporre di una forza di dissuasione
da utilizzare come estremo rimedio qualora in un conflitto le sue Forze
Armate fossero state sopraffate e la stessa esistenza di Israele posta a
rischio.
Il
motivo per cui Teheran e Pyongyang desiderano dotarsi di un arsenale nucleare
è esclusivamente politico. La Corea del Nord vede nell’arma
atomica uno strumento per garantire la sopravvivenza del regime di Kim Jong
Il, mentre l’Iran punta a dotarsi di un arsenale nucleare per assumere
il ruolo di difensore della causa islamica e per rafforzare la sua immagine
presso tutte quelle forze radicali contrarie a qualsiasi apertura ad Israele
ed agli Stati Uniti.
Ed
è qui che entriamo nella seconda, e sicuramente più importante,
obiezione che si può sollevare sul programma nucleare di Teheran
e Pyongyang: la natura politica dei due regimi. Se a dotarsi di una forza
di dissuasione nucleare sono degli stati democratici – come fu il
caso della Francia quando decise di creare la propria “force de frappe”
negli anni Sessanta – per sole ragioni difensive è chiaro che
il problema per la comunità internazionale non si pone. Ma se a farlo
sono un paese chiuso al mondo esterno guidato da un dittatura paranoica
o una teocrazia che nega l’Olocausto e minaccia di distruggere un
altro stato, allora il discorso cambia.
L’Iran
è considerato da tempo uno dei principali sponsor del terrorismo
internazionale, accusato di finanziare e sostenere diversi gruppi islamici
radicali responsabili di numerosi attentati e ritenuti contrari al processo
di pace in Medio Oriente. Paradossalmente, in questo quadro, il programma
nucleare nordcoreano finisce per suscitare meno apprensione, in quanto il
regime di Pyongyang punta più a mantenersi in vita che non a destabilizzare
gli altri paesi della regione.
Se
negli anni della “guerra fredda” ad impedire a Mosca e Washington
di arrivare ad un conflitto fu la consapovolezza che l’utilizzo delle
armi atomiche le avrebbe portate alla reciproca distruzione, oggi, al contrario,
nessuno può prevedere quale sarebbe la reazione di un Iran o di una
Corea del Nord dotate di un arsenale nucleare di fronte ad una crisi internazionale.
In entrambi i Paesi non vi è alcun meccanismo di controllo sull’operato
delle Forze Armate che rappresentano solo uno strumento del regime al potere
e non esiste una precisa catena di comando in grado di stabilire a chi spetterebbe
un eventuale potere di utilizzo dell’armamento nucleare nazionale.
In sostanza, nessuno può dire come e dove verrebbero custodite le
testate e quali garanzie vi sarebbero contro un loro improprio utilizzo.
Le
opzioni di cui dispone la comunità internazionale sono alquanto limitate.
Ipotizzare un rovesciamento dei due regimi è del tutto inverosimile:
la Corea del Nord è chiusa a qualsiasi influenza esterna e non vi
è alcuna forma di dissenso organizzato ed in Iran, pur essendovi
sempre più ampi settori della popolazione contrari al regime, per
il momento non esiste alcuna alternativa concreta in grado di sostituirsi
alla teocrazia ed al contrario è possibile che in caso di un aggravamento
della crisi Ahmadinejad possa far leva sul nazionalismo per ricompattare
la popolazione. Improbabile appare anche l’ipotesi di un’azione
militare anche se nel caso dell’Iran, come hanno ricordato alcuni
osservatori, questa non si può escludere a priori. La limitatezza
delle soluzioni disponibili non deve però indurre la comunità
internazionale ad accettare passivamente la situazione, e questo oggi vale
soprattutto per Teheran. Proprio sui timori e le incertezze gioca infatti
il regime iraniano per portare avanti il suo programma nucleare e porre
così Stati Uniti ed Unione Europea di fronte al fatto compiuto.
Se
si vuole evitare che il Medio Oriente sprofondi in una crisi dagli esiti
imprevedibili e far ripartire il negoziato tra Israele ed ANP si deve impedire
a Teheran di dotarsi dell’arma nucleare. Senza se e senza ma.
(c)
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