America del Sud. Al confine tra Brasile, Argentina e Paraguay uno sconosciuto
spicchio di crosta terrestre contiene uno degli snodi del terrorismo islamico.
Non è un luogo definito, ma una sorta di terra di nessuno a cui tutti
possono accedere. E’ la Tripla Frontera, la triplice frontiera. Sulla
cartina geografica, contraddistinta dall’incrocio dei fiumi Iguazu
e Paranà, è segnata la presenza delle cascate più grandi
del mondo, le cascate Iguazu. Tre grandi centri urbani, Ciudad del Este,
Foz do Iguazu e Puertu Iguazu, ognuno appartenente ad uno dei tre stati
confinanti, tracciano i vertici di un triangolo che sta rafforzando la sua
pericolosità internazionale.
Grazie
alla prossimità geografica e ad una sorveglianza confinaria praticamente
inesistente, la Triple Frontera si è ritagliata fuori dalle giurisdizioni
nazionali per diventare una zona franca in mano alla criminalità.
Contrabbando, traffico di droga e riciclaggio di denaro sporco sono da sempre
i prodotti tipici di quest’area, che da sempre calamita l’immigrazione
clandestina. L’adesione degli stati della triplice frontiera al Mercosur
spalanca frontiere già prive di controlli, mentre lo spazio aereo
non è sorvegliato da alcun radar. I tipi comuni sono facilmente immaginabili:
sacoleiros che trasportano su improvvisate valigie da profughi ogni genere
di mercanzia, e paseros che come topi ogni giorno passano bucando una frontiera-groviera.
I
satelliti americani hanno incominciato a puntare questa sperduta e ridotta
zona non appena acquistò proporzioni preoccupanti la forza della
tradizionale colonizzazione di emigranti arabi, principalmente sciiti libanesi,
ma anche iraniani – la cui presenza è ben visibile nelle numerose
moschee. Il loro centro di stanziamento è Ciudad del Este, sul versante
paraguayano. E’ il vertice debole del triangolo perché il Paraguay
non ha adottato una legge contro il terrorismo dopo il 9/11, e perché
attraversare la frontiera è quasi un gioco da ragazzi, facilitando
ulteriormente l’infiltrazione di organizzazioni fondamentaliste islamiche.
A Ciudad del Este è ormai pronta l’imponente diga idroelettrica
di Itaipu, che ha fatto della città il secondo polo economico del
Paraguay. I suoi 240.000 residenti producono circa il 60% del Pil, ed è
la terza zona tax-free del mondo dopo Hong Kong e Miami, ma anche un’area
ad altissimo tasso di criminalità. La comunità araba è
diventata la spina dorsale per l’impetuoso sviluppo economico della
Tripla Frontera.
Al
di sotto di traffici di software piratato, nel 2001 la polizia locale ha
individuato una rete di finanziamento che trasferiva i proventi dei traffici
sul conto di un’ala estrema di Hezbollah (al Muqawama), coinvolta
nell’attentato contro l’ambasciata israeliana a Buenos Aires
del 1992. La credibilità della schedatura dell’area come altamente
pericolosa per l’attività terrorista è dimostrata dalla
cronologia. Il Dipartimento di Stato americano ha iniziato a monitorare
la Triple Frontera già nel 2000, un anno prima dell’attacco
alle torri gemelle, approfondendo i legami tra la comunità araba
e i gruppi terroristi operanti nel Medioriente. Anche il Mossad israeliano
ha calcolato in un 20% la quota di finanziamento versata nelle casse di
Hamas dalle organizzazioni operanti sulla triplice frontiera, collegate
in un network di banche nordamericane ed europee. Ma fino al 9/11 la situazione
rimane in stallo per il timore delle autorità paraguayane di entrare
in conflitto con il potere economico della comunità araba, ormai
pilastro nazionale.
Dopo
il 9/11 però l’alleanza con gli USA prevale e Asuncion intraprende
un rastrellamento sulla Triple Frontera che scardina quella che si scoprirà
essere una collaudata rete di finanziamento, reclutamento e sostegno di
Hezbollah. Tra le centinaia di videocassette sequestrate in uno dei tanti
ipermercati dell’elettronica low-cost gestiti dalla comunità
araba, la polizia paraguayana rinviene abbondante materiale di propaganda
pro-Hezbollah. Si risale ad Assad Ahmad Barakat, fuggito nel 1985 dal Libano
e figlio dell’autista di un politico libanese. Di giorno commerciante,
ma di notte collettore di fondi per Hezbollah, a cui inviava tra i 25 e
i 30 mila dollari al mese. Tra le carte di Barakat spunta fuori la “smoking
gun” che lo inchioda: una lettera di ringraziamento per i suoi contributi,
autografata da Hassan Nasrallah. Indymedia e il carrozzone mediatico antiamericano
provano a sgonfiare la pericolosità della zona, in cui nessuno ha
mai visto in faccia Bin Laden o Nasrallah, sparando poi la solita cartuccia
dell’imperialismo americano. Parole che non cambiano la realtà
dei fatti.
La
reazione americana è fulminea: già il 18 settembre 2001 il
Dipartimento di Stato americano include la Triple Frontera, l’Iraq
e una non meglio precisata area dell’Asia meridionale nel ventaglio
delle tre ipotesi per la controffensiva americana dopo il 9/11. Fautori
di un intervento militare in America del Sud sono il consigliere alla difesa
Michael Maloof (specializzato nel controllo sull’export per il Dipartimento
alla Difesa e poi figura chiave nell’investigare i collegamenti tra
Iraq e al Qaeda) e l’esperto di Medioriente David Wurmser (fellow
dell’American Enterprise Institute), successivamente consigliere di
Dick Cheney.
Anni
prima, tra il 1992 e il 1994, una raffica di attentati terroristici insanguina
l’America Latina: nel 1992 a Buenos Aires un’esplosione contro
l’ambasciata israeliana (29 morti), seguita due anni più tardi
nella stessa città da un ordigno contro l’Associazione di Amicizia
Argentino-Israeliana (96 morti) – nello stesso giorno (19 luglio)
in cui un’altra bomba fece esplodere aereo esplose in volo su Panama.
Dito puntato contro Ansarollah, i partigiani di Dio, costola di Hezbollah,
che rivendica la bomba sull’aereo. Ma ieri come oggi la diplomazia
di Teheran protegge i suoi fratelli libanesi. La mano non cambia, e neanche
l’obiettivo: la comunità israeliana in Argentina è la
più cospicua dopo quella nordamericana. La capacità di sferrare
attacchi di tale portata presuppone la presenza di un centro d’organizzazione.
Ma per la perfetta conoscenza del territorio richiesta in questo genere
di operazioni è improbabile che tale centro sia fuori dall’America
Latina.
Parentesi italiana tragicomica: il quotidiano Liberazione nel giugno 2004
raccoglie l’anonima dichiarazione di un agente dell’intelligence
argentina, il quale smentisce risolutamente che nell’area della triplice
frontiera fossero presenti cellule di al Qaeda, all’epoca bersaglio
numero uno degli USA. Ecco le sue parole: “dopo le stragi a Buenos
Aires in quell’area sono rimasti solo sostenitori di Hezbollah e di
alcuni gruppi radicali palestinesi”. E’ proprio vero.
Dopo
l’attacco all’Afghanistan e all’Iraq, gli USA adottano
una strategia differente, più silenziosa e protesa alla cooperazione.
Nell’estate 2004 avviano un’intensa attività diplomatica
col Paraguay, governo più vicino agli USA rispetto all’Argentina
e al Brasile. Persino Rumsfeld, numero uno del Pentagono, va in viaggio
ad Asuncion, ad esprimere il sostegno americano al neoeletto presidente
Duarte, che è anche il primo presidente paraguayano ad essere invitato
alla Casa Bianca. Il punto di svolta nelle relazioni bilaterali USA-Paraguay
è un incontro più riservato tra Luis Castiglioni e la coppia
Cheney-Rumsfeld. Oggetto della trattativa è stata l’adesione
di Asuncion al CTFP (Counter Terrorism Fellowship Program), istituito nel
2002 per “finanziare ufficiali militari stranieri affinché
frequentino istituzioni militari statunitensi individuando centri regionali
di addestramento non-letale”. Il fondo consente al segretario alla
difesa un budget annuale di venti milioni di dollari. Il Paraguay beneficia
degli investimenti del CTFP per 340.000 $ nel 2003, 240.000 $ nel 2004,
200.000 $ per il 2005 per ridursi a 100.000 $ nel 2006. I soliti dietrologi
possono constatare come i finanziamenti americani siano notevolmente inferiori
a quelli raccolti dai sostenitori dei terroristi.
Gli
effetti della partnership diplomatica sono immediati. Il parlamento paraguayano
prima approva un’intesa per consentire all’esercito statunitense
di effettuare operazioni in vari punti del paese, per un periodo di diciotto
mesi, ovviamente rinnovabili. Poi la portata dell’accordo si estende:
il senato di Asuncion sottrae i militari USA operanti sul suo territorio
dalla giurisdizione del tribunale penale internazionale, secondo analoghi
accordi che gli USA stipulano con altri paesi. Dalle parole ai fatti: i
media locali scoprono che in prossimità della Triple Frontera è
in costruzione una base per qualche migliaio di militari americani. La base
include anche una torre di controllo ed una pista aerea (doppia rispetto
a quella della capitale Asuncion) per velivoli da grandi trasporti (B52,
C130 Hercules).
Da ultimo, la pressione americana sui paesi della Triple Frontera conduce
nell’agosto scorso all’istituzione di un Centro Regionale di
Intelligence, localizzato proprio sul triplice confine. E’ un’iniziativa
congiunta USA-Brasile con la partecipazione di Paraguay e Argentina con
lo scopo di “sostenere gli sforzi del governo brasiliano nel combattere
gli illeciti che si verificano nella triplice frontiera mediante l’intensificazione
dei rapporti con gli organismi di sicurezza argentini e paraguayani”.
Localismo contro terrorismo
Gli
USA riescono così a controllare direttamente le ramificazioni globali
degli estremisti islamici nella triplice frontiera. La guerra al terrore
scava una nuova trincea nel paradiso latinoamericano dei terroristi –
questa volta senza ricorrere alle armi ed esporsi alla visibilità
internazionale. Ma senza neppure abbassare la guardia. E’ una strategia
inversa alla globalizzazione della lotta al terrore, che in questo caso
si ribalta nel suo opposto, cioè in una localizzazione del conflitto
in una superficie ridotta. Si tratta di una prospettiva che colpisce il
fronte anti-americano nel suo punto debole, cioè il controllo del
territorio interno. La presenza della base americana è un deterrente
a bassa intensità contro colpi di mano o sostegno clandestino che,
nel caso del terrorismo islamico, rappresentano entrambi un’identica
minaccia.
Ma
il senso della strategia americana fa maturare una lotta al terrorismo a
più ampio raggio. La Tripla Frontera è limitrofa allo sterminato
bacino acquifero del Guaranì, per il 70% in territorio brasiliano,
per il 20% in Argentina e il restante 10% diviso tra Uruguay e Paraguay.
Un milione e settecentomila chilometri quadrati capaci di soddisfare il
fabbisogno idrico di oltre settecentomilioni di persone – un piatto
troppo ghiotto per tenerlo lontano dalle voraci bocche dei despoti in stile
chavista. Oltre alla sete d’acqua, il bacino del Guaranì potrebbe
soddisfare la brama di potere del fronte anti-americano, abile nel convertire
le risorse naturali in armi puntate contro Washington. Dall’oro nero
all’oro blu il passo può essere brevissimo, specialmente quando
nel Mercosur è piombato il Venezuela. Ancora una volta i no-global
invocano l’espulsione dal Paraguay dei soldati USA e, già che
ci sono, anche della Banca Mondiale, accusata di voler “imbottigliare”
le acque del bacino del Guaranì. Ma guai a chi tocca i terroristi.
*Gabriele Cazzulini è il titolare del blog Joyce
(c)
Ideazione.com (2006)
Home
Page
Rivista | In
edicola | Arretrati
| Editoriali
| Feuileton
| La biblioteca
di Babele | Ideazione
Daily
Emporion | Ultimo
numero | Arretrati
Fondazione | Home
Page | Osservatorio
sul Mezzogiorno | Osservatorio
sull'Energia | Convegni
| Libri
Network | Italiano
| Internazionale
Redazione | Chi
siamo | Contatti
| Abbonamenti|
L'archivio
di Ideazione.com 2001-2006