Si avvicina il 28 novembre,
data di partenza del Papa per la Turchia, e crescono le preoccupazioni:
il 2 novembre gli spari al consolato italiano a Istanbul, poi la notizia
che i servizi di sicurezza turchi e vaticani simuleranno attacchi terroristici
nei luoghi che visiterà il Pontefice.
Il primo viaggio
del Papa in un paese musulmano, in questi anni di tensioni interreligiose
e internazionali, non poteva non incontrare ostacoli variegati e complessi.
Spicca ad esempio la posizione del governo turco: il premier Erdogan, leader
di un partito dal forte carattere religioso ma al tempo stesso primo sostenitore
dell’ingresso della Turchia nella laica Ue, negli stessi giorni in
cui il Papa arriverà in Turchia andrà all’estero. Benchè
l’invito a Benedetto XVI sia stato fatto dal presidente della Repubblica
turca, che riceverà il Pontefice, l’assenza del premier pesa
sul piano politico e diplomatico. Lo sgarbo poteva segnare uno strappo grave,
solo in parte ricucito dalla motivazione addotta per l’assenza: il
28 e il 29 Novembre si terrà un importante vertice della Nato a Riga,
in Lettonia, con i ministri degli Esteri e della Difesa di tutti i paesi
membri e alcuni importanti capi di governo, e l’Alleanza Atlantica
è da sempre uno degli assi portanti della politica estera turca.
Tuttavia non sfugge che il Pontefice sarà in Turchia anche il 30
novembre ed il 1 dicembre, a vertice Nato concluso, ma non sono comunque
previsti incontri tra Erdogan e Benedetto XVI.
Il viaggio del
Papa avviene in un momento particolarmente difficile dei lunghi negoziati
per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. La sua candidatura
è stata riconosciuta solo nel 1999, e i negoziati sono iniziati nell’ottobre
2005 dopo che l’Ue aveva affermato che con le riforme avviate erano
“sufficientemente soddisfatti” i criteri relativi a diritti
umani e democrazia. La Turchia fatica però a raggiungere tutti gli
obiettivi, compreso quello della libertà religiosa tornata al centro
dell’attenzione con il viaggio del Papa: la Costituzione sancisce
la libertà di culto ma la legge non ne garantisce il completo esplicamento,
e quindi la Commissione europea ha chiesto esplicitamente che fossero rimossi
tutti gli ostacoli “per consentire l’effettiva libertà
di religione sia per l’individuo che per le comunità”.
Rimane aperta e dolorosa per l’opinione pubblica turca la questione
di Cipro: i turco-ciprioti avevano approvato con referendum il Piano Annan
per la riunificazione, i greco ciprioti l’aveano bocciato ma il loro
Stato è entrato nell’Ue mentre la Turchia è da anni
sulla soglia. Così oggi la chiusura dei porti turchi alle navi cipriote
è solo l’ennesimo sintomo di un irrigidimento di Ankara: secondo
l’ultimo sondaggio i favorevoli all’ingresso nell’Ue sono
scesi dal 70 per cento al 50 per cento della popolazione.
Tale irrigidimento
può essere collegato alle difficoltà dei negoziati con l’Ue,
che alcuni imputano alla volontà franco-tedesca di giungere a una
sospensione degli stessi. E’ indubbio che la legge approvata dall’Assemblea
nazionale francese che rende reato la negazione del genocidio armeno, operato
dai turchi dopo la prima guerra mondiale, complichi i rapporti con Ankara.
Il freno francese al negoziato con la Turchia è solo in parte bilanciato
dall’aperto sostegno del governo inglese, che tramite il ministro
degli Esteri Jack Straw giudica l’allargamento alla Turchia “una
occasione storica”, e mette in guardia dalla crisi che potrebbe aprire
una sospensione dei negoziati.
(c)
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