Pensiero manuale
La scommessa di un sistema educativo
di istruzione e di formazione di pari dignità
Giuseppe Bertagna
Rubbettino,
Soveria Mannelli (CZ), 2006
pp. 442, € 40,50
Fermare la “licealizzazione”
dell’istruzione: questa la ragione dichiarata dal ministro Giuseppe
Fioroni per motivare la recente sospensione della riforma delle
scuole superiori, voluta dal suo predecessore Letizia Moratti.
Eppure, non si tratta dello stesso rischio già più volte paventato,
a partire dalla legge Berlinguer del 2000? E un simile rischio è
intrinseco negli intenti e nello spirito della riforma Moratti, o
non attiene piuttosto al suo esito ultimo (frutto più di inevitabili
compromessi che di decisioni riflesse)? Sono dubbi affrontati in
maniera diretta dal libro di Giuseppe Bertagna - uno degli animatori
del progetto di riforma, membro dell’originario Gruppo Ristretto di
Lavoro sull’istruzione designato dall’ex ministro. Il volume ricopre
anzitutto un valore testimoniale, proponendo materiali e documenti
variamente pubblicati a far data dal 2002, che ripercorrono l’iter
di revisione del sistema educativo, e nel contempo illuminano i suoi
presupposti teorici e storici. Da un lato, Bertagna prende le mosse
dalla centralità del concetto di persona, fondamento di un modello
educativo che rovescia la priorità del sistema tecnologico ed
economico rispetto all’uomo che in esso pensa, apprende e agisce
(«lavoro per la persona, e non la persona per il lavoro» recita il
primo dei “livelli essenziali di prestazione” previsti dalla legge
Moratti per il sistema di istruzione e formazione professionale
regionale). Dall’altro, ricostruendo la travagliata storia del
nostro sistema educativo, il volume porta alla luce le radici della
tradizionale (e indebita) gerarchizzazione tra due percorsi:
un’istruzione socialmente e intellettualmente “alta” – identificata
con la liceale – finalizzata al sapere, astratta e disincarnata,
versus una formazione professionale, di prestigio sociale e di
contenuto fatalmente “inferiori”, intesa a scopi eminentemente
pratici – l’inserimento nel mondo lavorativo, visto non come scelta
consapevole e valorizzante, ma come il ripiego riservato a chi
fallisca nel tentativo di percorrere la prima strada. Una simile
secolare mentalità, sanzionata dal regime fascista e sostanzialmente
avallata nei decenni successivi, si sposa con un quadro statalista e
dirigista che, contraddicendo la Costituzione, ha accentrato la
gestione scolastica e irrigidito ancor più lo schema: separazione
tra theoria e techne, tra sapere e fare, l’un contro l’altro armati.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: il nostro paese
avverte nel campo tecnico-scientifico un deficit formativo a tutto
detrimento del sistema produttivo, e la scarsa qualità
dell’educazione italiana, certificata nel confronto con i dati
europei, è prodroma della crisi della ricerca e dell’innovazione che
limita competitività e crescita.
Da qui la sfida per la riforma
dell’educazione, cui fa cenno il sottotitolo del volume: la
transizione dall’ottica gerarchica allo sviluppo di due sistemi,
quello dell’istruzione e quello dell’istruzione e formazione
professionale – l’uno affidato allo Stato, l’altro alle Regioni –
necessariamente di pari dignità, simmetrici e integrati. Una sfida
che va pensata in accordo con il panorama più complessivo di riforme
istituzionali e strutturali che hanno interessato il nostro paese:
da un lato, il nuovo ordinamento dello Stato previsto dalla modifica
del titolo V della Costituzione; dall’altro, l’innovativa
legislazione sul mondo del lavoro che costò la vita a Marco Biagi. É
interessante notare, come rileva Bertagna, che le critiche attirate
dalla regionalizzazione del sistema dell’istruzione e formazione
professionale non tengono conto del fatto che tanto era già previsto
nella riforma costituzionale voluta dal centrosinistra (oltre a
tradire la radicata sfiducia verso l’autonomia degli enti locali,
frutto del coriaceo vizio dello statalismo). D’altro canto, è
emblematico che le manifestazioni studentesche anti-Moratti
paventassero nell’alternanza scuola-lavoro (prevista nell’istruzione
e formazione professionale come possibile alternativa al tempo pieno
in aula) l’anticamera del precariato, obiettivo polemico della
stessa ideologia che ha contrastato la riforma del lavoro foriera
della maggiore occupazione storicamente mai raggiunta nel nostro
paese.
La proposta di
ordinamento dei due sistemi confluita nella legge delega 53/03, con
le otto tipologie di licei e i quattro tipi di percorsi formativi,
tutto intendeva essere, fuorché una reductio ad unum verso il
modello liceale – per evitare la quale era stata appunto accantonata
la riforma Berlinguer –, o la riproposizione della separatezza
gerarchica tra apprendimento e pratica, tanto obsoleta quanto
deleteria. Eppure, i successivi decreti legislativi hanno di fatto
deviato dagli intenti originari, per virare verso soluzioni
dall’impatto politicamente meno dirompente: ad esempio, la
reintroduzione di “indirizzi” per i licei artistico, tecnologico ed
economico, che avrebbero così assorbito gli istituti tecnici e
professionali. Ha avuto gioco facile Fioroni, dunque, nel farsi
paladino della lotta alla licealizzazione, rinviando la riforma del
secondo ciclo dell’istruzione di un altro anno. D’altro canto,
l’abolizione tout court dei licei tecnologico ed economico lascia
aperti – oltre gli slogan d’occasione – gli interrogativi sul futuro
della formazione professionale del nostro paese, e non sembra
offrire risposte all’esigenza di una reale discontinuità rispetto
alla tradizione culturale e pedagogica invalsa da oltre un secolo.
Crescita della persona; valorizzazione di un paradigma educativo che
affianca pensiero, tecnica e manualità; feconda osmosi tra
aspirazioni formative e professionali e bisogni del territorio;
pieno riconoscimento del valore educativo, non solo produttivo,
dell’alternanza tra scuola e lavoro: la riforma appena smantellata,
con tutti i suoi limiti, aveva tradotto simili presupposti in un
quadro sistematico inedito per la storia dell’Italia repubblicana,
mentre attualmente nulla di simile sembra profilarsi all’orizzonte.
La scommessa di un sistema educativo di istruzione e formazione di
pari dignità, insomma, rimane aperta: in tal senso va decifrata la
costante preoccupazione di Bertagna di invitare alla riapertura
della discussione, passando «dalla polemica [...] alla comprensione
dei problemi sollevati dal processo di riforma».
(c)
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