Mosca e San Pietroburgo sembrano essere tornate indietro di vent’anni: migliaia di persone cercano di manifestare pacificamente chiedendo libertà di espressione, elezioni veramente democratiche, rispetto della Costituzione, e decine di migliaia di poliziotti le disperdono, le arrestano, le prendono a manganellate. Nella capitale russa sabato 14 aprile la coalizione di movimenti e partiti liberali “Altra Russia”, capeggiata dall’ex campione mondiale di scacchi Gary Kasparov, voleva scendere in piazza per chiedere a Putin di non cambiare l’articolo della Costituzione che vieta un terzo mandato presidenziale, e scongiurare così una sua ricandidatura alle elezioni del 2008. Tale punto è considerato cruciale dagli oppositori del presidente, che denunciano i pesanti limiti imposti ai mezzi di comunicazione, l’accentramento del potere nelle mani del Cremlino che ha nazionalizzato le principali compagnie energetiche spedendo in Siberia o in esilio gli ex proprietari privati, e la cupa atmosfera che si respira in Russia dopo gli omicidi della giornalista Anna Politkovskaia e di altri oppositori e giornalisti, morti in circostanze sospette dentro e fuori il territorio russo. Basti pensare che il sito web del movimento “Fronte Civile Unito” di Kasparov viene periodicamente bloccato non si sa bene da chi, e che le stesse linee telefoniche e internet del suo ufficio risultano spesso casualmente “non funzionanti”.
Kasparov ha passato un giorno in prigione, e così centinaia di attivisti per i diritti civili e altri capi dell’opposizione come l’ex premier Kasyanov e Ilya Yashim, leader dei giovani del partito liberale Yabloko. Domenica 15 aprile a San Pietroburgo l’opposizione filo occidentale e quella comunista-nazionalista di Limonov hanno tentato un’altra “marcia del dissenso” congiunta ed hanno ottenuto il medesimo risultato: transenne, agenti in tenuta antisommossa, tafferugli fortunatamente senza gravi conseguenze, e addirittura decine di attivisti arrestati “preventivamente” mentre erano ancora sui treni in viaggio verso la città baltica. Sia a Mosca che a San Pietroburgo sono entrate in azione, oltre alla polizia, le forze speciali Omon alle dirette dipendenze del ministero dell’Interno, che rappresentano un po’ la polizia politica dell’esecutivo di Putin, è a sua volta ex ufficiale del Kgb. Secondo Kasparov con tale repressione “il regime oggi ha mostrato il suo vero volto”. Di fronte a tali preoccupanti fatti che accadono ai confini dell’Europa, ben poche voci di condanna si sono levate nell’Unione Europea e nessuna in Italia. Nel nostro paese anzi il presidente della commissione Esteri del Senato, l’esponente della Margherita Lamberto Dini, ha apertamente difeso Putin sostenendo che egli gode di amplissimo consenso in patria e definendolo un “grande leader”. Anche Berlusconi, presente nei giorni scorsi ad un incontro internazionale di arti marziali a San Pietroburgo con lo stesso Putin, ha ridimensionato sia l’entità della protesta di piazza sia la gravità degli interventi della polizia.
La realtà russa è oggi, come sempre, così controversa e peculiare che risulta difficile capire quale sia la situazione della transizione democratica, e se il prossimo futuro vedrà il suo assestamento o al contrario il ritorno ad un sistema sostanzialmente autoritario. Da un lato è vero che non si possono applicare sic et simpliciter gli schemi delle mature democrazie occidentali ad un paese che abbraccia due continenti, che rischia diverse secessioni e guerre civili alla sua periferia, e che in quindici secoli di storia non ha conosciuto altro che dittature. D’altro canto tuttavia sono passati venti anni dall’avvio della perestrojka e non si può giustificare ancora oggi in base a tali presupposti ogni violazione delle libertà fondamentali, ogni forzatura delle regole del mercato, ogni azione del Cremlino tesa a controllare con la forza i gangli vitali della società russa. Specie se tutto ciò è contornato dagli omicidi politici degli oppositori del governo, per non parlare delle decine di migliaia di morti della “guerra sporca” in Cecenia. Andrè Glucksmann ha sottolineato come l’Unione Europea in un eccesso di realismo preferisca guardare altrove, per non avere problemi con Mosca sul delicato fronte energetico. Ma ciò è assolutamente contrario alla lettera e allo spirito del sistema politico comunitario, che tante pagine della “Costituzione” impiega nell’elencare i diritti fondamentali che l’Unione Europea dovrebbe promuovere nel mondo.
Inoltre chiudere gli occhi in questo modo è dannoso e pericoloso nella stessa ottica realista: se è vero che stabilità e integrità della potenza nucleare russa sono un bene per l’Europa, è anche vero che l’affermazione in Russia di un potere politico che non ha contrappesi nella società civile, e che non nutre nessuna adesione ai valori del libero mercato e della liberaldemocrazia, costituisce un pericolo ben maggiore. Si sono già registrati esempi concreti di tale pericolo: la decisa azione russa di contrasto in tutti i modi delle transizioni democratiche in Ucraina e in Georgia, l’appoggio alla dittatura in Bielorussia, le minacce a Polonia e Repubblica Ceca disposte a ospitare il sistema di difesa antimissilistico americano, e su tutto il ricatto energetico di Mosca ai danni dell’intera Europa. Tutti fatti che non accadono nell’astratto mondo degli ideali, ma ai confini dell’Unione Europea influenzando pesantemente e negativamente la realtà del Continente. Putin ha dichiarato recentemente che il fatto più disastroso del ‘900 è stato il crollo del sistema sovietico, lo stesso crollo che ha ridato la libertà a 150 milioni di europei che sono oggi membri dell’Unione, e non è ormai un mistero per nessuno che se l’Ue e la Nato non avessero incluso in fretta i paesi baltici ed i Balcani orientali al loro interno oggi Putin avrebbe impedito loro di farlo. Occorrerebbe da parte europea prendere molto sul serio le manganellate che il Cremlino ha dato nei giorni scorsi ai suoi oppositori, perché non sono le prime e non saranno le ultime che l’Europa vedrà dare da Mosca.
(c)
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