Ha messo molta carne al
fuoco, forse anche troppa Nicolas Sarkozy nel suo discorso
d’investitura di fronte ai suoi sostenitori ebbri di gioia per la
vittoria appena conquistata. Commosso ma passionale come sempre, il
nuovo presidente della Repubblica francese ha voluto sottolineare
con un discorso chiaro una vittoria altrettanto chiara: la vittoria
della rottura con il passato più recente. Sarkozy ce l’ha fatta. Ha
raggiunto l’obiettivo a lungo inseguito, quell’obiettivo per il
quale ha lavorato instancabilmente negli ultimi anni, superando
tutti gli ostacoli che gli si frapponevano, a cominciare da quelli
interni al suo stesso partito. Ed è nei silenzi del suo primo
discorso che vanno individuate le novità che verranno nei prossimi
mesi. Il silenzio verso il suo predecessore, Jacques Chirac, ancora
formalmente in carica per una decina di giorni, al quale il
successore non ha concesso l’onore delle armi. Perché Sarkozy ha
vinto di certo contro la candidata socialista Ségolène Royal, ma ha
vinto prima di tutto contro Chirac, contro una Francia invecchiata e
imbalsamata che ha perduto ruolo e funzione negli ultimi anni.
È qui, prima ancora che nelle
parole d’ordine della destra più tradizionale, la vittoria
di Sarkozy. Certo, l’orgoglio tricolore. Certo, l’identità
nazionale. Certo, la sicurezza. Ma quello che alla fine ha
portato Sarkozy all’Eliseo è la voglia dei francesi di
giocarsi a viso aperto quelle sfide globali – economiche,
politiche, sociali – che il clan di Chirac aveva
presuntuosamente eluso, chiudendo il paese in una spirale
velleitaria e sempre più marginale. È stato un discorso di
apertura, quello del nuovo presidente, che sicuramente ha
sorpreso quanti sono legati al cliché dell’uomo d’ordine, a
destra come a sinistra. Apertura politica verso
l’opposizione. Apertura sociale verso tutti i francesi.
Apertura economica verso il liberalismo e il merito.
Apertura internazionale verso l’Europa e il Mediterraneo.
Apertura verso temi come l’ecologia e la tutela dei deboli.
Temi che non sono patrimonio di tutta la destra occidentale,
perché non tutta la destra occidentale riesce a fare i conti
con la modernità. Coloro che la rifiutano, ripiegando su
soluzioni di chiusura e di paura, avranno qualche difficoltà
a percepire la novità, inattesa e sorprendente, che la
Francia ha offerto in questa campagna elettorale.
Sarkozy appare uomo del fare.
Concreto e post-ideologico, deciso a segnare fin da subito
la rottura tanto declamata con il passato. Non è tuttavia un
populista ma un politico navigato che conosce gli strumenti
della decisione e del compromesso. E’ assai più duttile di
quanto non sia apparso in campagna elettorale. Ha tutte le
carte per inserirsi in quella schiera di innovatori
rintracciabili nelle migliori esperienze della recente
tradizione europea, a destra come a sinistra, da Aznar a
Blair alla Merkel. Ha anche attirato su di sé aspettative
enormi, che non sarà facile soddisfare tutte, fin da subito.
Avrà lo stimolo di un’oppositrice che si annuncia
agguerrita, come Ségolène Royal, la quale dovrà però prima
di tutto consolidare la propria affermazione personale
rispetto agli elefanti del suo partito, già presentatisi a
pochi minuti dal dato elettorale a pretendere una resa dei
conti. E dovrà confrontarsi con l’incognita di un terzismo
che non regge la sfida bipolare ma può diventare insidioso
nelle prossime elezioni legislative. Sarkozy deve nominare
il nuovo governo. E poi andare alle elezioni legislative per
confermare la prevedibile luna di miele con gli elettori.
L’agenda è impegnativa fin da subito. Per rilanciare un
grande paese come la Francia non sono permesse pause di
riflessione.
(c)
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