Il
test missilistico effettuato la scorsa settimana dalla Corea del
Nord risolleva tutti gli interrogativi sull’affidabilità del regime
nordcoreano che sembravano essersi affievoliti dopo l’accordo
raggiunto tre mesi fa con Stati Uniti, Corea del Sud, Russia e Cina
e con il quale Pyongyang accettava di sospendere la sua attività
nucleare. Iniziato nell’inverno di cinque anni fa, prima con la
scoperta da parte statunitense del fatto che Pyongyang stava
continuando il suo programma di arricchimento dell’uranio e poi con
la decisione presa dalla Corea del Nord di ritirarsi dal Trattato di
non proliferazione nucleare in risposta alla sospensione dell’invio
di forniture energetiche decisa da Washingto, il problema del
programma nucleare nordcoreano è poi proseguito tra crisi e segnali
di apertura per culminare con il test effettuato lo scorso 9
ottobre. Eseguita nella provincia di Hamgyong ed annunciata pochi
giorni prima dallo stesso ministro degli Esteri di Pyongyang,
l’esplosione nucleare ha sollevato una grande preoccupazione tra la
comunità internazionale non solo perchè il regime nordcoreano è
stato inserito dalla Casa Bianca tra quelli dell’ asse del male
ma soprattutto per le conseguenze destabilizzanti che questa avrebbe
potuto avere sull’intera sicurezza regionale.
Come è
stato sottolineato dagli analisti, il dossier nordcoreano è
quantomai difficile da trattare. Scartate le ipotesi di un
“regime change” per l’assenza di una qualsiasi
opposizione interna e per il controllo esercitato dal
governo su ogni mezzo di comunicazione e di un’azione
militare sia per gli effetti devastanti che avrebbe potuto
avere un’eventuale rappresaglia nordcoreana contro la Corea
del Sud ma anche per l’assenza di informazioni dettagliate
sulla dislocazione degli impianti nucleari, l’unica
l’opzione valida è sembrata essere quella di una trattativa
diplomatica unita ad un rafforzamento delle sanzioni
economiche contro Pyongyang. Si è così arrivati all’intesa a
sei raggiunta lo scorso febbraio in base alla quale la Corea
del Nord s’impegnava entro sessanta giorni a fermare
l’attività degli impianti nucleari ed a cessare
l’arricchimento dell’uranio, e gli Stati Uniti accettavano
di fornire a Pyongyang 50mila tonnellate di petrolio per il
suo fabbisogno energetico ed a scongelare i 25 milioni di
dollari sequestrati tempo prima dal servizio segreto
statunitense presso il Banco Delta di Macao, già accusato di
essere coinvolto in attività di riciclaggio, e che secondo
la Casa Bianca servivano esclusivamente per finanziare le
spese personali del leader nordcoreano Kim Jong–Il.
Tuttavia,
nonostante l’intesa rappresenti un indubbio successo per la
diplomazia internazionale, non sono mancati coloro i quali
hanno espresso il loro scetticismo sulla tenuta dell’accordo
e sull’effettiva volontà di cooperazione da parte dei
nordcoreani, visti anche i comportamenti tenuti da Pyongyang
nel corso dei precedenti negoziati. La data fissata per la
sospensione delle attività nucleari è infatti passata ma i
due reattori continuano tuttora ad essere in funzione, un
particolare questo che ha irritato non poco il negoziatore
americano Christopher Hill secondo il quale la Corea del
Nord deve fermare i due reattori e consentire l’accesso agli
ispettori dell’Aiea. Ma, nonostante diversi problemi restino
ancora irrisolti, nessuno ha interesse a rialzare la
tensione. I rapporti con la Corea del Sud sembrano essere
entrati in una fase di distensione, come dimostra l’avvio
del primo scambio ferroviario avvenuto tra i due paesi dopo
più di cinquant’anni ed il progetto di creare una zona di
pesca congiunta sulla costa occidentale. Da diverso tempo
poi Seoul è impegnata in programmi di cooperazione economica
con Pyongyang, tanto che l’ex presidente sudcoreano Kim
Dae–Jung, da sempre sostenitore del dialogo, in
un’intervista rilasciata a Le Monde si sarebbe spinto fino a
pronosticare l’avvio in Corea del Nord di riforme economiche
sul modello cinese.
In questo
quadro si inserisce il test missilistico effettuato da
Pyongyang la scorsa settimana, un gesto che secondo diversi
analisti rappresenterebbe proprio un segnale inviato alla
Corea del Sud dopo l’attivazione da parte delle forze armate
di Seoul del nuovo sistema antimissile americano “Aegis”. Da
Washington, Tokyo e Seoul sono però giunti commenti tesi a
minimizzare l’accaduto. E la stessa Cina, storica alleata di
Pyongyang, tutto desidera tranne che la Corea del Nord
diventi un fattore d’instabilità e rischio per la regione.
Paradossalmente, quindi, l’ingresso di Pyongyang nel club
atomico ha suscitato meno apprensione del programma nucleare
iraniano, e questo nonostante la paranoia e
l’imprevedibilità di Kim Jong–Il e le caratteristiche
orwelliane del suo regime. A differenza dell’Iran, che lega
il possesso dell’arma atomica ad un preciso di disegno
politico ed alla volontà di distruggere Israele, la Corea
del Nord si sarebbe dotata di un dispositivo nucleare non
tanto a scopi destabilizzatori ma essenzialmente per
garantire la sopravvivenza del regime. Ed un collasso del
regno eremita di Kim Jong-Il non conviene a nessuno.
(c)
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