Ve lo ricordate il
“Giorno dopo”,? Era un film del 1983, diretto da Nicholas Meyer sui
possibili catastrofici effetti di una guerra nucleare. Quindici anni
dopo Emmerich eredita i toni apocalittici di quel film nel suo
“L’alba del giorno dopo” cambiando però soggetto. I pericoli non
vengono più dalla bomba atomica ma dall’effetto serra e la
responsabilità è sempre dell’uomo. Al Gore invece l’ha chiamata la
scomoda verità, quando invece oramai è diventato il credo di tutti
in un allarmismo continuo e senza freni. Salvo quei pochi scettici
che vengono trattati letteralmente da “eretici”. Ma ora la
televisione britannica Channel 5 ha scagliato nel panorama mediatico
un nuovo documentario dal titolo “The Great Global Warming Swindle”
ovvero “La grande truffa del riscaldamento globale” per contrastare
quei toni drammatici che non appartengono più soltanto al mondo del
cinema. A parlare sono alcuni scienziati, ambientalisti e politici
che si guardano bene da fare drammi come accade spesso ultimamente.
Infatti i toni su giornali e
televisioni sono gli stessi che al cinema. L’ orso polare ci saluta
mestamente dal suo ultimo pezzettino di ghiaccio, e immancabilmente
la telegiornalista di turno ci dice che questi meravigliosi
esemplari stanno scomparendo. Nel frattempo l’orsetto Knut si
affanna a racimolare soldi per salvare i suoi simili. Ora è lui il
testimonial degli ambientalisti per l’effetto serra, come se un
orsetto potesse riparare i danni perpetrati da nefande
sconsideratezze umane molto meglio delle pale di una centrale
eolica. Guai a dire che chi strilla al lupo al lupo non ha ragione.
Ci sono gli scienziati a garantire anche se l’effetto serra è
diventato il cavallo di battaglia di politici sempre più numerosi e
di coloro che invocano miracolose soluzioni: perché non stocchiamo
in siti geologici l’anidride carbonica che immettiamo
nell’atmosfera? Tanto per ribadire il concetto che su questo pianeta
è l’uomo che la fa da padrone: siamo sempre noi a decidere dove deve
andare questo famigerato gas. Non si scappa! Nessuno però si prende
la briga di chiarire quanti soldi costano queste tecnologie, non
solo in termini monetari ma anche in termini energetici. Senza
contare i tempi che occorrerebbero per passare dalla sperimentazione
alla messa in opera. Ammesso che poi ci si riesca. Nel frattempo il
ricircolo di denaro è assicurato.
I giornali “cantano” tutti in coro: ci
aspetta un’estate quasi da incubo, allarme siccità. Addio ghiacciai.
Ci stiamo inesorabilmente avviando verso un futuro fatto di siccità,
uragani, tempeste. Ormai il danno è fatto, quindi cosa ce ne
facciamo dell’energia eolica, dei biocarburanti, del solare, insomma
di tutte quelle soluzioni a cui lavorano già da tempo scienziati,
tecnici, imprese? Alcune sono già diventate realtà. In Germania, per
esempio, l’energia eolica costituisce il 6 per cento dell’intera
produzione di energia nel paese. Nel 2005 sono stati così prodotti
26 miliardi di kilowattora di energia eolica con un risparmio di 21
milioni di tonnellate di anidride carbonica che sarebbero state
immesse nell’atmosfera con le tradizionali centrali al carbone. Nel
Sud della Spagna è stata appena inaugurata nella città di Sanlucar
la Mayor, una centrale solare composta da una torre alta 155 metri
attorniata da enormi specchi ad anelli concentrici per un totale di
ben 624 unità. A loro il compito di catturale la luce solare
indirizzandola verso la cima della torre dove il calore viene
assorbito e poi trasmesso a un impianto di turbine a vapore.
L’energia così prodotta è abbastanza per riscaldare almeno seimila
case. E questo è soltanto il primo passo.
E che dire invece di paesi leader
nell’uso di biocarburanti? Le macchine in Brasile “bevono” alchool,
l’etanolo. Lo si ottiene da biomasse quali granturco, patate, canna
da zucchero. Qui si producono ben 17.5 miliardi di litri all’anno,
il 50 per cento del mercato globale. Se il Brasile divenisse un
esportatore a livello mondiale, i paesi industrializzati avrebbero
spezzato una lancia a favore di quelli non industrializzati. Ma
questo probabilmente è solo un sogno. La maggior parte però
preferisce la catastrofe annunciata e gli estremi rimedi ai mali
estremi. Guai a uscire dal coro perché succede quello che è successo
con il documentario di Channel5. In altre parole tentano di metterti
un cerotto in bocca, dicono che sei un cretino e che non te ne
importa nulla del pianeta. Poco importa se sei uno scienziato come
quelli che hanno parlato davanti alle telecamere della Tv
britannica. Ma che avranno mai detto poi per scatenare le reazioni
di una vera e propria gang di scienziati che si sono adoperati per
bloccare l’uscita del documentario? “Se si guarda al clima su scala
geologica ci si rende conto che sospettare che l’anidride carbonica
sia un fattore di primo piano è fallace” ha spiegato Ian Clark del
dipartimento di scienze della Terra dell’Università di Ottawa.
Questi scienziati invitano a guardare al passato per rendersi conto
che il clima della Terra è sempre cambiato con picchi di grande
caldo e di grande freddo anche in epoche remote e molto lontane
dall’attuale era industriale. Il biogeografo Philip Stott
dell’Università di Londra porta come esempio il Medioevo quando le
temperature erano molto più alte di adesso e in Gran Bretagna
prosperavano i vigneti.
Ma anche volendo restare al clima
dell’epoca in cui viviamo, nel 1940, quando l’era industriale era
agli inizi, le temperature erano al culmine di un trend in salita.
Al contrario di quanto ci saremmo dovuti aspettare, a partire dalla
fine della guerra, durante il boom economico e industriale, sono
scese sensibilmente per diversi decenni. Ma ce n’è anche per l’Ipcc
(International Panel For Climate Change). Come ogni altro organo
delle Nazioni Unite, l’Ipcc è un organismo politico e in quanto tale
anche le sue conclusioni lo sono. Sia il prof Paul Reiter del
Pasteur Institute che il prof. Richrad Lindzen, climatologo del Mit,
entrambi membri dell’Ipcc, asseriscono che diversi scienziati non in
linea con il principale trend si sono dovuti dimettere. Insomma, il
riscaldamento globale è diventato un vero e proprio business dove
ognuno prende parte a modo suo. Ma gli scienziati devono ancora
chiarire da che parte stanno. In ogni caso, quello che è grave è
l’intolleranza verso ogni voce che esca dal coro. Per fortuna, chi
vuole può guardare il documentario al seguente link:
http://video.google.com/videoplay?docid=4499562022478442170 , su
Google Video.
(c)
Ideazione.com (2006)
Home
Page
Rivista | In
edicola | Arretrati
| Editoriali
| Feuilleton
| La biblioteca
di Babele | Ideazione
Daily
Emporion | Ultimo
numero | Arretrati
Fondazione | Home
Page | Osservatorio
sul Mezzogiorno | Osservatorio
sull'Energia | Convegni
| Libri
Network | Italiano
| Internazionale
Redazione | Chi
siamo | Contatti
| Abbonamenti|
L'archivio
di Ideazione.com 2001-2006