The War of the World
Niall Ferguson
New York, Allen Lane, 2006
pp. 741, € 34
Il
Ventesimo secolo è stato un periodo di straordinario progresso. In
campo scientifico e tecnologico prima di tutto, ma anche sotto il
profilo economico e politico. Ciononostante, esso verrà ricordato
come il più violento secolo della storia. Due guerre mondiali, lo
sterminio di interi popoli, addirittura organizzato in modo
scientifico, e poi ancora l’adozione di nuovi e più mortali mezzi
per infliggere distruzione, dai gas ai bombardamenti aerei, hanno
infatti segnato buona parte degli scorsi cento anni. Molti studiosi
hanno tentato di spiegare questo paradosso tra progresso e
imbarbarimento umano, proponendo brillanti analisi. A questa impresa
si è aggiunto recentemente Niall Ferguson, giovane professore ad
Harvard. Nel suo The War of the World, Ferguson sottolinea come non
ci sia stato “un singolo anno, prima, durante o dopo le guerre
mondiali che non sia stato protagonista di violenza organizzata su
larga scala in una parte o l’altra del mondo”. Questo fatto, secondo
la sua analisi, sarebbe spiegabile con l’intrecciarsi di tre forze
oscure: conflitti etnici, instabilità economica e declino degli
imperi. La coesistenza di diversi gruppi etnici in determinate aree
geografiche (in particolare l’Europa centro-orientale) creò infatti
quel clima di tensione che l’instabilità economica degli anni
Trenta, alla fine, trasformò in conflitto. Allo stesso tempo, ciò fu
comunque possibile per via del simultaneo crollo degli imperi che
privò proprio queste zone di quella struttura politica che per
secoli aveva tenuto insieme gruppi etnici differenti.
Lo
spazio e il tempo, dunque, si sarebbero intrecciati,
portando alla catastrofe. Ferguson sottolinea che l’Europa
centro orientale fu “l’area più letale tra i campi di
battaglia del Ventesimo secolo”, e gli anni Quaranta sono
stati il periodo più sanguinoso. Ciò conferma la sua
analisi: “Non è un caso [infatti] che tanti dei luoghi dove
furono perpetrati degli stermini negli anni Quaranta si
trovino proprio in quelle regioni” in cui c’era il più alto
livello di assimilazione etnica, e che gli anni Trenta e
Quaranta siano stati quelli economicamente più instabili
degli ultimi cento anni. La tesi centrale del libro di
Ferguson è però un’altra. La spiegazione delle cause della
violenza nel Ventesimo secolo, infatti, è solo una parte del
suo lavoro. Ferguson parte dalle tragedie del Novecento per
sottolineare la sconfitta dell’Occidente. Questa si sarebbe
manifestata sia in termini morali, la barbarie della guerra
prese il sopravvento sul progresso raggiunto, sia in termini
materiali, il primato occidentale fu inevitabilmente segnato
e dalla seconda guerra mondiale iniziò un inarrestabile
declino. Secondo Ferguson, l’Occidente si trova infatti a
dover assistere impotente alla crescita dell’Asia, il
continente che si appresta a guadagnare un posto di primo
piano negli affari internazionali.
Ferguson presenta i suoi argomenti in maniera molto
persuasiva, aggiungendo aneddoti e descrizioni dettagliate
che non fanno altro che rapire ulteriormente il lettore.
Ciononostante, se si tralascia questo punto di forza del
libro, le due tesi di The War of the World non risultano
così convincenti come sembrerebbe di primo acchito. In primo
luogo, questo libro non raggiunge l’obiettivo che si
prefigge – quello di spiegare la violenza nel Ventesimo
secolo. Esso si limita infatti ad individuare le cause della
seconda guerra mondiale. Non più di una cinquantina di
pagine sono dedicate alla seconda metà del Novecento; e
relativamente alla prima metà, è comunque la seconda guerra
mondiale ad ottenere l’attenzione dell’autore (la tesi di
Ferguson non sembra tenere di fronte alla prima guerra
mondiale: quando essa scoppiò, nel 1914, gli imperi
orientali erano intatti e l’economia mondiale era stabile).A
ciò si aggiunge un altro difetto di questo lavoro. Il
declino dell’Occidente che Ferguson sembra avvertire è
legato ad una visione del mondo più consona al tardo
Ottocento piuttosto che al nuovo millennio. Non solo,
infatti, lo storico di Harvard usa come termine di paragone
gli imperi europei, individuando dunque in quella
particolare configurazione politica la forza dell’Occidente;
ma sembra anche considerare l’arena internazionale come un
grande gioco a somma zero dove la crescita economica di un
attore si traduce inevitabilmente in una perdita per un
altro.
Ferguson è uno storico affermato – come ha riconosciuto Paul
Kennedy sul New York Review of Books – che negli ultimi anni
ha scritto prolificamente. Questo lavoro racchiude e
rielabora alcune delle sue principali idee. Esso riprende la
grande attenzione per i fattori economici, trattati
principalmente in The Cash Nexus (2001) e in The House of
Rotschild (1998-1999); e sottolinea l’importanza di una
struttura politica (l’impero) per la stabilità di una
determinata regione, come evidenziato in Empire (2003) e in
Colossus (2004). Malgrado le obiezioni che possono essere
mosse, The War of the World è comunque un libro stimolante e
avvincente, le cui seicentocinquanta pagine scorrono
piacevolmente. Si può non essere d’accordo con le due tesi
centrali del libro, ma va dato merito all’autore del grande
lavoro e del grande sforzo che si trova dietro a questo
volume.
(c)
Ideazione.com (2006)
Home
Page
Rivista | In
edicola | Arretrati
| Editoriali
| Feuilleton
| La biblioteca
di Babele | Ideazione
Daily
Emporion | Ultimo
numero | Arretrati
Fondazione | Home
Page | Osservatorio
sul Mezzogiorno | Osservatorio
sull'Energia | Convegni
| Libri
Network | Italiano
| Internazionale
Redazione | Chi
siamo | Contatti
| Abbonamenti|
L'archivio
di Ideazione.com 2001-2006