Le ultime due
proposte del Teatro dell’Opera di Roma (prima del trasferimento
estivo alle Terme di Caracalla) sono interessanti per ragioni che
interessando l’economia e la politica del settore e non solo i temi
che appassionano i melomani. Si tratta di una prima mondiale
dell’opera video di Adriano Guarnieri “Pietra di Diaspro”, che si
potrà vedere ed ascoltare al Ravenna Festival (sino al 22 giugno) e
probabilmente l’autunno prossimo in circuiti italiani e stranieri.
Guarnieri afferma che il lavoro dovrebbe attirare i giovani per il
ruolo che in esso ha il visivo ad alta tecnologia. In effetti, è un
oratorio profano di un’ora e mezzo in cui grande organico
orchestrale, musica dal vivo, solisti in buca, quattordici voci,
live electronics, danze e mimi ripropongono un tema eterno: la
lotta tra la Babilonia terrestre (del potere e della lussuria) e la
Gerusalemme celeste (risplendente di “pietra di diaspro”, bianca e
lucente, come nell’Apocalisse di Giovanni).
In effetti, la parte visiva è importante quanto quella musicale. Cristina Mazzavillani Muti è una specialista di scenografie virtuali digitali. Assistita da Ezio Antonelli (immagini virtuali), Alessandro Lai (costumi) e Patrizio Maggi (luci), e svincolata dal dover seguire un intreccio, crea, con un gioco di immagini virtuali, proiezioni e specchi, un susseguirsi di effetti speciali strettamente legati alla musica per dare corpo agli stati d’animo. I cantanti restano ai lati dell’orchestra ed i cori nel fondo scena, ma con un numero limitato di mimi e ballerini – la coreografia è di Silvia Curti – Cristina Mazzavillani Muti rappresenta efficacemente sul palcoscenico il dramma spiritual espresso dalla scrittura orchestrale e vocale e dal live electronics. Accurata la fantasia di colori che accompagnano le singole sequenze musicali sino a esplodere nel luminosissimo bianco del finale.
L’altra è una ripresa della notissima, e popolarissima, “Manon Lescaut” di Giacomo Puccini. Due parole sulla parte visiva. L’allestimento scenico è di Camillo Parravicini che lo propose più volte, aggiornandolo, dal 1934 agli anni Sessanta. E’ sontuoso e minuzioso – come si faceva l’opera nel passato – ma privo di una vera chiave interpretativa. Arriva in scena una carrozza trainata da un bel cavallo di razza. Non mancano parrucche e merletti. Ipertradizionale la regia di Giuseppe Giuliano. Un po’ come si faceva negli anni Cinquanta.C’erano giovani alla prima di “Pietra di Diaspro”, nonostante la limitata pubblicità data all’evento e probabilmente limitati al circuito di coloro che seguono la musica contemporanea. Pochissimi invece a “Manon Lescaut”, ma il pubblico delle prime non è rappresentativo. Con due lavori così differenti, uno accanto all’altro, il dibattito è aperto: quale strada incoraggiare per far vivere la musa “bizzarra e altera”?
(c)
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