Sotto il
profilo della politica economica internazionale, l’inizio
dell’estate non è stato dei migliori: il 21 giugno, solstizio, la
riunione del gruppo dei quattro (Stati Uniti, Unione Europea, India
e Brasile) a Potsdam pare avere messo una pietra tombale su quella
Doha development agenda (Dda), il maxinegoziato multilaterale sugli
scambi in corso dal 2001 ed in pratica sospeso da qualche mese; il
22 giugno, a Bruxelles, si è evitata per il rotto della cuffia una
nuova profonda crisi del processo d’integrazione europea (ma la
strada è ancora tutta in salita), mentre a Roma la “banda dei
quattro” (colleghi di governo appartenenti alla sinistra radicale)
ha minacciato di mandare a casa l’esecutivo e di bloccarne il pur
modesto programma di liberalizzazione dell’economia italiana. Quanto
tale programma sia piccolo (e comporti pure dei passi indietro) lo
descrive il “Quinto Rapporto sul Processo di Liberalizzazione della
Società Italiana”, appena pubblicato dall’Associazione Società
Libera.
Nonostante queste notizie non affatto liete, il governo e la
stampa italiana paiono entusiasti della nascita di quella
che viene presentata come la Superborsa Londra-Milano. Un
entusiasmo che ricorda quello di Ugo Tognazzi quando venne
nominato federale nel film di Luciano Salce. In effetti, non
si tratta di fusione tra pari, ma di acquisizione di una
piccola borsetta locale da parte di una dei maggiori centri
finanziari internazionali. In effetti, Piazza Affari
rimasta, come la pucciniana Manon Lescaut nel
processo di integrazione che ha portato, tra l’altro,
all’accordo Nyse-Euronext, si è fatta acquisire dal London
Stock Exchange di cui diventerà qualcosa a metà tra la
succursale ed il cugino povero. Ciò avviene proprio nel
momento in cui il processo d’integrazione economica
internazionale sta per subire un duro colpo.
Il
fallimento della Dda potrebbe aprire la strada ad una
ripresa, alla grande, del protezionismo, con conseguenze non
soltanto economiche. Un lavoro scientifico fresco di stampa
fornisce una forte base teorica a queste preoccupazioni: il
saggio di Kevin O’Rourke del Trinity College della
Università di Dublino, “Democracy and Protectionism” apparso
nella IIIS Discussion Paper Series n. 191. Il lavoro parte
dalla teoria pura del commercio internazionale (ossia dal
teorema Hecksher - Ohlin - Stolper - Samuelson) e la applica
ad un vasto numero di paesi utilizzando indicatori
quantitativi di apertura agli scambi e di democrazia
(sistema politico, meccanismi elettorali, libertà di stampa,
e via discorrendo); O’Rourke conclude che il processo di
democratizzazione dovrebbe indurre a politiche commerciali
più liberali in paesi in cui i lavoratori guadagneranno da
mercati più aperti. Mentre il mondo sta andando verso
politiche commerciali liberali, in Italia si brinda perché
siamo stati accettati come poco più che comprimari.
(c)
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