Una crisi facile da leggere e difficile da comporre
di Domenico Mennitti
[28 gen 08]
Prende il via oggi la
settimana decisiva per chiudere la crisi di governo, la più difficile delle
ultime legislature repubblicane nonostante sia anche la più facile da
leggere. Questa ultima caratteristica dovrebbe almeno evitare il ricorso
agli espedienti che la prassi introduce nel rito costituzionale quando c'è
la speranza che a guadagnare tempo si possa anche guadagnare la soluzione
delle controversie. In verità le posizioni sono così nette che un eventuale
esploratore avrebbe ben poco da scoprire organizzando un nuovo giro di
consultazioni. Un ponte lo ha tagliato Prodi con la decisione di andare alle
Camere e di contare i voti e, conosciuto l'esito della conta, con l'annuncio
di non essere disponibile per un reincarico. Non avrebbe perciò senso un
eventuale rinvio del governo al Parlamento, che si è già espresso
certificando la fine della maggioranza. Di solito, quando viene meno il
numero dei parlamentari necessari per reggere il governo, finisce anche la
legislatura, regola che la nostra Costituzione non sancisce, neppure ora che
il sistema elettorale consentirebbe di azzardare come vigente l'ipotesi
maggioritaria. Perciò è in corso uno stucchevole dibattito che vede i gruppi
politici schierati su due fronti: quelli che vogliono tornare alle urne per
rimettere il gioco nelle mani degli elettori e quelli che se le inventano
tutte per allungare il respiro della legislatura. E’ quanto sta accadendo in
questi giorni, ognuno portando argomentazioni diverse, ma sarebbe il caso di
dire rappresentando interessi diversi, all'attenzione di Giorgio Napolitano.
E’ sempre obiettivamente difficile che un capo dello Stato
si rassegni a sciogliere le Camere alla prima crisi, ma
questa remora è retaggio della cultura proporzionale. Un
tempo le crisi esplodevano al’'interno di una coalizione
comunque stabile per dissensi della più varia natura. La
logica vincente era quella enunciata da Andreotti: tutto si
aggiusta. Ma la cinica concretezza del leader democristiano
si reggeva sulla base della stabilità dei numeri, che
offrivano ai contendenti la possibilità di comporre le
controversie. Oggi sono i numeri che mancano e non è
accaduto nulla in questi giorni che abbia modificato le
posizioni espresse in Senato. Napolitano perciò ha di fronte
a sé due ipotesi: Veltroni (citiamo i leaders per
esemplificare) vorrebbe un po’ di respiro prima di andare al
voto perché così sistemerebbe le questioni sospese nella
sinistra; Berlusconi vuole tornare alle urne immediatamente
perché ha risolto i problemi nella destra. Naturalmente
dentro questo schema ci sono altri elementi non proprio
accessori: il Partito democratico deve regolare i conti con
gli alleati, consolidare la leadership dei dirigenti,
tentare di guadagnare tempo per allontanare e diluire la
brutta percezione di un governo inconcludente; Forza Italia,
invece, ha riguadagnato l'intesa con Bossi e Fini, sa di
poter ricondurre alla ragione Casini, peraltro indebolito
dalle dimissioni di Cuffaro.
E poi Berlusconi ha urgenze contrarie a quelle di Veltroni:
ha interesse a non disperdere la delusione verso il governo
di sinistra e di non andare in balia del tempo, che è la
vera grande insidia al suo ruolo di leader. Se dovessero
trascorrere due anni, come capitò con Dini, il suo ruolo,
oggi riconosciuto da tutti, potrebbe tornare in discussione.
Ultima annotazione: il fronte che sostiene “al voto subito”
è compatto e in maggioranza rispetto a quello attendista.
Dentro questo quadro il presidente della Repubblica deve
quadrare i conti nel termine di tre giorni avendo come
argomento di persuasione per evitare lo scioglimento la
opportunità di cambiare la legge elettorale. Una ragione
certo, non un pretesto, atteso il pessimo risultato
conseguito in riferimento alla governabilità da quella
vigente. Ma anche questo banco di prova ha due facce, nel
senso che al consenso teorico non è seguita alcuna capacità
concreta d'intervento nei diciotto mesi di centrosinistra.
E’ ragionevole l'ipotesi che i contrasti svaniscano
d'improvviso e che un governo provvisorio riesca dove quello
che sembrava stabile è fallito?
(c)
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