La vittoria di Tadic non scioglie il nodo del Kosovo
di Rodolfo Bastianelli
[05 feb 08]
Ha vinto l’idea che la
Serbia sia parte dell’Europa e non ostile ad essa. Gli elettori serbi hanno
ridato fiducia all’europeista Boris Tadic, rieleggendolo alla guida del
paese e respingendo così la deriva populista ed ultranazionalista che un
successo del radicale Tomislav Nikolic avrebbe imposto a Belgrado e forse a
tutta la regione balcanica. Il voto di domenica rivestiva, infatti,
un’importanza fondamentale non solo per gli equilibri politici nazionali ma
anche per quelli del Kosovo, visto che un successo di Nikolic avrebbe, con
ogni probabilità, spinto il Parlamento di Pristina a proclamare
immediatamente la sua indipendenza. In un paese in cui il 30 per cento della
popolazione è disoccupato e buona parte dell’opinione pubblica pensa che la
collaborazione con la comunità internazionale non abbia prodotto alcun
vantaggio sostanziale, Nikolic durante tutta la campagna elettorale ha
cercato di far leva sugli accenti più nazionalisti e retorici accusando i
leader dello schieramento filo-occidentale di svendere la Serbia agli
stranieri. Lo sfidante di Tadic aveva addirittura prospettato un intervento
militare in Kosovo per proteggere la minoranza serba, insieme alla rottura
di ogni rapporto politico con l’Unione Europea se questa avesse riconosciuto
l’indipendenza kosovara. Un tema, questo, che ha finito per dividere la
stessa coalizione di governo, visto che il premier Kostunica non ha
formalmente espresso il suo sostegno a Tadic, motivandolo con il fatto che
il presidente uscente non si sarebbe impegnato ad interrompere i contatti
con Bruxelles se l’Unione Europea avesse dispiegato in Kosovo una propria
missione di polizia e di sicurezza in sostituzione dell’Unmik.
Tuttavia, pensare che il messaggio di Nikolic abbia fatto
presa solo per il suo contenuto ultranazionalista sarebbe
riduttivo. Come ha dichiarato l’ex ministro degli Esteri
Goran Svilanovic, il leader radicale ha pescato i suoi voti
soprattutto tra il malcontento di quelle fasce sociali che
in questi ultimi anni sono state pesantemente penalizzate
dalle politiche avviate dal nuovo governo e all’interno
delle quali il messaggio riformista di Tadic suscita pochi
entusiasmi. Alla fine però proprio il timore che un
eventuale successo di Nikolic non avrebbe comunque portato a
nessun risultato sul Kosovo e spinto la Serbia ai margini
della comunità internazionale ha finito per favorire Tadic e
la sua politica di dialogo verso l’Europa. Nonostante gli
storici legami con la Russia e la rinnovata volontà di Putin
di riproporsi come potenza, nessuno pensa che Mosca sia
disposta ad arrivare alla rottura completa con l’occidente e
l’Unione Europea per la Serbia o il Kosovo. Il successo di
Tadic non deve comunque far pensare che il governo di
Belgrado abbia ora un atteggiamento più conciliante riguardo
all’ipotesi della piena indipendenza della regione. Pur
senza i toni estremisti usati da Nikolic, il leader del
Partito Democratico ha chiaramente espresso la sua
contrarietà alla prospettiva di un Kosovo indipendente,
ribadendo però allo stesso tempo che non vi è alternativa
all’ingresso della Serbia in Europa e che i rapporti con
Bruxelles e gli Stati Uniti continueranno anche se Pristina
dovesse proclamare la sua sovranità.
Un concetto espresso pochi giorni fa anche dal ministro
degli Esteri serbo Jeremic, il quale, durante l’incontro
avuto a Bratislava con il suo omologo slovacco Kubis, ha
ribadito la posizione serba, secondo la quale l’indipendenza
kosovara costituirebbe una violazione del diritto
internazionale che spingerebbe Belgrado a usare tutti i
mezzi diplomatici per proteggere l’integrità territoriale
del paese. Resta da vedere come si evolverà ora la
situazione. Anche se l’ipotesi di un Kosovo indipendente
sembra ormai essere ormai accettata negli ambienti
internazionali, la rielezione di Tadic potrebbe favorire un
compromesso che consenta a Belgrado di uscirne senza subire
gravi contraccolpi politici, quale potrebbe essere la
concessione di un’autonomia per le municipalità serbe unita
alla possibilità di conservare legami speciali con la
madrepatria. Perché se da un lato impedire al 90 per cento
della popolazione kosovara di aspirare all’indipendenza
appare una soluzione improponibile oltre che ingiusta,
dall’altro sarebbe comunque controproducente continuare ad
appellarsi allo spirito europeista del popolo serbo senza
mostrargli dei vantaggi concreti. Al contrario, dalle urne,
la prossima volta, potrebbero uscire i fantasmi del passato
invece che le speranze del futuro.
(c)
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