I tacchini e il Thanksgiving
di Mario Seminerio*
[21 mag 05]
Giorni
addietro, nel corso di una puntata di
"Otto e mezzo" dedicata al
tema del trasformismo nella politica italiana, Paolo Cirino Pomicino ha
espresso alcuni concetti ampiamente condivisibili (ohibò!). Pomicino,
che è stato di recente espulso dal partito etnico di Clemente Mastella,
ma che continua a dirsi orgogliosamente democristiano, e in quanto tale
iscritto all’eurogruppo parlamentare del Partito Popolare, ha richiamato
le nuove anomalie italiane: “Ve
lo immaginate, voi, se in Germania esistessero due partiti, o
coalizioni, uno denominato ‘Forza
Germania’
e l’altro ‘Uniti
nel cipresso’?
Senza alcun richiamo ad una delle grandi correnti politiche che altrove
in Europa restano punto di riferimento imprescindibile per schieramenti
e coalizioni?”. Crediamo che Pomicino abbia colto nel
segno: in Italia, nessuno dei quattro principali partiti politici supera
il 20 per cento dei consensi. Esistono due coalizioni nominali,
caratterizzate da forte competitività e disomogeneità
ideologico/programmatica interne.
Queste coalizioni appaiono la
conseguenza “necessaria” del
mattarellum,
un’aberrante ed aberrata legge elettorale fintamente maggioritaria, che
favorisce aggregazioni ex ante, sulla base di prevalenti desistenze, e
divisioni ex post, basate sul potere di ricatto dei partiti minori.
Entro queste coalizioni
posticce operano
partiti sorti dalle macerie di Mani
Pulite e del Muro di Berlino, dopo gestazioni spesso
prive di una reale elaborazione identitaria, che li ha portati ad
individuare le proprie radici ideali un po’ ovunque, dal liberalismo ad
Antonio Gramsci (talvolta compresenti…), e che li ha portati a compiere
delle scelte di campo sulla base di pregiudiziali ideologiche piuttosto
rozze e comunque più tipiche di sistemi politici decisamente immaturi.
Nessuna meraviglia per
quanto sta accadendo in questi giorni: da un lato,
Francesco Rutelli si oppone, quasi fisicamente, alla lista unica
dell’Ulivo nella quota proporzionale, entrando in rotta di
collisione con l’ala prodiana della Margherita, mentre
Silvio Berlusconi sta intensificando il pressing sui suoi riottosi
“alleati” per giungere, prima dell’autunno, alla definizione di un
soggetto politico unitario del centrodestra. Da una parte e dall’altra,
l’impressione generale è che siano in opera dei tatticismi che tuttavia
poggiano su una comune visione strategica di base:
l’attuale assetto politico italiano è del tutto provvisorio, e si
attende un “evento” tale da modificarlo in modo profondo, un trauma di
portata comparabile a quelli del 1989 e 1992.
Le incoerenze di
posizionamento ideologico delle coalizioni italiane sono peraltro del
tutto evidenti in sede di parlamento europeo: basti ricordare che alle
ultime elezioni europee, che avvengono sulla base di un sistema
proporzionale puro, l’Ulivo si è presentato con simbolo e lista unitari,
ma ad oggi parte dei suoi eletti siedono nelle fila del gruppo
socialista, altri in quelle dei popolari, altri tra i
liberaldemocratici. Non esattamente un’operazione-verità nei confronti
dei propri elettori, per citare una delle espressioni di più recente
adozione da parte del moralismo prodiano.
Tra
le fila del centrodestra, il tentativo di Berlusconi di aggirare il
mattarellum, sembra
destinato alla sconfitta, anche per il timore degli alleati di essere
fagocitati ed egemonizzati dalla struttura e dal personale politico di
Forza Italia, e certo questo tentativo di semplificazione ed
omogeneizzazione del quadro politico non è agevolato dalle continue
boutades del premier, che
sembra divertirsi (beato lui) a giocare con gli effetti-annuncio (“non
sono indispensabile”, “separiamo le leadership”, “sono stato frainteso”,
“scherzavo”).
L’altro elemento che
congiura a preservare lo status quo è
l’attesa, sempre meno dissimulata, del
tramonto del berlusconismo e della conseguente dissoluzione di Forza
Italia, che metterebbe in moto potenti forze di riaggregazione,
trasversali ai due schieramenti. Da qui, oltre che da
più che evidenti disomogeneità ideologiche interne ai due schieramenti,
l’esigenza di preservare il proprio brand name. La politica è e
resta soprattutto un mercato, necessita quindi di un marketing e di
iniziative per preservare il proprio “goodwill”,
inteso come avviamento patrimoniale, in attesa di massimizzarne il
valore in caso di transazioni e mercimoni vari.
Cosa potrebbe
affrettare la trasformazione del sistema politico italiano in senso di
maggiore “accountability”,
e minore “free riding”?
Siamo tentati di scommettere su
un potente trauma esterno,
una sorta di Big One, come il leggendario sisma che dovrebbe radere al
suolo Los Angeles, di cui si favoleggia da decenni. Come la crisi
economica strutturale di cui il paese sta iniziando solo ora a prendere
coscienza. Il passato (ed innumerevoli commissioni bicamerali e di
“saggi”) ha dimostrato che
il sistema politico italiano è
irriformabile in “tempo di pace”.
21 maggio 2005
*
Mario Seminerio è il titolare del blog
Phastidio
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