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        Il "no" francese può travolgere la 
        Costituzione Uedi Stefano Caliciuri
 [25 maggio 05]
 
 Tolosa, 315 mila abitanti, 150 chilometri dal confine spagnolo, regione 
        Midi-Pyrénée, capoluogo del dipartimento Haute Garonne. È considerata la 
        capitale europea dell’aviazione civile. Qui sorge l’Airbus, la 
        multinazionale che costruisce ed immette sul mercato il 70 per cento del 
        parco aeromobile mondiale e che soltanto il mese scorso ha fatto 
        decollare per la prima volta l’A380, che con i suoi 555 posti passeggeri 
        è il più grande aereo al mondo. Una cittadella in cui convivono migliaia 
        di ingegneri, meccanici, amministratori, operai specializzati, 
        ricercatori. Un tourbillon di colori, di lingue e di costumi che si 
        intrecciano in quella che fino a qualche anno fa era una tranquilla e 
        giovanile cittadina alle pendici dei Pirenei, sede della più antica 
        Accademia di Francia. Lione, secondo agglomerato urbano di Francia (415 
        mila abitanti), capoluogo del dipartimento del Rhone, a duecento 
        chilometri da Torino. Snodo strategico della linea ferroviaria ad alta 
        capacità, entro il 2010 dovrebbe rappresentare il punto di contatto tra 
        il Mezzogiorno d’Italia e l’Europa dell’Est. Le antiche origini 
        romaniche fanno oggi da cornice alle numerose piccole e medie industrie 
        sorte attorno agli stabilimenti Renault e Bosh. La vita della città è 
        scandita dalla campanella di fine turno, in cui fiumane di persone si 
        incrociano ai cancelli dei rispettivi reparti. Sono soprattutto ex 
        giovani braccianti del meridione francese e immigrati italiani.
 
 Tolosa e Lione rappresentano due modelli differenti di intendere il 
        lavoro e l’impresa. Tradizione contro innovazione; conservazione contro 
        ricerca, nazionalismo contro europeismo. Ma anche protezionismo contro 
        liberismo. E sono proprio questi argomenti ad infiammare e il dibattito 
        e dividere i cittadini, oggi come non mai, in vista dell’imminente voto 
        referendario sulla
        
        costituzione europea. Il 29 maggio sarà 
        stabilito non soltanto il futuro della Francia, ma anche e soprattutto 
        quello dell’Europa. Da oltre cinquant’anni i trattati europei si 
        susseguono e si sovrappongono:
        
        Roma,
        
        Maastricht, Amsterdam, Nizza. Ma ora si 
        è arrivati ad un punto di non ritorno, qualunque sia il risultato delle 
        urne. La Costituzione regola le procedure e le competenze all’interno 
        della creatura allargata ai venticinque (ventisette dal 2007) che, se 
        approvata, le donerà una dose di ormoni della crescita che serviranno 
        forse a far finalmente crescere il “nano politico” che sinora è stato 
        l’Unione Europea.
 
 I sondaggi più recenti (Ipsos, 
        23 maggio) descrivono una Francia divisa in due fazioni 
        praticamente equivalenti, in cui soltanto per mezzo punto percentuale 
        avrebbero la meglio i contrari alla Costituzione europea. “Progresso 
        sociale”, “pieno impiego”, “lotta al monopolio”, locuzioni contenute 
        all’interno del trattato europeo, vengono tradotte dalla sinistra come 
        “economia di mercato altamente competitiva e senza regole” alla mercé di 
        un “liberismo senza regole”. Di tutt’altra idea conservatori, 
        democratici-cristiani e liberali che, attraverso la spinta decisiva 
        voluta dal leader 
        Nicolas Sarkozy, hanno compiuto 
        un’importante operazione fusionista: il partito unico, l’Ump, alla 
        stregua del partito conservatore statunitense. Sindaco di 
        Neully-sur-Seine dal 1983 al 2002, anno in cui venne nominato ministro 
        all’Economia, “Sarko” rappresenta un nuovo punto di riferimento per 
        tutti i francesi euro-appassionati. Il programma “Una nuova Europa per 
        una nuova Francia” pone infatti soltanto in secondo piano la questione 
        interna, dando la priorità all’istituzione continentale. Di fronte ad 
        una platea di 4 mila giovani parigini, Sarkozy
        
        non ha avuto dubbi nel dire che il voto 
        referendario segna un passo decisivo nello sviluppo e nella crescita 
        economica e sociale della Francia. Non ha avuto timori nell’affermare 
        che “la meritocrazia fa paura soltanto a chi non ha nulla da offrire”, 
        ha ammonito che “è nostro dovere confrontarci e mettere a disposizione 
        le nostre migliori risorse”. Secondo il sondaggio Ipsos, dopo il 
        discorso del leader dell’Ump, il 76 per cento dei simpatizzanti di 
        centro destra hanno espresso l’intenzione di appoggiare la Costituzione 
        europea (contro il 71 per cento rilevato nella settimana precedente). 
        Per vincere il referendum, quindi, Sarkozy dovrà riuscire a convincere 
        ancora una piccola parte dei suoi elettori. Ipotesi che, a pochi giorni 
        dal voto, non sembra un obiettivo impossibile da raggiungere.
 
 Il voto referendario non è un argomento che interessa soltanto i 
        francesi, ma potrebbe segnare le sorti dell’intera istituzione europea. 
        Un esito negativo del referendum, infatti, potrebbe innescare un 
        preoccupante effetto domino di scetticismo anche tra i sostenitori 
        storici dell’Ue. Il problema, infatti, interessa soprattutto alcuni 
        degli Stati “anziani”, poiché alcuni nuovi aderenti (Cipro, Lituania, 
        Ungheria, Estonia, Lettonia, Slovenia, Slovacchia e Malta) hanno 
        provveduto a ratificare il documento seguendo la ratifica parlamentare e 
        non referendaria. Di parere opposto è la
        
        Polonia, il maggiore tra i Paesi di 
        nuova adesione, che intende indire un referendum sulla Costituzione in 
        concomitanza con le presidenziali di fine 2005. E se nel 2003 il 77 per 
        cento dei polacchi votò a favore dell’adesione all’Unione, adesso la 
        quota dei favorevoli è stimata attorno al 43 per cento contro un 16 per 
        cento di “no” e un considerevole 41 per cento di indecisi. Il rischio di 
        referendum non esiste invece per alcuni paesi fondatori come Italia, 
        Germania, Lussemburgo Belgio. Altri invece, come la Spagna, hanno già 
        superato la prova referendaria con successo: Madrid è stata infatti la 
        prima capitale europea a passare la boa referendaria il 20 febbraio 
        scorso. Futuro nebbioso invece per Portogallo, Irlanda, Olanda, 
        Finlandia Gran Bretagna e Danimarca. L’Irlanda si prepara 
        all’appuntamento con il referendum che dovrebbe essere fissato 
        all’inizio del prossimo anno. La Finlandia, infine, è tra i più 
        indecisi. Anche se il 42 per cento dei cittadini è favorevole alla 
        Costituzione, gli euroscettici contano per il 24 per cento e tra questi 
        vi sono molti esponenti politici di spicco che vorrebbero fissare 
        l’appuntamento referendario in concomitanza con le elezioni 
        presidenziali nel 2006.
 
		
		25 maggio 2005
 stecaliciuri@hotmail.com
 
		  
          
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