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				Le Crociate buoniste di Ridley Scottdi Alessandro Gisotti
 [21 mag 05]
 
 Un eroe impavido. Tintinnar di spade. Epiche Battaglie. Nel 
				kolossal “Le Crociate”, Ridley Scott ripropone con maestria 
				scenografica gli ingredienti che hanno decretato il successo de 
				“Il Gladiatore”. Ma le licenze creative del regista sono tante e 
				tali che, a tratti, sembra di assistere ad una vicenda 
				ambientata nella Terra di Mezzo del “Signore degli Anelli” 
				piuttosto che nella Terra Santa del dodicesimo secolo dopo 
				Cristo. Emerge soprattutto, come ha sottolineato lo storico 
				Giorgio Rumi, una rilettura politicamente corretta, un 
				“centrismo buonista sotto forma di pedagogia politica-religiosa 
				rivolta al XXI secolo attraverso un passato didascalico”. Nel 
				film, la religione viene marginalizzata, cloroformizzata con il 
				risultato che dopo 2 ore e mezza di proiezione, lo spettatore 
				stenta a comprendere per quale ragione cristiani e musulmani si 
				affrontino all’ultimo sangue. Non a caso, il titolo originale 
				del film non è “Le Crociate”, ma un più sincretistico e innocuo 
				“Kingdom of Heaven”, Regno dei Cieli. E’ ancora Rumi a notare 
				come Scott sia alla continua ricerca di una “fusione di fedi per 
				proporre una religione che sia al di sopra delle parti”. D’altro 
				parte, per il professore della Statale di Milano, “la principale 
				architettura ideologica del film è la contrapposizione tra 
				dialoganti e guerrafondai fatta in modo apodittico”.
 
 Semplicistica, quasi irritante, la caratterizzazione dei 
				personaggi. Il protagonista è il fabbro francese Baliano, 
				spirito tormentato per il suicidio della moglie, che si ritrova, 
				dopo incredibili vicissitudini, a difendere Gerusalemme. Ai 
				Templari viene assegnato il ruolo dei cattivi: assetati di 
				sangue, pronti a massacrare la popolazione civile pur di 
				scatenare una guerra contro i musulmani. Infine, capolavoro del 
				politically correct, il “buon” Saladino. Riflessivo, profondo, 
				affascina per la sua moderazione. Entra in guerra, quasi di 
				controvoglia, costretto dalle nefandezze perpetrate dai 
				crociati. Sulla figura di Baliano, si concentrano le critiche de 
				“La Rivista del Cinematografo”. “Mancando riscontri storici 
				dettagliati – scrive Diego Giuliani sul mensile dell’Ente dello 
				Spettacolo – il personaggio è stato modellato a immagine di 
				virtù e tolleranza. A muoverlo nella sua missione è la difesa 
				dei civili, non la fede. La religione non la urla per incitare i 
				soldati, non la nomina quasi, e quando lo fa, in privato, è 
				soltanto per metterla in discussione”.
 
 Dal canto suo, Abou El Fadl, professore emerito di Legge 
				Islamica all’Università di California, riscontra che nel peplum 
				di Ridley Scott i cattivi tra i musulmani coincidono con la 
				componente clericale. “Ne emerge un messaggio secondo cui 
				l’unico dialogo possibile è con i musulmani laici, perché gli 
				altri sono necessariamente integralisti e fanatici”. A dirla 
				tutta, l’immagine del clero cristiano ne esce ancora peggio. Nel 
				film compaiono solo due ecclesiastici. Un sacerdote all’inizio e 
				un vescovo alla fine. Malvagio il primo, codardo il secondo. Che 
				invece di trovare una parola di conforto per il popolo di 
				Gerusalemme sotto assedio, lo esorta a convertirsi all’Islam. 
				“Tanto c’è sempre tempo per pentirsi”, afferma paradossale. 
				Tranchant il giudizio complessivo del medievalista Franco 
				Cardini. “Siamo davanti a spezzoni di passato storico mal 
				conosciuto, mal digerito che vengono mischiati ad aspetti di 
				fiction e ad aspetti di coartazione più o meno ideologica. Il 
				risultato è storicamente quasi incontrollabile”. Insomma, il 
				film può anche piacere, ma le Crociate sono tutta un’altra 
				storia.
 
              
				21 maggio 2005 |