Star Wars, la vittoria del Lato Oscuro
di Federico Punzi*
[01
giu 05]
Episode III, la vendetta dei Sith è migliore dei due precedenti,
ma se non è del tutto pessimo, rimane quasi pessimo (un 5-). La
storia, se considerata nell'ottica dell'intera saga, è intensa e
avvincente, tutti i nodi allacciati nei primi due episodi (e nei
successivi tre) vengono al pettine, le forze ancestrali che
muovono i personaggi e le loro azioni, la tensione morale, sono le
stesse della prima trilogia. Il guaio è che molte cose sono
stonate. Il film è sceneggiato maluccio e recitato peggio. Secondo
il settimanale neocon Weekly Standard di qualche giorno fa la
seconda trilogia "ha fallito nell'aggiungersi per sempre nella
mitologia di Star Wars... Provate a nominare un personaggio, o
un'immagine, o un dialogo da questi prequels che fra trent'anni
avranno la stessa risonanza culturale" di quelli della prima
trilogia. I dialoghi vengono definiti “terribili”, “le scene con
Anakin (Hayden Christensen) e sua moglie Padmé (Natalie Portman),
sono lavorate in modo così incompetente da essere imbarazzanti per
tutti i coinvolti”. L'uso di scenografie virtuali a scapito di
luoghi reali fa venire in mente i film d'animazione. Insomma, una
stroncatura è lapidaria.
Il passaggio di Anakin al Lato Oscuro della Forza è il tema
centrale del film, ma nel momento cruciale ci è sembrato piuttosto
repentino. Forse la scena - come molte di quelle più importanti -
è durata troppo poco ed è stata mal recitata. Il Consiglio dei
Jedi si dimostra una banda di fessi, soprattutto Obi Wan: pur
avendo chiara la minaccia che si nasconde nel cancelliere e in
Anakin, si fanno fregare nel più banale dei modi. Lo stesso
maestro Yoda riconosce il suo fallimento, “fallito il mio compito
ho”. Si riferisce all'aver permesso che il Lato Oscuro divenisse
più potente, nell'aver permesso la perdizione di Anakin, la caduta
della Repubblica, la morte dei Jedi. Sulla necessità che ciò
accadesse non si discute, è l'evento da cui scaturisce l'intera
saga, ma un esito più combattuto e incerto avrebbe reso
maggiormente il senso di ineluttabilità degli eventi. Ora
buttiamola in politica. Ho contato tre scivoloni anti-Bush nella
sceneggiatura. Un vero peccato che un film che vuole essere epico
scada in questo modo. Momenti cruciali banalizzati da richiami fin
troppo espliciti all'attualità politica di oggi. Il primo: Padmé
auspica la fine della guerra, occorre ridare voce alla diplomazia,
o questa guerra rovinerà la Repubblica. Poi però non avverte la
vera minaccia. Il secondo: se in più occasioni Lord Sidious e
Darth Vader si inorgogliscono per aver riportato pace e stabilità
nella galassia (le parole d'ordine di pacifisti e realisti di
oggi), è costante anche il loro richiamo alla sicurezza della
Repubblica. Il terzo, lo scivolone più eclatante, è al momento del
duello fra Anakin e Obi Wan: “Se non sei con me, sei mio nemico”,
dice Anakin. Pronta la replica politically correct di Obi-Wan:
“Solo i Sith ragionano per assoluti”.
L'unica frase indovinata che ricorderemo, ma che ho l'impressione
di aver già letto o sentito da qualche parte, la pronuncia Padmé
mentre il cancelliere Palpatine proclama l'impero tra gli applausi
del Senato: “È così che muore la libertà. Sotto applausi
scroscianti”. Una frase-monito, di grande impatto, che ci ricorda
come democrazia e libertà non siano affatto beni acquisiti per
sempre ma richiedono il nostro attivo e quotidiano coinvolgimento
nella loro difesa. Detto questo, l'impianto del film rimane senza
dubbio quello originario della prima trilogia. A quel filo rosso
ideale che lega i sei film rimaniamo affezionati e non può certo
venire spezzato da qualche battuta politicizzata. Rimane una saga
epica che narra l'eterna lotta del Bene contro il Male;
anti-assolutista ma anche molto anti-relativista; senza alcun
pregiudizio sul potere, il male si annida piuttosto nelle passioni
umane più diffuse e all'apparenza innocue; è inserita in una
nitida cornice religiosa giudaico-cristiana. E perché no, visto
che è di moda, con qualche accento straussiano. A una lettura
politicamente orientata e ingenuamente ristretta all'attualità, la
drammatica trasformazione della Repubblica in Impero non può che
apparire come la più tragica rappresentazione delle teorie
imperiali dell'influenza americana nel mondo e della fondatezza di
certe accuse che critici e avversari rivolgono a Bush sul Patriot
Act, Guantanamo, la guerra in Iraq, l'influenza del pensiero
neoconservatore. Se la relativa facilità con cui nel film le
istituzioni repubblicane vengono smantellate a favore dell'Impero
rappresenta un monito attuale sulla debolezza della democrazia,
tuttavia, adottando un'ottica storica più ampia, sono altri i
riferimenti che ci vengono in mente: il passaggio dalla libertas
repubblicana alla securitas imperiale di Roma, o la tragica fine
della Repubblica di Weimar.
Se proprio si volesse insistere a rintracciare nell'America di
Bush il pericolo di una deriva imperiale degli Stati Uniti, non
dovrebbe apparire fuori luogo interrogarsi sul futuro democratico
dell'Europa. L'evidente deficit democratico delle attuali
istituzioni europee, il carattere dirigista e arrogante, privo di
visione, con il quale oligarchie tecnoburocratiche e poteri
finanziari conducono il processo di integrazione sono alla base
della diffidenza che i cittadini provano nei confronti dell'Unione
europea. Possiamo davvero escludere, con una costituzione-trattato
di 445 articoli, l'avvento di un nuovo assolutismo, soft,
burocratico e imperscrutabile? La caduta e la perdizione. Tornando
al film e all'intera trilogia, la loro forza sta nella tensione
morale della lotta del Bene contro il Male, i due aspetti della
realtà che si combattono; nell'affermazione anti-relativista della
possibilità di distinguere in modo netto il Bene dal Male;
nell'approccio anti-assolutista per cui il confine tra le due
forze che governano l'universo è molto labile, incerto, ma non
precluso all'uomo. Esiste il Bene, esiste il Male, esiste per gli
uomini la possibilità, quindi il dovere morale di saper
discernere, ma al contempo queste due entità si compenetrano, il
Male si annida nel Bene, il Bene non viene completamente
annientato dal Male.
L'ambizione, la volontà di potenza, ma anche l'amore quando è
forma di egoismo, vissuto come possesso dell'altro e non come dono
all'altro, l'attaccamento per la vita terrena che porta a voler
sconfiggere la morte e possederne il mistero, sono le passioni
umane che portano Anakin ad abbracciare il Lato Oscuro della
Forza. Come il serpente nel libro della Genesi, o il demonio con
Cristo, induce l'uomo in tentazione con l'illusione di una
conoscenza completa e definitiva delle forze che agiscono
nell'universo. È con il distacco quasi ascetico dalle passioni
umane che la “religione” Jedi insegna ad arginare il Lato Oscuro
della Forza che pulsa in ogni cuore umano, è affidandosi alla
Forza come entità fondante e regolatrice dell'universo che è
possibile agire per il Bene. E' nel ritorno alle virtù
dell'antichità classica, alla moralità pubblica e privata degli
antichi, che è possibile preservare un ordine democratico della
convivenza tra gli uomini. Probabilmente il motivo di maggiore
soddisfazione in questo film è che alla fine ci riporta per mano
all'inizio della saga, allo Star Wars che amiamo. E, usciti dal
cinema, l'istinto di correre a casa e mettere nel lettore dvd
Episode IV è irrefrenabile.
01 giugno 2005
f.punzi@radioradicale.it
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Federico Punzi è il titolare del blog
JimMomo
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