Prima la federazione e dopo il partito. La politica raramente ha tempi di risposta rapidi e l’elaborazione delle idee corre al passo della lumaca. Solo in situazioni straordinarie o di emergenza i partiti – dopo aver ricevuto lo scossone – si sintonizzano con la realtà. Il dibattito sul futuro del centrodestra e la costituzione del partito unico dei conservatori italiani non si sottrae a questa regola. La rivista Ideazione, oltre un anno fa, aveva affrontato questo delicato argomento, non con la presunzione di indicare la strada alla politica, ma almeno con la convinzione che quella fosse la via e giusta fosse la battaglia delle idee per tracciarla.
Sul numero di Ideazione di luglio-agosto 2005 scrivevamo che: «È lampante che la fusione dei partiti esistenti in un unico soggetto è ora impossibile, ma è altrettanto chiaro che un luogo di cooperazione rafforzata della Casa delle Libertà deve essere costruito. Un nuovo condominio, il cui amministratore, probabilmente, non sarà il presidente del Consiglio per ragioni di compensazione tra gli alleati. Potrebbe essere una federazione o un forum di consultazione permanente. Nel primo caso, prende decisioni operative immediate, nel secondo è proiettato sulla scrittura del programma e la definizione della cornice culturale del partito unitario. In entrambi i casi, sarebbe finalmente un luogo di elaborazione politica di largo respiro, avrebbe il senso di una missione di medio-lungo periodo e sarebbe una novità in una coalizione che si è distinta negli ultimi due anni per un tasso di litigiosità cronica. Berlusconi ha suggerito la fusione dei gruppi parlamentari del centrodestra. In questa legislatura a noi pare una via ormai impraticabile e perfino quello dello speaker unico in Parlamento è un traguardo lontano: le lingue parlate nella cdl restano più numerose di quelle praticate nella torre di Babele. Per questo la federazione o il forum di consultazione è necessario. Va fatta chiarezza. Va evitata la politica delle mani libere» (Cfr. il mio “Partito unico, avanti adagio”, Ideazione, n. 4/2005).
Un anno e mezzo dopo, il centrodestra affronta il tema della federazione, la costruzione di un luogo di incontro che ha il compito di mettere a punto una cornice culturale e un programma politico per i partiti del centrodestra, ma anche una sala di comando e controllo dell’azione politica dell’alleanza. La Casa delle Libertà arriva all’appuntamento in ritardo, ma non troppo tardi per recuperare il tempo perduto, soprattutto alla luce delle difficoltà ormai croniche nel rapporto con l’Udc di Casini e lo stato di pre-crisi nel quale è precipitato in poco più di sei mesi il governo di Romano Prodi.
Federare: servono poche regole chiare
Che cosa è la federazione delle libertà? E da chi sarà composta? Sono queste
le domande che si pone il lettore e l’elettore. La risposta non è semplice,
perché l’idea della federazione non è ancora stata focalizzata bene dai
partiti del centrodestra, la scelta di imboccare quella strada è stata
accelerata – come spesso avviene in politica – da eventi prevedibili ma non
affrontati con i tempi giusti. La federazione è un passo necessario per
attutire l’effetto di una forza centrifuga (l’Udc, che vuole mani libere ed
è in libera uscita dalla Casa delle Libertà) e capitalizzare la massa
(politica, popolare, mediatica) che il 2 dicembre 2006 in piazza San
Giovanni ha reso chiaro che, pur sotto diverse bandiere, l’elettorato
moderato chiede unità. Scelta dettata dagli eventi, accelerata dagli
imprevisti, e tuttavia scelta saggia. Ma attenzione, conosciamo bene le
botole a sorpresa della politica e dunque, occorre accogliere tutto quello
che è stato detto dai leader del centrodestra con grande prudenza. Basti
ricordare il dibattito sul partito unitario (nel quale Ideazione ha speso
energie intellettuali come pochi altri) approdato poi a un nulla di fatto, a
meno che i fatti non siano scambiati per manifesti programmatici che hanno
poco a che fare con la realtà.
Torniamo alle domande. Che cosa è la federazione delle libertà? Certamente è un luogo di cooperazione rafforzata dei partiti che fanno parte della Casa delle Libertà. Torneremo più avanti sulla sua composizione, ora cerchiamo di mettere a fuoco, per quanto possibile, la sua natura.
La condizione essenziale della federazione è quella del vincolo. I partiti che ne fanno parte sottoscrivono un patto, mantengono la loro identità e autonomia ma nello stesso tempo cedono una parte di sovranità alla federazione che diventa la stanza di compensazione di tutti gli interessi in gioco, il luogo di sintesi dell’azione politica dell’alleanza. In un sistema multipartitico come quello italiano la federazione può essere lo strumento ideale per governare le turbolenze delle coalizioni, ma è fondamentale stabilire dei processi interni di comando e controllo che non sacrifichino la democrazia ma la esaltino.
L’esempio più recente di tentativo di costruire una federazione è quello della cosiddetta fed dei partiti del centrosinistra. La Federazione dell’Ulivo costituita da Democratici di Sinistra, Margherita, Socialisti Democratici Italiani e Repubblicani Europei è un esempio da osservare ma non seguire per una serie di ragioni. Innanzitutto nasce come un’operazione verticistica, tipica dei partiti della sinistra; è costruita e ruota intorno alla figura del suo presidente, Romano Prodi; infine è chiaramente concepita come fenomeno transitorio e non come strumento politico permanente: lo Statuto di nove articoli della Federazione dell’Ulivo è scritto e pensato per fare da ponte (davvero immaginario) verso il Partito Democratico.
Un solo esempio per rendere chiaro il fallimento della fed di sinistra: i Repubblicani Europei, che ne fanno parte e hanno sottoscritto il patto, non hanno avuto rappresentanza parlamentare, lo sdi – i socialisti di Boselli – si sono presentati alle elezioni politiche del 2006 con un soggetto nuovo – la Rosa nel Pugno – che su moltissimi temi era chiaramente antagonista alla principale forza della sinistra, i ds. Il coordinamento dunque non ha funzionato e la democrazia interna neppure. La fed era ed è rimasta embrione di un progetto politico incompiuto e senza speranza perché l’attuale maggioranza di governo è ben più larga, eterogenea e soprattutto conflittuale e dunque la federazione non poteva essere la stanza di compensazione degli interessi legittimi dei partiti dell’Unione.
Questa somma di errori costituisce il “peccato originale” della Federazione dell’Ulivo. E guardando a questa arruffata esperienza il centrodestra italiano può costruire invece qualcosa di diverso e funzionale al suo progetto di governo del paese. Eugenio Montale scriveva in un suo celebre verso «ciò che non siamo/ciò che non vogliamo». Procedendo per negazione, forse, dall’altra parte si riesce a progettare qualcosa di propositivo. E dunque la Federazione delle Libertà non può essere: un’operazione verticistica; né un soggetto costruito intorno a una sola persona; né tantomeno un organismo temporaneo, senza una missione politica chiara e di lungo periodo.
Se queste sono le condizioni minime per costruirla, il disegno è presto fatto. Occorre garantire un meccanismo di democrazia interna molto forte (l’idea della maggioranza dei due terzi è giusta), la struttura non deve essere verticale (di tipo feudale) ma orizzontale (si può costituire un gabinetto politico paritario e nominare uno speaker-presidente a rotazione a scadenze regolari), il programma politico deve puntare su un programma ideale concentrato in pochi punti, ma di grande impatto, in pratica l’agenda del paese e non il programma dei singoli provvedimenti da presentare in Parlamento (altro errore capitale dell’Unione).
I partiti in questo scenario sono il volano, il cuore della Federazione: assicurano la selezione primaria della classe dirigente e soprattutto l’accesso dei cittadini moderati al progetto politico-culturale. Non il mito della democrazia diretta, ma la concretezza della partecipazione. Non occorre copiare l’idea delle primarie (i cui limiti si sono evidenziati con il surreale dibattito sul Partito Democratico che è in corso nel centrosinistra), ma non si può nemmeno pensare di lasciare il laboratorio delle idee chiuso nelle segreterie dei partiti. Occorre aprirsi alla cosiddetta “società civile” e i buoni esempi non mancano. Basta dare uno sguardo all’azione politica del nuovo partito conservatore inglese. Il suo leader David Cameron ha portato aria nuova, idee concrete e partecipazione. Il programma conservatore è sintetizzato in sei semplici punti “per cambiare il paese”, il cittadino-elettore è chiamato a esprimere la sua opinione, l’uso delle tecnologie di comunicazione interattiva è massiccio (commenti on line, chat, web-tv, blog e podcasting), i documenti di governo sono accessibili e facili da consultare, temi che un tempo erano esclusiva dei laburisti – pensiamo per esempio alla questione ambientale – sono discussi e affrontati in chiave moderna. C’è passione, entusiasmo, voglia di affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Non occorre inventare niente, bisogna solo osservare, studiare e dare una scossa alla società italiana.
L’elettorato del centrodestra ha dimostrato con la manifestazione del 2 dicembre scorso in piazza San Giovanni a Roma di essere più forte e maturo dei partiti che lo rappresentano o credono di rappresentarlo.
E veniamo a questo punto alla seconda domanda: chi farà parte della Federazione delle Libertà? Non ci sono dubbi che il nocciolo duro sarà composto da Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega. Berlusconi è il capo carismatico, Fini il leader che trasforma il suo partito in chiave moderna, Bossi il riferimento del partito borghese e autonomista del Nord. Tre chiavi per aprire la porta della casa dei moderati e riconquistare la maggioranza perduta alle ultime elezioni per soli 24mila voti.
La terra di mezzo dell’Udc
La plastica rappresentazione del palco romano di Piazza San Giovanni aveva
un vuoto: non c’era Pier Ferdinando Casini. Il leader dell’Udc ha preferito
Palermo a Roma e la sua scelta ha segnato uno strappo di non facile
ricomposizione all’interno della Casa delle Libertà. Le pedine disposte sul
campo dei moderati, in questo momento, indicano una sola via percorribile:
Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega imboccano decisamente la strada
della Federazione delle Libertà, mentre i centristi di Casini restano
paradossalmente in una folliniana terra di mezzo. Per quanto tempo l’Udc
possa resistere in questa posizione non è facile dirlo. L’assenza di
consultazioni elettorali immediate consente a Casini di ripensare il suo
percorso, ma gli ostacoli per i centristi sono enormi.
La strategia di Casini infatti non sembra essere frutto di una elaborazione precedente a Palermo. Procede per aggiustamenti. È il segno che la manifestazione solitaria aveva come presupposto il fallimento (o quantomeno una tiepida accoglienza) della manifestazione lealista del 2 dicembre a Roma. Ciò non è accaduto e l’oceanica ondata di folla si è abbattuta sui centristi in maniera totalmente inattesa. Fino al pomeriggio del 2 dicembre Casini poteva sperare di avere al suo arco la freccia dei moderati che non amano scendere in piazza e preferiscono un’altra opposizione, la sua. Scese le ombre della sera, il colpo d’occhio mediatico è diventato un problema politico per l’Udc. Presentarsi come un’altra gamba dell’opposizione senza più far parte del corpo è davvero arduo, l’elettore di centrodestra – e la stessa base centrista – fatica a comprendere una simile strategia. Casini ora sta cercando di sintonizzare meglio le trasmissioni per spiegare all’elettorato il suo progetto. Ma quali sono le sue possibilità di andare da solo? L’esperienza di terzo polo in Italia non è mai decollata, il bipolarismo ha fatto breccia nell’elettorato e non è dalla scomposizione dei blocchi che Casini può trarre linfa per il suo partito. La speranza di Casini è quella di costituire un blocco cattolico-moderato con pezzi della Margherita e l’udeur di Mastella? Forse, ma chi conosce il Clemente da Ceppaloni è pronto a scommettere che un matrimonio del genere non s’ha da fare: troppi galli per un pollaio piccolo.
Resta un’altra possibilità, che chiameremo “Operazione Giscard”: Casini non entra nella federazione delle Libertà, ma lavora alla costruzione di un partito centrista che – sulle orme di Giscard d’Estaing – si allea con il partito gollista (la federazione composta da fi, an e Lega) partecipando al governo del paese e con la proiezione futura di poter esprimere un giorno il presidente, come già accaduto in Francia. È una possibilità, ma ci vuole un progetto politico e culturale che per ora l’Udc non ha messo nero su bianco e la “Operazione Giscard” è saldamente ancorata al centrodestra e non offre sponde alla sinistra. Ci sarà un congresso e forse quello sarà il tavolo per verificare se Casini ha gli strumenti e la forza per farlo. La nostra opinione, modesta ma realista, è che l’Udc trarrebbe gran vantaggio dall’ingresso nella federazione. Il suo messaggio non verrebbe interpretato come la rottura dell’alleanza (e conseguente disaffezione di parte del suo elettorato), terrebbe sotto controllo il movimentismo della dc dell’abile e intelligente Gianfranco Rotondi, potrebbe dedicarsi alla crescita del partito, al rinnovamento della sua classe dirigente e giocare la sua mano di poker in un tavolo dove il piatto è decisamente più ricco: la leadership futura del centrodestra.
In questo quadro, Silvio Berlusconi svetta ancora come un gigante e ora deve fare il passo che può completare un ciclo politico straordinario. Forza Italia ha dimostrato di non essere affatto un partito di plastica, come affannosamente hanno ripetuto opinion makers senza fantasia e di scarsa intelligenza. Il partito azzurro, in realtà, il 2 dicembre ha dimostrato capacità logistiche insospettate e la riorganizzazione interna ha subito un’accelerazione dopo le incertezze estive e un autunno piuttosto grigio. Pensare che un partito del genere cominci e finisca con Berlusconi, oggi può essere un azzardo. È vero che il Cavaliere non ha eredi, ma è anche verissimo che quell’elettorato è ancorato al centrodestra, è capace di mobilitarsi e in dodici anni di attività politica ha costruito una propria identità precisa, è una Right Nation che proprio su un numero di Ideazione avevamo descritto così: «Il berlusconismo non nasce con Berlusconi, è preesistente. Il Cavaliere lo ha di volta in volta interpretato. Nei momenti decisivi è riuscito sempre a stabilire la giusta sintonia con questo popolo silenzioso che non ama scendere in piazza ma rispetto al passato è più organizzato e più combattivo. Non ha bisogno di militarizzare la propria azione politica nelle strade perché è una tribù comunica con Internet e i telefonini. E dove non c’è la maturità tecnologica c’è il porta a porta, il passa parola, un tam tam di parole e sguardi. Non c’è bisogno di sedute di autocoscienza, perché stare dall’altra parte, quella che la sinistra giudica sbagliata, è naturale e da molto tempo decisamente più cool che stare con la sinistra giudicata conservatrice. È vero che quel popolo non si fida a dichiarare il suo voto agli istituti di sondaggi e si comporta così perché si sente distante dall’establishment e dall’apparato dell’informazione a senso unico. Tutti si sentono outsider. Come Berlusconi».
La Right Nation sventola molte bandiere, ma cerca anche un luogo dove ritrovarsi, discutere, difendere la propria identità e nello stesso tempo condividere idee politiche che considera non negoziabili con la sinistra. A noi, che non facciamo politica ma stiamo tutti i giorni sul campo di battaglia delle idee, la strada verso la federazione appare già tracciata, non seguirla sarebbe come finire in un grigio sentiero di passi perduti.
Mario Sechi, vicedirettore de il Giornale, si occupa di politica interna ed estera.
(c)
Ideazione.com (2006)
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