Nella Francia odierna, la parola liberalismo è avvolta da una serie
di significati negativi. L’intera classe politica la combatte o evita
accuratamente di usarla. Una veloce analisi delle posizioni delle forze
politiche permette di descrivere alcune tendenze profonde della società
e di porre la problematica liberale in Francia, in termini a volte contraddittori.
La sinistra del no al referendum sul Trattato costituzionale europeo, ovverosia
un arco che va dall’ala sinistra del partito socialista francese fino
alla lega comunista rivoluzionaria passando per il partito comunista, il
sindacato sud o la confederazione contadina di José Bové,
ha scambiato il capitalismo con il liberalismo, come figura retorica per
descrivere il nemico. La mondializzazione viene criticata perché
liberale, il Trattato costituzionale europeo è stato rifiutato perché
istituzionalizzava un’Europa troppo liberale, la direttiva Bolkenstein
di liberalizzazione del mercato dei servizi in Europa viene osteggiata,
la liberalizzazione di alcuni mercati agricoli su scala mondiale viene percepita
come pericolosa, nonostante le possibilità di sviluppo che offre
ad alcuni paesi poveri. L’insieme di queste forze politiche e parti
sociali difende posizioni nelle quali la politica deve prevalere sull’economia,
con una richiesta di maggiori risorse per lo Stato, sia a livello nazionale
che a livello europeo, tramite un innalzamento delle imposte dirette.
C’è quindi una chiara dialettica nella quale lo Stato in quanto
costruzione sociale viene difeso contro la liberalizzazione. Liberalizzazione
percepita come un’operazione che erode lo Stato, ovvero l’entità
che rappresenta l’aggregazione politica organizzata e democratica,
e che si oppone a comportamenti individuali giudicati negativi o pericolosi.
Si tratta di una logica post-hobbesiana nella quale fuori del Leviathan
non c’è speranza.
Le tradizioni nazionali ed internazionali alle quali attinge la sinistra
francese offrono anche una chiave di lettura dell’antiliberalismo,
perché sia il giacobinismo che il comunismo hanno espresso concezioni
economiche stataliste con differenti sfumature nell’assolutismo, una
continuità tra la costituzione rivoluzionaria dell’anno secondo
mai applicata e i vari testi fondamentali del socialismo e del comunismo.
Nel contesto attuale, la sinistra francese è quindi portatrice di
un messaggio fortemente antiliberale, ma che non va analizzato come puramente
conservatore, arroccato su ideologie del passato. La sinistra francese dà
anche voce alla voglia di politica, alla concezione che i cittadini possano
e debbano tramite meccanismi di rappresentanza incidere su progetti politici
e sociali, che il mondo non sia pietrificato intorno a poche regole economiche
alle quali sarebbe impossibile derogare. In questo caso il liberalismo viene
percepito come un’ideologia del lasciar fare, delle dimissioni della
politica a favore del governo della società umana.
Anche nell’altra roccaforte del no al Trattato costituzionale, all’estrema
destra, ritroviamo delle posizioni anti-economiche. Il Front National di
Jean-Marie Le Pen professa da tempo una politica attenta alla protezione
di qualsiasi categoria nazionale. Alcune espressioni assomigliano a quelle
dell’estrema sinistra, essendo il liberalismo percepito come una porta
aperta ad influenze straniere nocive, in particolare nel campo economico.
Ma per l’estrema destra l’indipendenza nazionale, la priorità
nazionale, deve passare attraverso una nazione blindata che non ceda nessun
pezzo della propria sovranità, difendendo l’integrità
delle proprie prerogative con le forze dell’ordine, in primo luogo
con le forze armate. Le contaminazioni culturali delle quali sarebbe vittima
una cultura francese aperta alle influenze straniere cosmopolite o immigrate,
al metissage, è un’altra critica rivolta al liberalismo, inteso
come apertura a uomini e idee percepiti come una minaccia. Questa famiglia
politica, che include anche il Mouvement pour la France de Philippe de Villiers,
un doppione del Front National, fa della frontiera una tematica centrale.
La definizione di un hic sunt leones, la richiesta di difesa delle frontiere,
di riconduzione alle frontiere e di preferenza nazionale, ne illustrano
le tendenze xenofobe.
I due poli estremi della politica francese offrono il ritratto quasi caricaturale
del paradigma antiliberale. Ritroviamo tuttavia queste tendenze nell’insieme
delle forze politiche.
In occasione del recente congresso di Le Mans del partito socialista francese,
il senatore di Mulhouse Jean-Marie Bockel ha presentato una mozione intitolata
“Socialismo e libertà” nella quale conciliava una moderna
visione della socialdemocrazia aggiornata al contesto europeo e mondiale,
parlando di liberalismo e citando Carlo e Nello Rosselli. Questa mozione
ha registrato lo 0,64 per cento dei voti dei delegati mentre il partito
attuava una faticosa manovra per raggiungere l’unità reintegrando
i partigiani del no al Trattato costituzionale e proseguendo nella produzione
di un’ideologia pesante marcata dallo statalismo e dalla difesa delle
categorie. Il partito socialista ha effettuato una virata a sinistra, rinforzando
la sua dialettica antiliberale. Tra l’altro bisogna ricordare che
i socialisti francesi hanno sempre oscillato tra chiusura e apertura, ad
esempio nel campo economico tra un’economia nazionale e l’integrazione
europea.
A destra i gollisti non sono mai stati dei grandi fautori del liberalismo.
Viene riportata la battuta di André Malraux, ministro della Cultura
di De Gaulle, che diceva: «Fra i comunisti e noi non c’è
niente», volendo significare sia la chiara divisione che la vicinanza.
La tradizione gollista è sempre stata quella di uno Stato dirigista
che poggia sul sistema dell’amministrazione centrale e del controllo
delle grandi aziende. Un sistema che difende anche le prerogative sovrane
dello Stato nazionale francese. Gli eredi di questa tradizione, il presidente
Chirac e il ramo gollista dell’ump, il principale partito di centro-destra
francese, non hanno mai dimostrato un grande entusiasmo per un liberalismo
sinonimo, ai loro occhi, di perdita di controllo sull’economia. Jacques
Chirac è famoso per la sua scarsa considerazione dell’economia,
come lo era il suo predecessore François Mitterrand. Questa tendenza
democratico-giacobina-elitaria prevale ancora oggi, mentre la centralità
meritocratica dell’amministrazione assicura una continuità
di obiettivi e un alto livello di erogazioni di servizi pubblici, un benessere
diffuso in modo omogeneo sull’insieme del territorio, che rappresentano
senz’altro una serie di progressi sui quali nessuno intende tornare
indietro. Questo filone è stato anche in grado di imporre la propria
forza nel contesto europeo, basandosi sull’eccellente capacità
di lavoro del personale amministrativo francese e sulla compattezza governativa,
mirando nel contempo alla difesa degli interessi nazionali.
Rimane la pattuglia centrista di destra, quella dell’udf, il partito
fondato da Giscard d’Estaing, e dei piccoli partiti radicali, che
hanno sempre mantenuto una serie di proposte politiche apertamente liberali.
Ma questa famiglia è stata osteggiata dalle vicissitudini del duello
Giscard-Chirac e ha fatto fatica a sopravvivere, fra un François
Leotard impallinato in volo e il tentativo chirachiano di assorbire il partito
nell’ump. Ma l’udf ha comunque superato gli scogli sotto la
guida di François Bayrou: rappresenta tra l’8 e il 12 per cento
dell’elettorato francese che si riconosce in una linea moderata. Ma
anche questi moderati un po’ isolati hanno ben presente che la capacità
di erogazione di servizi da parte dell’amministrazione in Francia
è tale che il modello centrale non può essere smontato, ma
va adattato e reso più flessibile.
L’unico movimento dichiaratamente liberale, Démocratie libérale
di Alain Madelin, non è sopravvissuto molti anni e lo stesso Madelin
riveste oggi la figura di commentatore illuminato richiamato dal pensionamento
ogni volta che ci sia bisogno di trovare un liberale: oggi è integrato
dentro l’ump. Va sottolineato il ruolo attivo svolto dal medef, la
confindustria francese, e dalla sua presidente Florence Parisot che spinge
per una serie di liberalizzazioni economiche, un ulteriore fattore che dimostra
quanto in Francia il liberalismo sia identificabile come una specie di ideologia
aziendalista.
Il liberalismo in Francia è marcato da un segno negativo quando viene
analizzato da un punto di vista economico, come la perdita di controllo
da parte dello Stato, e quindi osteggiato in quanto antipolitico, se non
interpretato come porta aperta per contaminazioni culturali. La Francia
della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino ha completamente
smarrito il retaggio politico e filosofico del secolo dei lumi. Bisogna
introdurre una distinzione fra l’uso attuale della parola liberalismo
e i fondamenti del liberalismo. Prendendo in esame i concetti di libertà
dell’individuo, della limitazione dei poteri dello Stato, della libertà
politica e di espressione dobbiamo tornare ad esaminare la situazione francese.
Questi concetti, sanciti dalla Costituzione, sono il solco comune dell’insieme
della società in cui trovano applicazione effettiva. Anzi, ognuno
di questi concetti viene difeso con scrupolosa attenzione da parte dei cittadini
e delle istituzioni. L’uguaglianza di fronte alla legge è una
delle caratteristiche più profonde della Francia odierna e del carattere
individuale francese. Storicamente, corrisponde a una delle motivazioni
di base della rivoluzione francese, alla reazione di fronte agli eccessi
dell’Ancien Régime in cui aristocrazia e clero godevano di
privilegi alla lunga percepiti come intollerabili. Si tratta di un’uguaglianza
criticata da molti perché ideale e non fattuale, ovvero spesso non
corrispondente ad un’uguaglianza economica e sociale. Ma questa interpretazione
letteraria di un concetto liberale, l’arroccamento su principi di
libertà e uguaglianza riscontrabili oggi in Francia, dimostra quanto
nella società francese ci sia un substrato di liberalismo puro. Questa
visione pura corrisponde a un progetto politico assoluto, quello della nazione
repubblicana, nel quale tutti i cittadini devono godere degli stessi diritti
e opportunità. L’insieme dei cittadini francesi e dei loro
rappresentanti può essere caratterizzato dalla personale oscillazione
fra un repubblicanesimo, una specie di dogma dei diritti, locale derivazione
del liberalismo, e una serie di tendenze più o meno conservatrici
che attraversano la società francese. Nel nome di questa purezza,
dell’uguaglianza teorica di ogni cittadino di fronte alle istituzioni
e alla legge, si è spesso rifiutato di prendere in considerazione
situazioni problematiche che esulavano dai criteri dell’uguaglianza
individuale, in particolare quando parliamo di gruppi all’interno
della società che possano richiedere un approccio specifico. C’è
una dimensione estetica nel liberalismo fondamentale francese, in quanto
considerato come sistema perfetto e quindi intoccabile.
Il paradosso del liberal francese
Constatiamo
quindi il carattere paradossale del liberalismo francese. Da un lato la
Francia è dichiaratamente antiliberale, rifiuta il liberalismo economico
perché teme di dover rinunciare a un governo della politica, mentre
dall’altro la Francia rappresenta un modello di assolutezza liberale
per il contenuto di diritti del proprio repubblicanesimo nel quale nessuna
apostasia viene tollerata, nel nome dell’ideologia della perfezione
del sistema.
Le recenti violenze nelle periferie parigine permettono di illustrare le
varie accezioni, limiti e possibilità di apertura di questo liberalismo.
Alcune interpretazioni sono state promosse per cercare di circoscrivere
il fenomeno rappresentato dalle violenze. Possiamo evocarne gli elementi
essenziali:
- critica al modello di integrazione. L’uguaglianza dei diritti non
basta a assicurare un’integrazione effettiva, sia da un punto di vista
sociale che da un punto di vista razziale (fenomeni di discriminazione razziale).
- problema dell’uguaglianza di fronte alla legge. Alcuni ceti sociali
svantaggiati vengono discriminati nel trattamento operato dalla giustizia
o dalle forze dell’ordine.
- persistenza del discorso della frontiera e della riconduzione alla frontiera
per problemi di delinquenza commessi da individui francesi o al limite figli
di immigrati di seconda o terza generazione.
- condizioni macroeconomiche di disagio sociale, ovvero un mercato del lavoro
ristretto che opera una selezione troppo forte, che non assicura l’integrazione
delle fasce più disagiate, in un contesto di mancanza di crescita
economica.
- ripresa di un forte discorso di rafforzamento delle istituzioni nel quale
la scuola repubblicana rappresenta il braccio armato dello Stato per la
partecipazione alla polis.
- ricerca di soluzioni su misura per i gruppi svantaggiati. Dibattito sulle
discriminazioni positive, esperienze già esistenti o future che vengono
spesso contrapposte a un sistema uguale per tutti.
- problema della responsabilità individuale e delle famiglie. Dibattito
sulla nozione di responsabilità delle famiglie di fronte agli atti
di vandalismo commessi da minorenni che sfuggono al controllo dei genitori.
Queste problematiche offrono delle chiavi di lettura della tematica liberale
in Francia. Prima di tutto le difficoltà del modello statale nelle
banlieues, basato sul binomio educazione/repressione ovvero scuola/polizia,
sono state percepite da molti come una forte smentita al concetto di uguaglianza
di fronte alla legge. Il fatto che i meccanismi della repubblica, pur rafforzati
in alcune zone speciali, non riescano a mantenere la coerenza pacifica della
società pone problemi. Le soluzioni proposte fino ad oggi cercavano
di integrare le popolazioni delle zone socialmente disagiate nella corrente
principale della società con alcuni correttivi ed incentivi. Tuttavia
questi correttivi rimanevano contenuti all’interno di politiche globali
dello Stato. Il sistema in quanto tale, retto dall’amministrazione,
rimaneva fiducioso nei propri principi universali. Ma anche da questo punto
di vista ci sono delle lacune da colmare: quelle delle discriminazioni basate
sul colore della pelle, un razzismo latente e diffuso che richiede una forza
maggiore nell’applicazione del concetto di uguaglianza di fronte alle
legge. Tra l’altro le reazioni di alcuni adolescenti alle pratiche
a volte un po’ manesche dei poliziotti francesi nelle periferie, dimostrano
quanto i gruppi sociali difficili abbiano integrato i concetti repubblicani
e ne richiedano una scrupolosa applicazione, rigorosa in proporzione a quanto
si sentono a volte esclusi dalla comunità che gode di diritti. Da
questo lato, la soluzione risiede nel rendere effettivi questi principi
laddove siano venuti a mancare. C’è quindi una richiesta della
società per la difesa dei diritti.
D’altro canto la capacità e la volontà dimostrate da
un numero ridotto di adolescenti maschi ad intraprendere una guerriglia
urbana, a volte imitazione spontanea delle violenze mostrate in televisione,
ha anche illustrato il carattere individuale delle problematiche.
Non basta quindi la necessaria effettività di un sistema che assicuri
l’uguaglianza dell’individuo di fronte allo Stato, bensì
si deve assicurare la collocazione dell’individuo in un tessuto locale
dove non venga a mancare un suo senso di responsabilità, dove la
sua rabbia non sfoci nell’incendiare l’automobile del vicino
o l’asilo nido della sorella.
Le reazioni di rappresentanti locali non sono venute a mancare a seguito
delle violenze. Hanno mostrato quanto il lavoro debba essere differenziato
da un contesto all’altro, e debba poggiare su un tessuto locale attivo,
nel quale l’iniziativa privata, quella di individui e di associazioni,
è fondamentale.
C’è stata quindi un’ammissione empirica del fatto che
i fondamenti liberali del sistema francese costituiscono una base irrinunciabile
che non può essere salvaguardata senza un forte impegno delle comunità
locali e degli individui, ovvero del fatto che la condizione di esistenza
di un pragmatico liberalismo risieda nei suoi margini di flessibilità
e nella sua non assolutezza.
La sfida delle banlieues
Le
violenze nelle banlieues illustrano bene le oscillazioni della società
francese di fronte alle necessità di riformismo. Da una parte il
modello di protezione dei diritti viene considerato da ogni cittadino, anche
da parte di quelli che lanciano le molotov, come un fondamento sul quale
non si può transigere. Il constatare l’affievolimento dell’effettività
del principio di uguaglianza di fronte alla legge ha provocato un’unanime
richiesta di rafforzamento dei fondamenti repubblicani.
D’altro canto le violenze dimostrano anche quanto a questo modello,
pur teoricamente perfetto, non basti richiedere ulteriori livelli di coinvolgimento
degli individui essendo necessario anche quello dei gruppi, un fattore che
il modello francese ha sempre avuto qualche difficoltà a concepire.
Le successive dichiarazioni del primo ministro Dominique de Villepin, che
ha proposto di instaurare un sistema di penalizzazione delle famiglie che
non riescono ad adempiere alle loro obbligazioni di scolarizzazione dei
figli, rappresentano una chiara indicazione di queste esigenze: l’idea
di una responsabilità individuale di fronte allo Stato, non soltanto
di un’uguaglianza dei diritti, ma anche di una possibilità
di sanzioni finanziarie nel caso di mancato adempimento dei doveri previsti
dalla legge. Alcune voci a sinistra si sono alzate per criticare questo
attacco al concetto assoluto della relazione fra cittadino e Stato che vigeva
fino ad oggi, in cui il cittadino aveva una specie di diritto omnicomprensivo
di fronte allo Stato, con delle responsabilità finanziarie limitate.
L’introduzione di un rapporto contrattuale con lo Stato, o piuttosto
il rinnovamento del contratto sociale già vigente, costituisce un
elemento di novità marginale, ma estremamente significativo. Si tratta
di un’idea liberale, quella della responsabilità dell’individuo
di fronte al proprio destino e della collettività che, oltre certi
limiti, non deve intervenire, un’idea assai estranea alla tradizione
francese.
Inoltre, l’esperienza di discriminazioni positive operata da Sciences
Po da quattro anni è stata citata ad esempio e fornisce già
le basi per ulteriori sviluppi. L’elitaria scuola di scienze politiche
ha elaborato con alcuni licei situati in zone difficili, le cosiddette “zone
di educazione prioritarie”, attuate tramite un sistema di selezione
per permettere ai migliori elementi di poter accedere al concorso dopo una
rimessa a livello. Da questa esperienza stanno nascendo una serie di progetti
per assicurare agli studenti di quartieri difficili un accesso all’insegnamento
superiore nonché un prototipo di liceo adattato a queste realtà.
Ovviamente, tali esperienze vengono spesso criticate perché geograficamente
limitate in quanto non riescono a trattare l’insieme del problema
sul territorio francese, perpetrando situazioni di disuguaglianza. Tuttavia
intorno all’elemento centrale costituito dall’educazione, si
stanno muovendo una serie di progetti che cercano di rinnovare il concetto
di uguaglianza nell’accesso all’istruzione per aiutare chi ne
abbia obiettivamente bisogno. Si tratta al momento di esperienze isolate,
ma che stanno rivestendo un significato alto, anche perché non suscitano
critiche fondamentali.
Nel cuore della Francia repubblicana, all’interno della scuola che
è sempre stata il ferro di lancia della laicità e quindi di
un’interpretazione assoluta del diritto all’uguaglianza, stanno
emergendo i primi segnali di un’evoluzione post-moderna del sistema
francese. Anche l’accento messo sulla formazione professionale è
un altro modo di descrivere un sistema più evolutivo, nel quale il
concorso pubblico o la classificazione delle scuole alle quali si è
avuto accesso non segni in modo irrimediabile il destino dell’individuo,
un’esperienza fino ad oggi particolarmente dura per chi non arriva
ad accedere a questo sistema. Si sta uscendo faticosamente dal retaggio
del pericoloso sogno di una scuola perfetta, programmata, per arrivare a
concezioni più articolate e pragmatiche.
La Francia, questa società fondamentalmente liberale che odia il
liberalismo, si vede imporre dalla violenza dei fatti una serie di adattamenti
forti. In questo, l’esempio francese può essere utile all’insieme
delle democrazie con le quali condivide un comune approccio nei confronti
dei diritti fondamentali. Spesso la società francese si è
vista opposta a un modello anglosassone presentato come più liberale.
Se rimaniamo nell’accezione puramente economica è vero. Ma
se prendiamo in conto l’insieme delle definizioni del liberalismo,
allora le differenze sono molto meno ovvie. Tra l’altro le recenti
violenze nelle periferie francesi assomigliano parecchio a passati episodi
verificatisi a Los Angeles o a Londra. La comunanza dei problemi dimostra
anche quante convergenze obiettive ci siano tra le varie interpretazioni
del liberalismo. Un modello assoluto che ruota attorno al concetto di uguaglianza
di fronte alle legge e allo Stato ha certamente bisogno di essere rinnovato
tramite una migliore articolazione con i vari territori e comunità,
e deve anche ritrovare la chiave di una crescita economica. D’altro
canto alcuni modelli si sono dimenticati di assicurare un’uguaglianza
nei fatti, rimanendo prigionieri di concetti di uguaglianza teorica che
portavano ad applicazioni per fasce di popolazioni specifiche, che non forniscono
strumenti adeguati per trattare le situazioni sociali più problematiche.
In questo contesto, il modello liberale francese è gravato da un
handicap forte: esiste, ma non vuole dire il proprio nome. In tal modo offre
agli spiriti manichei una serie di categorie con le quali si può
comodamente dividere il mondo. Il rinnovo di una visione liberale passa
anche attraverso questo lavoro di decostruzione dell’uso della parola
per rifiutarne la limitatezza legata all’interpretazione meramente
economica. Il liberalismo costituisce un patrimonio di idee migliori, anche
perché deve aiutare a rinnovare gli strumenti di conoscenza senza
dogmatismo, come nel caso francese.
Jean Pierre Darnis,
responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali (Iai).
(c)
Ideazione.com (2006)
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