Alla ricerca del liberalismo perduto
di Jean-Pierre Darnis
Ideazione di marzo-aprile 2006


Nella Francia odierna, la parola liberalismo è avvolta da una serie di significati negativi. L’intera classe politica la combatte o evita accuratamente di usarla. Una veloce analisi delle posizioni delle forze politiche permette di descrivere alcune tendenze profonde della società e di porre la problematica liberale in Francia, in termini a volte contraddittori.
La sinistra del no al referendum sul Trattato costituzionale europeo, ovverosia un arco che va dall’ala sinistra del partito socialista francese fino alla lega comunista rivoluzionaria passando per il partito comunista, il sindacato sud o la confederazione contadina di José Bové, ha scambiato il capitalismo con il liberalismo, come figura retorica per descrivere il nemico. La mondializzazione viene criticata perché liberale, il Trattato costituzionale europeo è stato rifiutato perché istituzionalizzava un’Europa troppo liberale, la direttiva Bolkenstein di liberalizzazione del mercato dei servizi in Europa viene osteggiata, la liberalizzazione di alcuni mercati agricoli su scala mondiale viene percepita come pericolosa, nonostante le possibilità di sviluppo che offre ad alcuni paesi poveri. L’insieme di queste forze politiche e parti sociali difende posizioni nelle quali la politica deve prevalere sull’economia, con una richiesta di maggiori risorse per lo Stato, sia a livello nazionale che a livello europeo, tramite un innalzamento delle imposte dirette.
C’è quindi una chiara dialettica nella quale lo Stato in quanto costruzione sociale viene difeso contro la liberalizzazione. Liberalizzazione percepita come un’operazione che erode lo Stato, ovvero l’entità che rappresenta l’aggregazione politica organizzata e democratica, e che si oppone a comportamenti individuali giudicati negativi o pericolosi. Si tratta di una logica post-hobbesiana nella quale fuori del Leviathan non c’è speranza.
Le tradizioni nazionali ed internazionali alle quali attinge la sinistra francese offrono anche una chiave di lettura dell’antiliberalismo, perché sia il giacobinismo che il comunismo hanno espresso concezioni economiche stataliste con differenti sfumature nell’assolutismo, una continuità tra la costituzione rivoluzionaria dell’anno secondo mai applicata e i vari testi fondamentali del socialismo e del comunismo. Nel contesto attuale, la sinistra francese è quindi portatrice di un messaggio fortemente antiliberale, ma che non va analizzato come puramente conservatore, arroccato su ideologie del passato. La sinistra francese dà anche voce alla voglia di politica, alla concezione che i cittadini possano e debbano tramite meccanismi di rappresentanza incidere su progetti politici e sociali, che il mondo non sia pietrificato intorno a poche regole economiche alle quali sarebbe impossibile derogare. In questo caso il liberalismo viene percepito come un’ideologia del lasciar fare, delle dimissioni della politica a favore del governo della società umana.

Anche nell’altra roccaforte del no al Trattato costituzionale, all’estrema destra, ritroviamo delle posizioni anti-economiche. Il Front National di Jean-Marie Le Pen professa da tempo una politica attenta alla protezione di qualsiasi categoria nazionale. Alcune espressioni assomigliano a quelle dell’estrema sinistra, essendo il liberalismo percepito come una porta aperta ad influenze straniere nocive, in particolare nel campo economico. Ma per l’estrema destra l’indipendenza nazionale, la priorità nazionale, deve passare attraverso una nazione blindata che non ceda nessun pezzo della propria sovranità, difendendo l’integrità delle proprie prerogative con le forze dell’ordine, in primo luogo con le forze armate. Le contaminazioni culturali delle quali sarebbe vittima una cultura francese aperta alle influenze straniere cosmopolite o immigrate, al metissage, è un’altra critica rivolta al liberalismo, inteso come apertura a uomini e idee percepiti come una minaccia. Questa famiglia politica, che include anche il Mouvement pour la France de Philippe de Villiers, un doppione del Front National, fa della frontiera una tematica centrale. La definizione di un hic sunt leones, la richiesta di difesa delle frontiere, di riconduzione alle frontiere e di preferenza nazionale, ne illustrano le tendenze xenofobe.
I due poli estremi della politica francese offrono il ritratto quasi caricaturale del paradigma antiliberale. Ritroviamo tuttavia queste tendenze nell’insieme delle forze politiche.
In occasione del recente congresso di Le Mans del partito socialista francese, il senatore di Mulhouse Jean-Marie Bockel ha presentato una mozione intitolata “Socialismo e libertà” nella quale conciliava una moderna visione della socialdemocrazia aggiornata al contesto europeo e mondiale, parlando di liberalismo e citando Carlo e Nello Rosselli. Questa mozione ha registrato lo 0,64 per cento dei voti dei delegati mentre il partito attuava una faticosa manovra per raggiungere l’unità reintegrando i partigiani del no al Trattato costituzionale e proseguendo nella produzione di un’ideologia pesante marcata dallo statalismo e dalla difesa delle categorie. Il partito socialista ha effettuato una virata a sinistra, rinforzando la sua dialettica antiliberale. Tra l’altro bisogna ricordare che i socialisti francesi hanno sempre oscillato tra chiusura e apertura, ad esempio nel campo economico tra un’economia nazionale e l’integrazione europea.
A destra i gollisti non sono mai stati dei grandi fautori del liberalismo. Viene riportata la battuta di André Malraux, ministro della Cultura di De Gaulle, che diceva: «Fra i comunisti e noi non c’è niente», volendo significare sia la chiara divisione che la vicinanza. La tradizione gollista è sempre stata quella di uno Stato dirigista che poggia sul sistema dell’amministrazione centrale e del controllo delle grandi aziende. Un sistema che difende anche le prerogative sovrane dello Stato nazionale francese. Gli eredi di questa tradizione, il presidente Chirac e il ramo gollista dell’ump, il principale partito di centro-destra francese, non hanno mai dimostrato un grande entusiasmo per un liberalismo sinonimo, ai loro occhi, di perdita di controllo sull’economia. Jacques Chirac è famoso per la sua scarsa considerazione dell’economia, come lo era il suo predecessore François Mitterrand. Questa tendenza democratico-giacobina-elitaria prevale ancora oggi, mentre la centralità meritocratica dell’amministrazione assicura una continuità di obiettivi e un alto livello di erogazioni di servizi pubblici, un benessere diffuso in modo omogeneo sull’insieme del territorio, che rappresentano senz’altro una serie di progressi sui quali nessuno intende tornare indietro. Questo filone è stato anche in grado di imporre la propria forza nel contesto europeo, basandosi sull’eccellente capacità di lavoro del personale amministrativo francese e sulla compattezza governativa, mirando nel contempo alla difesa degli interessi nazionali.
Rimane la pattuglia centrista di destra, quella dell’udf, il partito fondato da Giscard d’Estaing, e dei piccoli partiti radicali, che hanno sempre mantenuto una serie di proposte politiche apertamente liberali. Ma questa famiglia è stata osteggiata dalle vicissitudini del duello Giscard-Chirac e ha fatto fatica a sopravvivere, fra un François Leotard impallinato in volo e il tentativo chirachiano di assorbire il partito nell’ump. Ma l’udf ha comunque superato gli scogli sotto la guida di François Bayrou: rappresenta tra l’8 e il 12 per cento dell’elettorato francese che si riconosce in una linea moderata. Ma anche questi moderati un po’ isolati hanno ben presente che la capacità di erogazione di servizi da parte dell’amministrazione in Francia è tale che il modello centrale non può essere smontato, ma va adattato e reso più flessibile.
L’unico movimento dichiaratamente liberale, Démocratie libérale di Alain Madelin, non è sopravvissuto molti anni e lo stesso Madelin riveste oggi la figura di commentatore illuminato richiamato dal pensionamento ogni volta che ci sia bisogno di trovare un liberale: oggi è integrato dentro l’ump. Va sottolineato il ruolo attivo svolto dal medef, la confindustria francese, e dalla sua presidente Florence Parisot che spinge per una serie di liberalizzazioni economiche, un ulteriore fattore che dimostra quanto in Francia il liberalismo sia identificabile come una specie di ideologia aziendalista.

Il liberalismo in Francia è marcato da un segno negativo quando viene analizzato da un punto di vista economico, come la perdita di controllo da parte dello Stato, e quindi osteggiato in quanto antipolitico, se non interpretato come porta aperta per contaminazioni culturali. La Francia della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino ha completamente smarrito il retaggio politico e filosofico del secolo dei lumi. Bisogna introdurre una distinzione fra l’uso attuale della parola liberalismo e i fondamenti del liberalismo. Prendendo in esame i concetti di libertà dell’individuo, della limitazione dei poteri dello Stato, della libertà politica e di espressione dobbiamo tornare ad esaminare la situazione francese.
Questi concetti, sanciti dalla Costituzione, sono il solco comune dell’insieme della società in cui trovano applicazione effettiva. Anzi, ognuno di questi concetti viene difeso con scrupolosa attenzione da parte dei cittadini e delle istituzioni. L’uguaglianza di fronte alla legge è una delle caratteristiche più profonde della Francia odierna e del carattere individuale francese. Storicamente, corrisponde a una delle motivazioni di base della rivoluzione francese, alla reazione di fronte agli eccessi dell’Ancien Régime in cui aristocrazia e clero godevano di privilegi alla lunga percepiti come intollerabili. Si tratta di un’uguaglianza criticata da molti perché ideale e non fattuale, ovvero spesso non corrispondente ad un’uguaglianza economica e sociale. Ma questa interpretazione letteraria di un concetto liberale, l’arroccamento su principi di libertà e uguaglianza riscontrabili oggi in Francia, dimostra quanto nella società francese ci sia un substrato di liberalismo puro. Questa visione pura corrisponde a un progetto politico assoluto, quello della nazione repubblicana, nel quale tutti i cittadini devono godere degli stessi diritti e opportunità. L’insieme dei cittadini francesi e dei loro rappresentanti può essere caratterizzato dalla personale oscillazione fra un repubblicanesimo, una specie di dogma dei diritti, locale derivazione del liberalismo, e una serie di tendenze più o meno conservatrici che attraversano la società francese. Nel nome di questa purezza, dell’uguaglianza teorica di ogni cittadino di fronte alle istituzioni e alla legge, si è spesso rifiutato di prendere in considerazione situazioni problematiche che esulavano dai criteri dell’uguaglianza individuale, in particolare quando parliamo di gruppi all’interno della società che possano richiedere un approccio specifico. C’è una dimensione estetica nel liberalismo fondamentale francese, in quanto considerato come sistema perfetto e quindi intoccabile.

Il paradosso del liberal francese

Constatiamo quindi il carattere paradossale del liberalismo francese. Da un lato la Francia è dichiaratamente antiliberale, rifiuta il liberalismo economico perché teme di dover rinunciare a un governo della politica, mentre dall’altro la Francia rappresenta un modello di assolutezza liberale per il contenuto di diritti del proprio repubblicanesimo nel quale nessuna apostasia viene tollerata, nel nome dell’ideologia della perfezione del sistema.
Le recenti violenze nelle periferie parigine permettono di illustrare le varie accezioni, limiti e possibilità di apertura di questo liberalismo.
Alcune interpretazioni sono state promosse per cercare di circoscrivere il fenomeno rappresentato dalle violenze. Possiamo evocarne gli elementi essenziali:
- critica al modello di integrazione. L’uguaglianza dei diritti non basta a assicurare un’integrazione effettiva, sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista razziale (fenomeni di discriminazione razziale).
- problema dell’uguaglianza di fronte alla legge. Alcuni ceti sociali svantaggiati vengono discriminati nel trattamento operato dalla giustizia o dalle forze dell’ordine.
- persistenza del discorso della frontiera e della riconduzione alla frontiera per problemi di delinquenza commessi da individui francesi o al limite figli di immigrati di seconda o terza generazione.
- condizioni macroeconomiche di disagio sociale, ovvero un mercato del lavoro ristretto che opera una selezione troppo forte, che non assicura l’integrazione delle fasce più disagiate, in un contesto di mancanza di crescita economica.
- ripresa di un forte discorso di rafforzamento delle istituzioni nel quale la scuola repubblicana rappresenta il braccio armato dello Stato per la partecipazione alla polis.
- ricerca di soluzioni su misura per i gruppi svantaggiati. Dibattito sulle discriminazioni positive, esperienze già esistenti o future che vengono spesso contrapposte a un sistema uguale per tutti.
- problema della responsabilità individuale e delle famiglie. Dibattito sulla nozione di responsabilità delle famiglie di fronte agli atti di vandalismo commessi da minorenni che sfuggono al controllo dei genitori.
Queste problematiche offrono delle chiavi di lettura della tematica liberale in Francia. Prima di tutto le difficoltà del modello statale nelle banlieues, basato sul binomio educazione/repressione ovvero scuola/polizia, sono state percepite da molti come una forte smentita al concetto di uguaglianza di fronte alla legge. Il fatto che i meccanismi della repubblica, pur rafforzati in alcune zone speciali, non riescano a mantenere la coerenza pacifica della società pone problemi. Le soluzioni proposte fino ad oggi cercavano di integrare le popolazioni delle zone socialmente disagiate nella corrente principale della società con alcuni correttivi ed incentivi. Tuttavia questi correttivi rimanevano contenuti all’interno di politiche globali dello Stato. Il sistema in quanto tale, retto dall’amministrazione, rimaneva fiducioso nei propri principi universali. Ma anche da questo punto di vista ci sono delle lacune da colmare: quelle delle discriminazioni basate sul colore della pelle, un razzismo latente e diffuso che richiede una forza maggiore nell’applicazione del concetto di uguaglianza di fronte alle legge. Tra l’altro le reazioni di alcuni adolescenti alle pratiche a volte un po’ manesche dei poliziotti francesi nelle periferie, dimostrano quanto i gruppi sociali difficili abbiano integrato i concetti repubblicani e ne richiedano una scrupolosa applicazione, rigorosa in proporzione a quanto si sentono a volte esclusi dalla comunità che gode di diritti. Da questo lato, la soluzione risiede nel rendere effettivi questi principi laddove siano venuti a mancare. C’è quindi una richiesta della società per la difesa dei diritti.
D’altro canto la capacità e la volontà dimostrate da un numero ridotto di adolescenti maschi ad intraprendere una guerriglia urbana, a volte imitazione spontanea delle violenze mostrate in televisione, ha anche illustrato il carattere individuale delle problematiche.
Non basta quindi la necessaria effettività di un sistema che assicuri l’uguaglianza dell’individuo di fronte allo Stato, bensì si deve assicurare la collocazione dell’individuo in un tessuto locale dove non venga a mancare un suo senso di responsabilità, dove la sua rabbia non sfoci nell’incendiare l’automobile del vicino o l’asilo nido della sorella.
Le reazioni di rappresentanti locali non sono venute a mancare a seguito delle violenze. Hanno mostrato quanto il lavoro debba essere differenziato da un contesto all’altro, e debba poggiare su un tessuto locale attivo, nel quale l’iniziativa privata, quella di individui e di associazioni, è fondamentale.
C’è stata quindi un’ammissione empirica del fatto che i fondamenti liberali del sistema francese costituiscono una base irrinunciabile che non può essere salvaguardata senza un forte impegno delle comunità locali e degli individui, ovvero del fatto che la condizione di esistenza di un pragmatico liberalismo risieda nei suoi margini di flessibilità e nella sua non assolutezza.

La sfida delle banlieues

Le violenze nelle banlieues illustrano bene le oscillazioni della società francese di fronte alle necessità di riformismo. Da una parte il modello di protezione dei diritti viene considerato da ogni cittadino, anche da parte di quelli che lanciano le molotov, come un fondamento sul quale non si può transigere. Il constatare l’affievolimento dell’effettività del principio di uguaglianza di fronte alla legge ha provocato un’unanime richiesta di rafforzamento dei fondamenti repubblicani.
D’altro canto le violenze dimostrano anche quanto a questo modello, pur teoricamente perfetto, non basti richiedere ulteriori livelli di coinvolgimento degli individui essendo necessario anche quello dei gruppi, un fattore che il modello francese ha sempre avuto qualche difficoltà a concepire.
Le successive dichiarazioni del primo ministro Dominique de Villepin, che ha proposto di instaurare un sistema di penalizzazione delle famiglie che non riescono ad adempiere alle loro obbligazioni di scolarizzazione dei figli, rappresentano una chiara indicazione di queste esigenze: l’idea di una responsabilità individuale di fronte allo Stato, non soltanto di un’uguaglianza dei diritti, ma anche di una possibilità di sanzioni finanziarie nel caso di mancato adempimento dei doveri previsti dalla legge. Alcune voci a sinistra si sono alzate per criticare questo attacco al concetto assoluto della relazione fra cittadino e Stato che vigeva fino ad oggi, in cui il cittadino aveva una specie di diritto omnicomprensivo di fronte allo Stato, con delle responsabilità finanziarie limitate. L’introduzione di un rapporto contrattuale con lo Stato, o piuttosto il rinnovamento del contratto sociale già vigente, costituisce un elemento di novità marginale, ma estremamente significativo. Si tratta di un’idea liberale, quella della responsabilità dell’individuo di fronte al proprio destino e della collettività che, oltre certi limiti, non deve intervenire, un’idea assai estranea alla tradizione francese.
Inoltre, l’esperienza di discriminazioni positive operata da Sciences Po da quattro anni è stata citata ad esempio e fornisce già le basi per ulteriori sviluppi. L’elitaria scuola di scienze politiche ha elaborato con alcuni licei situati in zone difficili, le cosiddette “zone di educazione prioritarie”, attuate tramite un sistema di selezione per permettere ai migliori elementi di poter accedere al concorso dopo una rimessa a livello. Da questa esperienza stanno nascendo una serie di progetti per assicurare agli studenti di quartieri difficili un accesso all’insegnamento superiore nonché un prototipo di liceo adattato a queste realtà. Ovviamente, tali esperienze vengono spesso criticate perché geograficamente limitate in quanto non riescono a trattare l’insieme del problema sul territorio francese, perpetrando situazioni di disuguaglianza. Tuttavia intorno all’elemento centrale costituito dall’educazione, si stanno muovendo una serie di progetti che cercano di rinnovare il concetto di uguaglianza nell’accesso all’istruzione per aiutare chi ne abbia obiettivamente bisogno. Si tratta al momento di esperienze isolate, ma che stanno rivestendo un significato alto, anche perché non suscitano critiche fondamentali.

Nel cuore della Francia repubblicana, all’interno della scuola che è sempre stata il ferro di lancia della laicità e quindi di un’interpretazione assoluta del diritto all’uguaglianza, stanno emergendo i primi segnali di un’evoluzione post-moderna del sistema francese. Anche l’accento messo sulla formazione professionale è un altro modo di descrivere un sistema più evolutivo, nel quale il concorso pubblico o la classificazione delle scuole alle quali si è avuto accesso non segni in modo irrimediabile il destino dell’individuo, un’esperienza fino ad oggi particolarmente dura per chi non arriva ad accedere a questo sistema. Si sta uscendo faticosamente dal retaggio del pericoloso sogno di una scuola perfetta, programmata, per arrivare a concezioni più articolate e pragmatiche.
La Francia, questa società fondamentalmente liberale che odia il liberalismo, si vede imporre dalla violenza dei fatti una serie di adattamenti forti. In questo, l’esempio francese può essere utile all’insieme delle democrazie con le quali condivide un comune approccio nei confronti dei diritti fondamentali. Spesso la società francese si è vista opposta a un modello anglosassone presentato come più liberale. Se rimaniamo nell’accezione puramente economica è vero. Ma se prendiamo in conto l’insieme delle definizioni del liberalismo, allora le differenze sono molto meno ovvie. Tra l’altro le recenti violenze nelle periferie francesi assomigliano parecchio a passati episodi verificatisi a Los Angeles o a Londra. La comunanza dei problemi dimostra anche quante convergenze obiettive ci siano tra le varie interpretazioni del liberalismo. Un modello assoluto che ruota attorno al concetto di uguaglianza di fronte alle legge e allo Stato ha certamente bisogno di essere rinnovato tramite una migliore articolazione con i vari territori e comunità, e deve anche ritrovare la chiave di una crescita economica. D’altro canto alcuni modelli si sono dimenticati di assicurare un’uguaglianza nei fatti, rimanendo prigionieri di concetti di uguaglianza teorica che portavano ad applicazioni per fasce di popolazioni specifiche, che non forniscono strumenti adeguati per trattare le situazioni sociali più problematiche.
In questo contesto, il modello liberale francese è gravato da un handicap forte: esiste, ma non vuole dire il proprio nome. In tal modo offre agli spiriti manichei una serie di categorie con le quali si può comodamente dividere il mondo. Il rinnovo di una visione liberale passa anche attraverso questo lavoro di decostruzione dell’uso della parola per rifiutarne la limitatezza legata all’interpretazione meramente economica. Il liberalismo costituisce un patrimonio di idee migliori, anche perché deve aiutare a rinnovare gli strumenti di conoscenza senza dogmatismo, come nel caso francese.

 

Jean Pierre Darnis, responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali (Iai).

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