La morte del dittatore di lungo corso dell’Unione Sovietica Joseph
Stalin, nel marzo del 1953, diede subito impeto al cambiamento nei paesi
del blocco comunista. A poche settimane dalla sua morte, i suoi successori
spronarono (e, ove necessario, obbligarono) i governi est europei a promulgare
un vasto Nuovo Corso di riforme politiche ed economiche. L’introduzione
improvvisa di questi cambiamenti e la brusca impennata di aspettative nell’Europa
orientale, causò scioperi e manifestazioni di piazza in Bulgaria
nel maggio del 1953, una rivolta in Cecoslovacchia all’inizio di giugno
e un’insurrezione molto più vasta nella Germania dell’Est
due settimane dopo1. Le autorità riuscirono a reprimere una violenta
rivolta a Plzen e i disordini in altre città cecoslovacche l’1
e il 2 giugno, ma nella Germania orientale il governo e le forze di sicurezza
persero ben presto il controllo della situazione quando centinaia di migliaia
di persone, il 17 giugno, insorsero contro il dominio comunista. Per schiacciare
la rivolta le truppe sovietiche furono costrette a intervenire in maniera
massiccia e in tutta la Germania orientale.
Il ricorso alla potenza militare sovietica nella Germania dell’Est
ha risolto il problema immediato che l’Unione Sovietica si trovava
ad affrontare nell’Europa orientale, ma non ha conferito maggiore
coerenza alla politica sovietica, né ha eliminato la prospettiva
di ulteriori insurrezioni nel blocco sovietico. Anche se la caduta di un
importante funzionario, Lauretii Beria, alla fine di giugno del 1953 e la
nomina formale di Nikita Krushev a capo del Partito comunista sovietico
(pcus) nel settembre del 1953 avevano un po’ mitigato l’instabilità
della politica interna sovietica, la lotta per la leadership continuò
a riverberarsi sui rapporti fra l’urss e l’Europa orientale
negli anni successivi2. Nel breve periodo in cui Georgii Malenkov fu primo
ministro, dal marzo del 1953 al febbraio del 1955, il governo sovietico
incoraggiò un significativo allentamento dei controlli economici
e politici nell’Europa dell’Est, così come si stava facendo
nella stessa Unione Sovietica. Nella regione ebbe fine il violento terrore
di massa. Dopo il giugno del 1953 le riforme nei paesi del blocco orientale
non furono vaste come quelle proposte prima della rimozione di Beria, ma
rappresentavano tuttavia un significativo allontanamento dallo stalinismo.
In una regione come l’Europa orientale, che era stata oppressa così
duramente durante l’era staliniana, l’improvvisa adozione del
Nuovo Corso amplificò inevitabilmente il potenziale per rivolte sociali
e politiche. La maggior parte dei principali leader di Mosca, però,
erano troppo invischiati negli affari interni e nella lotta per il potere
per valutare correttamente le condizioni sempre più instabili del
blocco orientale3. Molti funzionari sovietici si limitarono a sperare che
le rivolte in Cecoslovacchia e nella Germania dell’Est del 1953 rappresentassero
un’anomalia e non il segno premonitore degli ulteriori disordini esplosivi
del futuro.
I dissidi all’interno della dirigenza sovietica
L’entità
dell’errore di valutazione dei leader sovietici riguardo la situazione
dell’Europa orientale appare evidente dall’approccio confuso
che il principale rivale di Malenkov, Nikita Krushev, adottò inizialmente.
Per avere la meglio su Malenkov nella lotta per la leadership fra la fine
del 1954 e l’inizio del 1955, Krushev aveva temporaneamente parteggiato
per i sostenitori della linea dura, e questo spostamento si riverberò
immediatamente in tutto il blocco. Per ordine di Krushev, i governi est
europei rallentarono o invertirono il corso di molte riforme economiche
e politiche che avevano attuato dopo la morte di Stalin e in Ungheria, nell’aprile
del 1955, fu deposto il primo ministro riformista, Imre Nagy, per opera
del leader neostalinista del partito dei lavoratori ungheresi, Mátyás
Rákosi, che due anni prima era stato obbligato dalle pressioni sovietiche
a cedere la carica di primo ministro a Nagy. Poiché il nuovo primo
ministro ungherese, András Hegedüs, era un personaggio molto
più debole di Nagy, Rákosi riuscì facilmente a riacquisire
un ruolo politico dominante nel paese e a disfare molte delle riforme da
poco messe in atto. In seguito Krushev, conversando con i leader cinesi,
riconobbe che uno degli «errori più gravi» che aveva
commesso nel 1955, era stato quello di essere tornato ad «appoggiare
quell’idiota di Rákosi»4.
L’improvviso crollo delle aspettative popolari in Ungheria e in altri
paesi dell’Europa dell’Est – aspettative suscitate dal
nuovo corso degli ultimi due anni – aveva generato forte malcontento
popolare. Dopo il giugno del 1953, Malenkov era riuscito a non far venire
a galla il malcontento diffuso nell’Europa orientale, procedendo con
misure tese a migliorare le condizioni di vita, aumentare i beni di consumo
e dare risposte alle preoccupazioni del pubblico; ma, all’inizio del
1955, Krushev obbligò Malenkov a farsi da parte (sostituendolo alla
carica di primo ministro con Nikolai Bulganin) e iniziò a ridurre
la portata e il ritmo delle riforme post-staliniste, aumentando senza volerlo
il potenziale per rivolte destabilizzanti nell’Est europeo.
Disinnescare la minaccia di instabilità nell’Europa orientale
non era facile come nell’era staliniana. L’Unione Sovietica
non poteva più ricorrere a metodi stalinisti, per garantire l’ortodossia
del blocco. Sebbene fossero possibili tagli all’economia, era impensabile
un ritorno al terrore dilagante; né lo avrebbero voluto Krushev e
i suoi colleghi. Krushev, quindi, modificò un po’ il suo approccio,
tentando di rimpiazzare la subordinazione politica dell’Europa orientale,
che era stata possibile ai tempi di Stalin, con la coesione ideologica ed
economica. Avanzò il concetto di un commonwealth socialista (sotsialisticheskoe
sodruzhestvo) nel quale i partiti comunisti est europei avrebbero avuto
il diritto di scegliere la «loro via al socialismo» –
avrebbero avuto, cioè, un po’ più libertà d’azione
nelle questioni interne – se avessero continuato a «basare tutte
le proprie attività sugli insegnamenti del marxismo-leninismo»5.
Krushev sembrava credere che il sostegno popolare per i governi dell’Europa
orientale sarebbe cresciuto se questi avessero avuto più indipendenza
in politica interna, ma voleva garantire all’Unione Sovietica il controllo
a lungo termine del blocco promuovendo l’integrazione economica e
militare. Con questi obiettivi in mente, Krushev tentò di risanare
le relazioni con la Iugoslavia e di riavvicinarla all’area sovietica,
di dare maggiore sostanza al Consiglio per la mutua assistenza economica
(cmea) e di promuovere un più concreto rapporto militare sovietico-est
europeo, istituendo l’Organizzazione del Patto di Varsavia nel maggio
del 1955.
L’offerta di riavvicinamento con la Iugoslavia rivestiva particolare
importanza per Krushev, in parte perché poteva usarla come un cuneo
contro uno dei suoi rivali interni, Vyacheslav Molotov. Nel 1948 Stalin
e Molotov avevano provocato un’aspra divisione con la Iugoslavia,
cercando poi di liberarsi del leader iugoslavo, Josip Broz Tito. I vari
sforzi per rimuovere Tito, alla fine, si rivelarono vani, ma Stalin rimase
caparbiamente ostile alla Iugoslavia fino alla fine. A pochi mesi dalla
sua morte, però, il 16 giugno del 1953, il suo successore decise
di ripristinare le relazioni diplomatiche con il paese. Quest’iniziativa
rappresentò il primo tentativo di mettere fine a circa un lustro
di polemiche e recriminazioni. Malgrado ciò, la portata della mossa
fu limitata dal fatto che non prevedeva una ripresa dei legami fra i partiti
comunisti dei due paesi. Nel pcus Molotov e alcuni altri rimasero saldamente
contrari a qualsiasi possibilità di perseguire una riconciliazione
con i comunisti iugoslavi.
Nel 1954, Krushev iniziò a preparare il terreno per un più
completo riavvicinamento con la Iugoslavia e intensificò gli sforzi
nel 1955 per superare l’opposizione di Molotov. Il 26 maggio del 1955,
dieci giorni dopo che era tornato dalla Polonia per la firma del Patto di
Varsavia, si recò a Belgrado per una serie di incontri con Tito.
Nel comunicato rilasciato il 2 giugno alla fine degli incontri – che
diventò noto come la Dichiarazione di Belgrado – le due parti
si impegnavano a rispettare le «differenti nature interne, di sistemi
sociali e di forma di sviluppo socialista»6. La dichiarazione, inoltre,
impegnava le parti a non interferire negli affari interni dell’altro
«per nessun motivo». La visita e la dichiarazione congiunta
furono importanti per Krushev non solo perché costituirono un rilevante
successo politico, ma anche perché gli permisero di accelerare i
suoi attacchi a Molotov. Nel plenum del comitato centrale del pcus, che
Krushev riunì nel luglio del 1955, poco dopo il suo ritorno da Belgrado,
i delegati espressero fiumi di critiche verso la «ridicola»,
«profondamente fuorviata» ed «erronea» concezione
di Molotov sulle relazioni con la Iugoslavia.7
I rapporti fra urss e Iugoslavia continuarono a migliorare nei mesi seguenti
grazie al “discorso segreto” che Krushev tenne al ventesimo
congresso del Pcus, nel febbraio del 1956, e nel quale condannò esplicitamente
la politica di Stalin nei confronti della Iugoslavia, definendola «arbitraria»
ed «erronea»8.
Il 20 marzo, il principale quotidiano iugoslavo, Borba, pubblicò
un riassunto del discorso segreto, accompagnato da un commento estremamente
positivo. Il mese successivo, Krushev sciolse il Bureau d’informazione
comunista (cominform), dal quale Stalin aveva espulso la Iugoslavia nel
1948. Anche se, dopo l’espulsione della Iugoslavia, il cominform era
diventato per lo più un’organizzazione vuota, il suo smantellamento
era chiaramente teso a tranquillizzare i leader iugoslavi riguardo a «future
scomuniche»9. Quando Tito ricambiò con una lunga visita in
Unione Sovietica nel giugno del 1956, la riconciliazione fra le due parti
aveva fatto tali progressi che venne rilasciato un comunicato congiunto
che lodava «la diversità di forme dello sviluppo socialista»
e affermava «il diritto dei diversi paesi di seguire percorsi differenti
di sviluppo socialista». Il comunicato ripudiava l’eredità
stalinista, indicando che nessuna delle parti avrebbe «tentato di
imporre all’altra la sua visone dello [...] sviluppo socialista»10.
Il disgelo in Europa centrale e la nascita del Patto di Varsavia
Krushev
riuscì anche a raggiungere una sistemazione in Austria, paese che
era stato uno dei principali motivi di controversia fra Est e Ovest dalla
fine della seconda guerra mondiale. Sotto Stalin, l’Unione Sovietica
aveva insistentemente messo in relazione le proposte di un trattato di pace
austriaco con altre questioni come la composizione della disputa riguardo
Trieste e la risoluzione della questione tedesca. La possibilità
di una neutralità dell’Austria, proposta per la prima volta
negli anni Quaranta, era allettante per molti a Mosca e nella maggior parte
delle capitali occidentali, oltre che nella stessa Austria.11 Ma a Mosca
alcuni irriducibili come Molotov e Lazar Kaganovich si opponevano fermamente
all’idea, se questa implicava il ritiro delle truppe sovietiche dall’Austria12.
Inizialmente anche Krushev era poco propenso ad accettare la proposta della
neutralità dell’Austria e del ritiro delle truppe, ma all’inizio
del 1955 era giunto a considerare la definizione della questione austriaca
come un modo per disinnescare un potenziale punto di esplosione fra Est
e Ovest, eliminare la presenza di truppe britanniche e francesi dall’Europa
centrale e dare spinta ai negoziati sulla Germania, da lungo tempo in fase
di stallo, utilizzando il caso austriaco ad esempio di come la neutralità
potesse essere applicata ad uno Stato tedesco unito.
In ambiti ristretti, Molotov e altri funzionari sovietici continuavano a
opporsi tenacemente alla prospettiva di un ritiro delle forze militari sovietiche
dall’Austria, e Molotov tentò di far deragliare tutta la questione
di un trattato austriaco all’inizio del 1955, quando ne discusse il
Presidium del pcus13. Alla fine, però, Krushev e i suoi sostenitori
riuscirono ad avere la meglio, sostenendo che la rimozione delle truppe
americane, britanniche e francesi dall’Austria avrebbe più
che compensato il ritiro delle forze sovietiche. Krushev insinuò
che «l’insistenza di Molotov sulla necessità di mantenere
le nostre truppe in Austria» dovesse nascere da «un desiderio
di iniziare una guerra»14. Avendo superato i principali ostacoli interni,
le autorità sovietiche, nel marzo e nell’aprile del 1955, condussero
dei colloqui bilaterali con il governo austriaco, definendo cosa si intendeva
con neutralità. I colloqui bilaterali furono presto seguiti da una
conferenza a quattro e, il 15 maggio del 1955, dalla firma formale del Trattato
dello Stato austriaco15. L’evento significò un trionfo personale
per Krushev e per la politica estera sovietica in generale.
Inoltre, l’istituzione del Patto di Varsavia il 14 maggio del 1955,
il giorno precedente la firma del Trattato austriaco, impedì agli
oppositori interni di Krushev di sollevare preoccupazioni sulle implicazioni
del ritiro delle truppe sovietiche dall’Austria16. Fino al maggio
del 1955, la giustificazione apparente dello spiegamento militare sovietico
in Ungheria e Romania era stata la necessità di mantenere legami
logistici e di comunicazione con le forze sovietiche in Austria. La creazione
del Patto di Varsavia fornì un motivo per mantenere gli schieramenti
in Ungheria e Romania anche dopo che tutte le truppe sovietiche avevano
abbandonato l’Austria. La firma del Patto voleva essere principalmente
un contrappeso simbolico all’ingresso della Germania occidentale nella
nato, ma la legittimità che conferì alla presenza delle truppe
sovietiche era parte di un ampio sforzo sovietico teso a codificare le strutture
politiche militari fondamentali dei rapporti fra l’urss e l’Europa
orientale. Invece di limitarsi a conservare il meccanismo ideato da Stalin,
che si basava in maniera sproporzionata sul terrore e la coercizione, Krushev
cercò un approccio meno dominante che, sperava, gli avrebbe permesso
una maggiore autonomia interna nell’Europa orientale.
I tentennamenti della politica sovietica in Europa orientale
Malgrado
il successo dell’apertura alla Iugoslavia, la conclusione del Trattato
austriaco e l’istituzione del Patto di Varsavia, la politica di Krushev
verso l’Europa orientale rimase errata nel suo complesso. I tentennamenti
dell’Unione Sovietica fra la riforma e le restrizioni sia interne
che all’estero, invece di promuovere la “coesione” del
blocco orientale, contribuirono direttamente all’instabilità
della regione, soprattutto in Ungheria e Polonia. All’inizio del 1956,
le pressioni sociopolitiche nell’Europa orientale avevano raggiunto
un punto pericoloso e aumentarono ulteriormente in seguito alla rivelazione
non intenzionale del discorso segreto di Krushev durante il ventesimo congresso
del partito sovietico. Anche se il discorso si riferiva soprattutto agli
sviluppi all’interno dell’Unione Sovietica, inevitabilmente
minò le posizioni di molti leader europei che avevano aderito rigidamente
ai principi stalinisti, come Mátyás Rákosi e Boleslaw
Bierut avevano fatto in Ungheria e Polonia17 (Rákosi fu cacciato
definitivamente nel luglio del 1956 e dovette rifugiarsi in Unione Sovietica,
Bierut avrebbe probabilmente avuto lo stesso destino, se non fosse morto
improvvisamente nel marzo del 1956, a quanto sembra di infarto e polmonite).
Il discorso di Krushev ebbe anche l’effetto di incoraggiare i dissidenti
e i critici dei regimi est-europei, generando chiari segni di instabilità
nei ranghi comunisti. La grande popolarità di una delle vittime delle
purghe staliniste in Polonia, Wladislaw Gomulka, e la persistente influenza
dell’ex primo ministro in Ungheria, Imre Nagy, aumentarono l’incertezza.
L’instabilità politica, quindi, si intrecciò al malcontento
seguito al ripristino di dure politiche economiche.
Quando, alla fine del giugno del 1956, nella città polacca di Poznan
l’agitazione sfociò nella violenza, si avviò un periodo
di quattro anni di crescenti disordini. L’esercito e le forze di sicurezza
polacche riuscirono a piegare la rivolta a Poznan, ma i due giorni di combattimenti
costarono almeno 73 morti e oltre 700 feriti gravi18. Gli scontri causarono
anche danni agli edifici, ai sistemi di trasporto e ad altre proprietà
pubbliche pari a milioni di zloty. Almeno trenta carri armati dell’esercito
polacco, dieci blindati per il trasporto delle truppe e una dozzina di camion
militari vennero distrutti o resi inutilizzabili durante l’operazione
– una testimonianza dell’intensità della battaglia. Oggi
si sa che alcuni ufficiali polacchi cercarono di opporsi alla decisione
di aprire il fuoco, ma fu tutto inutile perché le forze di sicurezza
volevano obbedire agli ordini e perché i comandanti sovietici (e
i loro alleati polacchi) dominavano ancora l’establishment militare
polacco19.
I leader sovietici trassero lezioni molto diverse dalla crisi di Poznan.
Durante un incontro del Presidium del pcus, il 12 luglio del 1956, Krushev
sostenne che la ribellione era stata istigata dalle «attività
sovversive degli imperialisti, [che] volevano provocare la disgregazione
e distruggere [i paesi socialisti] uno per uno»20.
D’altro canto i toni dell’incontro dimostrano che Krushev e
i suoi colleghi erano consapevoli della situazione esplosiva che si andava
sviluppando in Ungheria e Polonia. Il 13 luglio, il Presidium del pcus inviò
in Ungheria uno dei suoi membri anziani, Anastas Mikoyan, uno degli uomini
più vicini a Krushev, per una valutazione di prima mano. Malgrado
questo, nei mesi seguenti la politica sovietica nella regione rimase esitante
e incerta, in parte perché Krushev era ancora sotto la pressione
interna degli irriducibili del pcus, che avevano stretto forti legami con
i leader stalinisti dell’Europa Orientale. Le oscillazioni della politica
interna sovietica continuavano, quindi, a intorbidire i legami fra i blocchi.
Questa dinamica contribuì ad accelerare la crisi che scoppiò
in Polonia e Ungheria nell’ottobre del 1956.
Note
1. Su questi disordini vedi anche Mark Kramer, “The early post-Stalin
succession struggle and upheavals in East-Central Europe: internal-external
linkages in Soviet policy making (Part 1)”, Journal of Cold War Studies,
vol. 1 n. 1 (Spring 1999), pp. 3-55.
2. Sulla lotta per la leadership sovietica, William C. Taubman, Khrushchev:
The Man and His Era (New York: W. W. Norton, 2002), pp. 264-269.
3. Vedi Yurii Aksyutin, “Pyatyi prem’er, ili Pochemu Malenkov
ne uderzhal bremya vlasti,” Rodina (Mosca), n. 5 (maggio 1994), pp.
81-88.
4. “Zapis’ besedy tovarishcha Khrushcheva N. S. s Predsedatelem
TsK KPK Mao Tsze-Dunom, zamestitelyami Predsedatelya TsK KPS Lyu Shao-tsi,
Chzou En’-Laem, Czhu De, Lin’ Byao, chlenami Politbyuro TsK
KPK Pyn Czhenem, Chen’ I i chlenom Sekretariata Van Tszya-syanom 2
oktyabrya 1959 goda,” Osobaya papka (Strettamente segreto/Dossier
Speciale), 2 Ottobre 1959, in Arkhiv Prezidenta Rossiiskoi Federatsii (aprf),
Moscow, Fond (F.) 45, Opis’ (Op.) 1, Delo (D.) 331, Listy (Ll.) 12-13.
5. “Zayavlenie tovarishcha N. S. Khrushcheva na aerodrome v Belgrade,”
Pravda (Mosca), 27 maggio 1955, p. 1.
6. “Deklaratsiya Pravitel’stv Soyuza Sovetskikh Sotsialisticheskikh
Respublik i Federativnoi Narodnoi Respubliki Yugoslavii,” Pravda (Mosca),
3 giugno 1955, pp. 1-2.
7. “Plenum TsK KPSS – XIX Sozyv, 4-12 iyulya 1955 g.”
4-12 luglio 1955 (Strettamente Segreto), in Rossiiskii Gosudarstvennyi Arkhiv
Noveishei Istorii (rgani), F. 2, Op. 1, Dd. 139-180.
8. Il testo del discorso apparve subito in Occidente ma in Unione Sovietica
fu pubblicato soltanto nel 1989. Vedi “O kul’te lichnosti i
ego posledstviyakh: Doklad pervogo sekretarya TsK KPSS tov. Khrushcheva
N. S. XX S”ezdu Kommunisticheskoi partii Sovetskogo Soyuza,”
Kommunist vooruzhenykh sil (Moscow), N. 11 (giugno 1989), pp. 63-92.
9. “Informatsionnoe soobshchenie o prekrashchenii deyatel’nosti
Informatsionnogo Byuro kommunisticheskikh i rabochikh partii,” Pravda
(Mosca), 18 aprilel 1956, p. 3.
10. “Pust’ zhivet i protsvetaet bratskaya sovetsko-yugoslavskaya
druzhba!” Pravda (Mosca), 22 giugno 1956, p. 1.
11. Per una analisi di questa questione, vedere Michael Gehler, “From
Non-alignment to Neutrality: Austria’s Transformation during the First
East-West Détente,” Journal of Cold War Studies, Vol. 7, N.
4 (Fall 2005), pp. 104-136.
12. Vedi, per esempio, la vasta mole di documenti su questa materia in Arkhiv
Vneshnei Politiki Rossiiskoi Federatsii (AVPRF), F. 06, Op. 14, Papka (Pap.)
9, Dd. 107 e 116.
13. “Plenum TsK KPSS — XIX Sozyv: Stenogramma trinadtsatogo
zasedaniya 11 iyulya 1955 g. (vechernogo),” 11 luglio 1955 (Strettamente
Segreto), in RGANI, F. 2, Op. 1, D. 175, L. 178. Vedere anche A. M. Aleksandrov-Agentov,
Ot Kollontai do Gorbacheva: Vospominaniya diplomata, sovetnika A. A. Gromyko
(Moscow: Mezhdunarodnye otnosheniya, 1994), p. 95.
14. “Plenum TsK KPSS — XIX Sozyv: Stenogramma trinadtsatogo
zasedaniya 11 iyulya 1955 g. (vechernogo),” L. 178.
15. Per un’analisi della politica sovietica poco prima del trattato
(sebbene si occupi principalmente del periodo stalinista), basata in parte
sulla documentazione sovietica, vedi Wolfgang Mueller, Die sowjetische Besatzung
in Österreich 1945-1955 und ihre politische Mission (Vienna: Böhlau,
2005). Vedi anche la preziosa collezione di documenti sovietici sulla politica
sovietica verso l’Austria dal 1945 al 1955, pubblicati da Wolfgang
Mueller e altri, Sowjetische Politik in Österreich 1945-1955: Dokumente
aus russischen Archiven (Vienna: Verlag der Österreichischen Akademie
der Wissenschaften, 2005). Purtroppo la quantità relativamente esigua
di documenti dell’era post-stalinista non fa molta luce sulla politica
sovietica e sul dibattito agli alti livelli. Un saggio su questa materia
di Aleksei Filitov, “The Post-Stalin Succession Struggle and the Austrian
State Treaty,” verrà pubblicato da Arnold Suppan, Gerald Stourzh,
e Wolfgang Mueller, eds., Der österreichische Staatsvertrag (Vienna:
Böhlau, 2006), è intrigante e acuto, ma lascia molte cose insolute.
Per una storia puntuale del Trattato dello Stato austriaco, fitta di documenti
e con una esauriente bibliografia, vedi Gerald Stourzh, Um Einheit und Freiheit:
Staatsvertrag, Neutralität und das Ende der Ost-West-Besetzung Österreichs
1945-1955, quarta edizione. (Vienna: Böhlau, 1999).
16. “Podpisanie dogovora o druzhbe, sotrudnichestve i vzaimnoi pomoshchi,”
Pravda (Mosca), 15 maggio 1955, p. 1, e il testo del trattato a p. 2.
17. Per gli effetti sulla posizione di Rákosi, vedere “Shifrtelegramma,”
di Yu. V. Andropov, l’ambasciatore sovietico in Ungheria, al Presidium
del Pcus, 29 aprile 1956 (Strettamente Segreto), in RGANI, F. 89, Op. 45,
D. 1. Per gli effetti in Polonia, vedere i due rapporti di P. Turpit’ko,
consigliere dell’ambasciata sovietica in Polonia at the, in AVPRF,
F. Referentura po Pol’she, Op. 38, Por. 42, Pa. No. 127, D. 178, Ll.
1-11 e 12-24.
18. Secondo alcune stime i morti ammontavano a 120. La discussione più
fondata e dettagliata delle diverse stime si trova in Edmund Makowski, Pozna?ski
Czerwiec 1956: Pierwszy bunt spo?ecze?stwa w PRL (Pozna?: Wydawnictwo Pozna?skie,
2001), pp. 165-171. Anche le stime dei feriti e delle dimensioni dei danni
materiali variano notevolmente. Vedi ibid., pp. 171-174.
19. Vedi le analisi e la notevole raccolta di documenti in Edward Jan Nalepa,
Pacyfikacja zbuntowanego miasta: Wojsko Polskie w Czerwca 1956 r. w Poznaniu
w swietle dokumentow wojskowych.
(Traduzione dall’inglese di Barbara Mennitti)
Mark Kramer, direttore del Cold War Studies Center all’Università
di Harvard e Senior Fellow del Davis Center for Russian and Eurasian Studies.
(c)
Ideazione.com (2006)
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