Il 21 aprile 2002, il leader dell’estrema destra Jean-Marie Le Pen, con il 16,9 per cento dei voti superava il candidato della sinistra, e primo ministro in carica, Lionel Jospin ed accedeva al secondo turno dell’elezione presidenziale. Il 29 maggio 2005, con il 54,67 per cento dei voti espressi, i francesi dicevano “no” al referendum di ratifica del Trattato costituzionale europeo. Queste due date, relative alle due ultime consultazioni svoltesi in Francia, danno il segno dell’elevatissimo grado di sfiducia manifestato dai francesi nei riguardi della politica. Secondo il Baromètre politique français del Centro di ricerche politiche di Sciences Po, ben i due terzi dei francesi risulterebbero, in effetti, “non integrati” nel sistema politico. Come illustrato dal politologo Pierre Rosanvallon nel suo ultimo libro (La contre-démocratie, la politique à l’âge de la défiance, Ed. du Seuil), le elezioni rappresentano sempre più un momento in cui si esprime il rigetto verso la classe politica e la loro funzione è sempre più quella di disfare le maggioranze piuttosto che quella di farle.
In questo contesto, la consultazione per l’elezione del presidente della repubblica che si svolgerà il 22 aprile e il 6 maggio prossimi, presenta almeno due importanti segnali di novità. In primo luogo, il forte aumento delle iscrizioni alle liste elettorali verificatosi alla fine dello scorso anno sembrerebbe indicare un nuovo interesse per la politica e, probabilmente collegato a questo fattore, si assiste, in secondo luogo, all’emergere di due leader “maggioritari”, Ségolène Royal a sinistra e Nicolas Sarkozy a destra, che esprimono forti elementi di discontinuità rispetto alla politica tradizionale. In questa serie di articoli, ci interesseremo, da un lato, ad un’analisi generale della situazione politica della Francia che si accinge a votare. Ne studieremo le caratteristiche istituzionali (Bastianelli), socio-politiche (Darnis) e cercheremo di sondare lo stato d’animo dei francesi alla vigilia di questa importante consultazione (Chriqui). D’altro canto, altri articoli saranno consacrati, più specificamente, al candidato del centrodestra Nicolas Sarkozy. Questi contributi toccheranno la costruzione della sua leadership (Ventura), lo stile della sua comunicazione politica (Campus) e le sue proposte programmatiche in relazione a quelle dell’altra candidata (Caliciuri). L’affermazione della leadership di Nicolas Sarkozy è un fenomeno complesso, che non lascia nulla al caso. Dopo la querelle interna al principale partito della destra francese (conclusasi con la vittoria, al primo turno delle elezioni presidenziali del 1995, di Jacques Chirac sul candidato più liberale Edouard Balladour), Sarkozy era stato costretto ai margini della vita politica francese. Il suo ritorno sotto i riflettori si produce dopo un periodo di “traversata del deserto” e grazie ad un intenso lavoro di riconquista del partito, strappato al controllo del presidente in carica, Jacques Chirac. Ma la traiettoria politica di quello che, dopo esser stato uno dei più giovani parlamentari, dei più giovani ministri e dei più giovani leader di partito, aspira ad essere uno dei più giovani presidenti della repubblica, lungi dall’essere di tipo consensuale è segnata da manifestazioni di forte avversione che si ritrovano in un’ampia parte del corpo elettorale.
Il rapporto elaborato dal partito socialista ed intitolato Le inquietanti rotture di Nicolas Sarkozy, si apre con queste parole: «La Francia è pronta a votare nel 2007 per un neo-conservatore americano dal passaporto francese?». La semplice evocazione dei titoli dei quattro capitoli che compongono questo rapporto è sufficiente a comprenderne il tono. Sarkozy è rispettivamente: «l’apologeta del modello comunitarista religioso», «il sécuritaire (neologismo da sécurité: sicurezza, ndr) pericoloso ed inefficace», «il vero liberale mascherato da falso pragmatico» e il «clone di Bush». Nadir Dendoune, autore del libro Lettre ouverte à un fils d’immigré, in un’intervista ad un giornale gratuito, alla domanda «come spiegare questa ostilità verso un candidato in particolare?» risponde: «Sarkozy fa di tutto per far paura alla gente. Se vince, metterà i francesi gli uni contro gli altri. Rispetto agli altri candidati, diciamo che tra la febbre e il cancro, preferisco la febbre, si cura più facilmente». Sempre facendo riferimento alle origini di immigrato di seconda generazione di Sarkozy, un settimanale d’estrema sinistra lo definisce «traditore ungherese». Al lato opposto dello spettro politico, gli attacchi della stampa di estrema destra contro Sarkozy sono, anch’essi, di una straordinaria virulenza. Sul fronte degli intellettuali, come attesta un recente dossier del Nouvel Observateur, per qualche figura che provenendo dalla sinistra, come André Glucksmann, Pascal Brukner o Max Gallo, ha fatto espressamente il suo coming out a favore del candidato della destra, la maggior parte dell’intellighenzia transalpina sembra restare ostile a Nicolas Sarkozy. Emmanuel Todd lo definisce un voyou (mascalzone, canaglia). Thierry Pech, segretario generale del think tank, la Répubblique des Idées, lo giudica un candidato «chiacchierone e rumoroso» e vede in lui l’incarnazione del «volontarismo in quello che ha di più ingenuo e pericoloso». Mentre per lo storico Benjamin Stora: «la “macchina Berlusconi” è in moto. […] Se dovesse vincere, entreremo in una storia di tutt’altro genere. Ognuno tornerebbe ad occuparsi delle proprie personali faccende. L’effetto demoralizzante sarebbe terribile».
Le ragioni di un’avversione così pronunciata sono evidentemente numerose. Un’ipotesi può essere tuttavia formulata in relazione alla chiara assunzione da parte di Sarkozy di un credo liberale. In un’intervista accordata a Le Figaro il 31 gennaio, egli dichiarava: «Sono contro l’egualitarismo, l’assistenzialismo, il livellamento, per il merito, la giusta ricompensa degli sforzi di ognuno e la promozione sociale». Ora, come dimostrano numerosi studi, dichiararsi apertamente liberale nella Francia del 2007 può rivelarsi estremamente pericoloso per un uomo politico. Sempre secondo le inchieste del Baromètre politique français alla domanda: «Preferite l’uguaglianza o la libertà?», la maggioranza ha risposto «l’uguaglianza» e questa percentuale raggiunge il 60 per cento presso i giovani. Altro esempio, alla domanda «Qual è la parola per lei più positiva?», la risposta maggioritaria, a destra come a sinistra, è stata «i servizi pubblici». Secondo Pascal Perrineau, direttore del Centro di ricerche politiche di Sciences Po, «Nicolas Sarkozy tenta di instillare del liberalismo economico in una destra che per tradizione non è liberale e continua, almeno per una parte di essa, ad ammirare il Vello d’oro statale». Nel suo discorso d’investitura come candidato dell’ump, Sarkozy dichiarava: «I miei valori sono i vostri, quelli della destra repubblicana. Sono i valori dell’equità, dell’ordine, del merito, del lavoro, della responsabilità. Li assumo. Ma nei valori nei quali credo c’è anche il movimento. Io non sono un conservatore. Io non voglio una Francia immobile. Voglio l’innovazione, la creazione, la lotta contro le ingiustizie. Ho voluto far entrare queste idee nel patrimonio della destra repubblicana nel momento stesso in cui la sinistra le lasciava da parte». Riuscirà Nicolas Sarkozy in questa sua scommessa? Risposta la sera del 6 maggio.
Paolo Modugno, docente all’Istituto di Studi politici di Parigi.
(c)
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