Anche un
osservatore poco attento degli avvenimenti russi dell’ultimo decennio
avrebbe difficoltà a negare che il denaro ha giocato, e continua a giocare,
un ruolo fondamentale nel condizionare la vita politica in Russia. Si è
molto discusso del fatto che Boris Yeltsin ha ottenuto la vittoria alle
elezioni presidenziali del 1996 grazie al cospicuo sostegno finanziario e
mediatico della ricchissima “oligarchia” bancaria. Sergei Mavrodi,
l’imprenditore che sta dietro il fallito schema Mmm dell’investimento “a
piramide”, ha vinto un’elezione per un seggio vacante dopo aver promesso di
investire dieci milioni di dollari nel suo distretto elettorale. Corre anche
voce che il governo russo paghi regolarmente i deputati per i loro voti.
Questi esempi non rappresentano casi isolati. La ricchezza di Vladimir
Zhirinovsky, a parole ultranazionalista e tuttavia vicino al regime, ha
anche sollevato non pochi interrogativi. Date queste premesse, è evidente
che il denaro conti nella politica russa: tutto sta nello stabilire in quale
misura.
Il suicidio collettivo del partito-Stato sovietico nel fallito colpo di
Stato dell’agosto 1991 ha aperto la strada alla trasformazione sistemica
delle relazioni politiche ed economiche in Russia. Il governo di riformatori
di Yeltsin, formato dopo il Colpo di Agosto, ha impiegato politiche radicali
di shock therapy per spezzare quella commistione di potere politico
ed economico cresciuta sotto l’ala protettiva del comunismo. Ma questo nuovo
progetto di modernizzazione economica, insieme con l’impegno assunto di
affossare le riforme democratiche intraprese da Gorbaciov, non ha avuto il
successo sperato nel tentativo di rafforzare l’autonomia dello Stato dagli
interessi economici, che comprendevano sia i dirigenti dei vecchi comparti
industriali in decadenza sia le nuove élites, la cui ricchezza
derivava dall’aver ottenuto il controllo dei settori maggiormente
remunerativi della vecchia economia sovietica. L’industria sovietica,
appoggiata da potenti sostenitori nelle istituzioni governative, ha
continuato a drenare risorse dalle casse dello Stato: e il conseguente
deficit è stato coperto solo in parte dalle banche private in cambio di
garanzie da parte governativa, pagate ad alti interessi, e la cessione a
prezzi di favore, da parte governativa, di partecipazioni azionarie nei
redditizi settori minerale ed energetico dell’economica russa. I grandi
profitti ottenuti da una piccola fetta dell’élite finanziaria russa,
hanno spinto alcuni commentatori a descrivere l’emergente Stato russo alla
stregua di una “oligarchia” di interessi finanziari.
Il concetto di oligarchia è emerso in conseguenza alla vittoriosa rielezione
di Yeltsin nel 1996. Subito dopo queste elezioni, durante le quali si
calcola che un gruppo di banchieri russi ha foraggiato con 140 milioni di
dollari (Usd) la campagna elettorale di Yeltsin, fino a quel momento
piuttosto fiacca, il ruolo politico degli “oligarchi” russi è stato
formalizzato. Il numero uno di Oneksimbank, Vladimir Potanin, è stato fatto
vice-Primo ministro con la delega alla politica economica, e il magnate del
petrolio e dei media Boris Berezovsky è stato nominato Segretario aggiunto
del Consiglio di sicurezza. Comunque sia, il potere politico formale degli
“oligarchi” russi ha avuto vita breve. I contrasti che sono scoppiati tra
Potanin e Berezovsky sulle rimanenti aste di privatizzazione si sono
trasformati in uno scandalo di portata nazionale. Questo processo culminò
nella cosiddetta “guerra delle banche”, quando gli oligarchi in conflitto
tra loro, utilizzando i rispettivi canali mediatici, cominciarono ad
attaccare a testa bassa il governo e a criticarsi tra di loro. Il tracollo
economico dell’agosto 1998, e il collasso del sistema bancario russo, ha
indebolito duramente il potere economico dell’élite finanziaria
russa, e non a caso i successivi Primi ministri hanno tentato di legittimare
la loro autorità proprio in opposizione all’oligarchia. Ma la pesante
influenza di alcuni oligarchi, Berezovsky in particolare, continua ad essere
avvertita. Nonostante gli sforzi di Vladimir Putin per prendere le distanze
da Berezovsky, le sue obbligazioni nei confronti degli oligarchi continua a
rimanere poco chiaro. Di recente è stato denunciato il fatto che il Cremlino
abbia sostenuto Berezovsky e Roman Abramovich, un altro magnate del
petrolio, nei loro ripetuti tentativi di acquisire una posizione di
controllo nel redditizio settore dell’alluminio.
Il ruolo, palese e oscuro, e il peso di cui dispongono le élites
economiche non è limitato ai soli rami del potere esecutivo dello Stato
russo. Anche le nascenti istituzioni rappresentative russe appaiono offrire
ottime possibilità ai “vincitori” della riforma di mercato di spendere la
loro ricchezza economica nell’acquisto di potere politico. La debolezza
delle istituzioni della società politica e civile russa, sommata alla loro
limitata capacità di assicurare una competizione politica corretta e aperta,
sembrerebbero poter garantire abbondanti opportunità ai candidati con una
solida situazione finanziaria. La chance che viene offerta agli
uomini d’affari russi di acquistare legittimazione popolare grazie alla
detenzione di pubblici uffici, o di tutelare i propri interessi finanziando
partiti politici e candidati individuali in Parlamento, si è dimostrata
un’occasione allettante per le élites economiche emergenti. Detto in
soldoni, le istituzioni elettive rappresentano anche uno strumento di
sicurezza e protezione nel turbolento mondo della politica russa. L’immunità
da ogni procedimento che i deputati ottengono quando sono in carica sembra
aver influenzato non poco la scelta di Berezovsky e Abramovich di
presentarsi al rinnovo del Parlamento russo nel 1999.
Questa propensione da parte delle élites economiche ad investire
capitali in politica si palesa in tutta la sua evidenza in fase elettorale.
Le elezioni in Russia attraggono una grande quantità di denaro, e sono
divenute un settore di investimento estremamente remunerativo. Nelle
elezioni parlamentari del 1999, si ritiene che il costo reale di una
singola campagna di collegio sia stato di 500mila dollari per regione,
salendo ulteriormente nelle zone più ricche (per contestualizzare meglio
questo esempio, basti pensare che in questo periodo il salario medio mensile
era di tre dollari). Nonostante i tentativi di regolare i finanziamenti
elettorali, rimane un’ampia disparità tra il costo dichiarato e quello reale
delle elezioni russe. Secondo alcuni osservatori, è probabile che le spese
ufficiali dichiarate non superino un terzo delle somme realmente spese da
candidati e partiti. Nelle elezioni parlamentari del 1993, i partiti nel
loro insieme ufficialmente hanno sostenuto di aver speso 3,7 milioni di
dollari, ma è stato accertato che l’esborso reale aveva superato i 15
milioni.
Partiti e candidati si sono rivelati molto abili nel nascondere le loro
spese elettorali. La cosiddetta “cassa posteriore” (back cash) viene
utilizzata per coprire la reale entità dei costi, e include il denaro per il
pagamento degli staff, per i giornalisti che presentano in una luce
favorevole il partito o il singolo candidato, e anche per le personalità
famose “assoldate” per tutta la durata della campagna. Di conseguenza,
esiste un’ampia diffusione della corruzione politica. Durante le elezioni
parlamentari del 1995, ci sono stati casi di partiti che hanno impiegato
ingenti somme per raccogliere – e pagare per – le firme necessarie per la
registrazione. Sono stati anche riportati casi di candidati a cui sono state
elargite notevoli quantità di denaro per ritirarsi dalla corsa elettorale.
Inoltre, nelle recenti elezioni presidenziali, alcuni hanno sostenuto che il
Cremlino abbia finanziato un governatore comunista perché si presentasse
contro il candidato comunista ufficiale, in modo da dividere il voto
comunista e garantire l’elezione di Putin al primo turno. Ad ogni modo, ci
sono stati davvero pochi tentativi di perseguire giudizialmente i candidati
o i partiti per le pratiche di corruzione. È come se esistesse una sorta di
tacito accordo tra i politici per non denunciare i loro diretti contendenti.
I tentativi di escludere dalla competizione i candidati, inoltre, si sono
rivelati votati all’insuccesso. Nelle elezioni parlamentari del 1999, il
partito Ldpr di Zhirinovsky è stato dichiarato squalificato dalla corsa
elettorale, salvo poi ripresentarsi qualche giorno più tardi con la nuova
denominazione di “Blocco di Zhirinovsky”.
Detto questo, comunque, c’è anche la tendenza a sovrastimare il potere del
denaro di condizionare gli eventi politici in Russia. Se da un lato le
consuetudini politiche russe, non ancora consolidate, offrono dei buoni
canali per esercitare influenza a coloro che dispongono di possibilità
economiche, dall’altro l’instabilità del mercato politico russo presenta
anche un alto grado di incertezza. L’esperienza mostra una debole
correlazione tra denaro e successo elettorale. Il Partito comunista, una
delle formazioni politiche russe più povere, continua ad essere la macchina
elettorale di maggior successo nelle elezioni parlamentari e regionali. Allo
stesso modo, la proporzione di seggi guadagnati dai partiti appoggiati dal
governo – “Russia’s Choice” (La scelta della Russia) e “Our Home Russia”
(Nostra Casa Russia) – non è stata equivalente al loro considerevole
investimento finanziario. Questo ha portato alcuni commentatori ad affermare
che il denaro agisce sull’esito delle elezioni in misura molto minore che
nelle nazioni occidentali. Tuttavia, il fatto che il Partito comunista non
sia riuscito ad aggiudicarsi la carica più prestigiosa, la Presidenza, non
può essere spiegato unicamente dall’analisi delle preferenze degli elettori
russi. In Russia, le risorse statali contano di più che il potere del
capitale.
Così come le nuove strutture finanziarie russe hanno le loro radici in reti
di rapporti ereditati dal vecchio sistema, così l’evoluzione del potere
politico continua ad appoggiarsi a ben rodati meccanismi di mobilitazione
amministrativa. Un tale sistema di potere offre grandi vantaggi ai detentori
delle cariche, e per gli outsiders, anche i più ricchi, si è rivelato
estremamente difficile penetrare in un tale sistema. Il patetico esempio di
quell’uomo di affari di S. Pietroburgo, che ha promesso di regalare 3
dollari e del cibo gratis ad ogni pensionato che avesse votato per lui, per
poi ricevere solo il due per cento dei voti, è un caso divertente, ma non
isolato. Pertanto, nelle democrazie parzialmente liberalizzate, delle quali
fa parte la Russia, il potere politico di acquisto del denaro varia a
seconda di chi lo detenga.
Nelle società dove si richiede ai politici di esaudire le richieste di
benessere degli elettori e dove la compravendita di voti è un fatto
consuetudinario, il potere dei candidati “uscenti” di indirizzare le
politiche pubbliche verso scopi elettorali è una risorsa cruciale. L’attuale
difficile situazione economica russa certamente limita le opportunità di un
tale utilizzo dei fondi pubblici, ma comunque resta ancora un importante
strumento di accaparramento dei voti. La ricerca ha mostrato una chiara
correlazione tra gli incrementi di spesa pubblica nella fase finale di
un’elezione e la crescita del sostegno per il candidato uscente. Nelle
elezioni presidenziali, sia Eltsin che Putin hanno sfruttato, con grande
risultato, gli incrementi nella spesa pubblica. I viaggi di Putin in Cecenia
a ridosso delle recenti elezioni, e il suo dono di orologi, televisori e di
certificati di proprietà di appartamenti alle truppe russe di stanza nella
regione, hanno provocato lamentele di propaganda elettorale da parte dei
suoi sfidanti, ma tutte le accuse sono state rigettate dalle autorità
elettorali. Più significativo è l’appoggio finanziario che il governo ha
ricevuto per sostenere questo genere di spese pubbliche. Gli influenti
conglomerati russi dell’energia, e in particolar modo il potente fornitore
di gas “Gazprom”, hanno recitato un ruolo fondamentale nel fornire credito
al governo per sostenere gli aumenti di spesa sociale nel periodo
immediatamente precedente le elezioni.
Al di là di ogni considerazione, però, è il potere di controllo sui media
che probabilmente rimane la risorsa più significativa per condizionare gli
esiti elettorali in Russia. In una nazione dove la possibilità di acceso ai
media a stampa ed elettronici non è ripartito uniformemente, il fatto di
poter controllare i due maggiori canali televisivi statali è un’arma
fondamentale. La vittoria di Yeltsin nelle elezioni presidenziali del 1996
ha per prima cosa dimostrato il potere dei media; Vladimir Putin ha portato
questa “arte” ad un livello ancora superiore. Nelle ultime elezioni
parlamentari e presidenziali, i media a stampa ed elettronici, sia statali
che privati, hanno assunto una linea smaccatamente favorevole a Putin. La
copertura dei notiziari quotidiani sulle elezioni presidenziali sulla
televisione statale di fatto l’ha trasformata in un canale televisivo di
proprietà di Putin. Di fatto, il coverage di Putin, durante le
presidenziali, è stato così costante che il Cremlino ha persino rinunciato
ad usufruire dalla sua quota giornaliera di spazi televisivi liberi (aperti
a tutti i candidati) e ha anche desistito dal fare uso di spot televisivi.
La campagna di Putin, giudicata “virtuale” da alcuni commentatori, ha
ridotto al minimo il dibattito e la campagna elettorale generale. Putin si è
rifiutato di concedere interviste a compagnie televisive “private”; non è
mai stato criticato per aver rifiutato di delineare il suo manifesto
elettorale; ed è anche venuto meno alla partecipazione a dibattiti
televisivi già programmati. Così come nelle elezioni parlamentari del 1999,
le critiche più aspre si sono indirizzate ai principali oppositori del
candidato del Cremlino.
Per questo, nonostante il vantaggio della posizione economica e le
abbondanti spese in campagna elettorale, le élites economiche
continuano a trovare difficoltà nel tentativo di stabilire un controllo del
mondo politico attraverso il processo elettorale. La fluidità della
situazione politica russa, e le disfunzioni dei meccanismi istituzionali,
rendono molto incerta l’aspettativa di una ricompensa diretta
dall’investimento di denaro in politica. Il denaro conta quando riesce a
combinarsi con le risorse che lo Stato ha a sua disposizione. Gli esempi in
cui i nuovi arrivati hanno sfidato con successo i detentori delle cariche
per il controllo dell’esecutivo sono davvero pochi, mettendo così in luce
anche la debolezza della società civile in Russia. Fino a quando il potere
economico continuerà a fare affidamento sullo Stato per l’influenza politica
ed economica, la competizione nel mercato politico resterà limitata. La
campagna elettorale “virtuale” di Putin è solo l’ultimo di una catena di
esempi. Nel lungo periodo rimane da vedere se le emergenti istituzioni
democratiche russe possono consolidare, ottenere con la propria mediazione
ed incoraggiare lo sviluppo di una competizione più ampia e diffusa nella
società Russia.
traduzione di Angelo Mellone
(c)
Ideazione.com (2006)
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