Stimolare la competizione e rimuovere le barriere
intervista a Stephen Nickell di Paolo Bracalini
Ideazione di settembre-ottobre 2005

La provocazione di Stephen Nickell, esperto mondiale di welfare e politiche per il lavoro, membro del comitato per la politica economica della Banca d'Inghilterra e consigliere di Tony Blair, che nel 2000 portò proprio le sue linee guida per un'Europa competitiva al summit di Lisbona, è questa: il mercato del lavoro europeo viaggia a due velocità. Rispetto agli Stati Uniti, dove la disoccupazione di lungo periodo è pressoché estinta, il vecchio continente arranca. Ma il problema non è di tutti. Anzi, per l'economista della London School of Economics, la vera disoccupazione è problema ormai solo francese, tedesco, italiano e spagnolo. Al di fuori di queste singole economie, oltre il “Big Four” dalle ruote sgonfie, il welfare funziona.

Come mai questa differenza?
Negli ultimi quattro anni paesi come Inghilterra, Danimarca e Olanda hanno fatto molti progressi nella lotta alla disoccupazione. Se i quattro grandi paesi del continente vogliono diminuirla possono seguire il loro esempio. In Francia e in Germania non potrà esserci una crescita sostenuta se non verrà reso più mobile il mercato del lavoro. La stessa cosa poteva dirsi per l'Inghilterra, la Danimarca e l'Olanda all'inizio degli anni Novanta. Quando questi ultimi paesi hanno compreso di avere creato un sistema di welfare destinato a creare disoccupazione a lungo termine hanno modificato il sistema, mettendo i senza lavoro nella posizione di dover occupare i posti vacanti. Nel 1993 in Danimarca la disoccupazione era più alta che in Germania, poi il governo danese cominciò ad applicare il principio secondo cui, dopo un anno di disoccupazione, il lavoratore era obbligato ad accettare il posto – quale che fosse – che il sistema gli metteva a disposizione. Anche l'Inghilterra è passata a un criterio simile e la situazione complessiva è migliorata.

Quali sono dunque le prospettive per i disoccupati francesi, tedeschi o italiani?
In Germania il sistema sta cambiando: dopo un anno senza lavoro, i disoccupati dovranno occupare qualsiasi posto si renda vacante. In Francia c'è meno mobilità, nonostante le proposte provenienti dai sindacati e dai dipendenti. In altre parti d'Europa – l'Italia del sud, la Spagna del sud e la Germania orientale – il problema principale non è nei sussidi, ma nel fatto che i salari sono troppo alti. Ci sono sempre dei problemi quando i salari di una regione ad alto tasso di disoccupazione sono legati a quelli di aree in cui la disoccupazione è inferiore. Vincere la disoccupazione europea richiede dunque due cambiamenti di politica: regimi adeguati quanto a collocamento e sussidi e salari flessibili a livello regionale.

Cosa pensa della precarietà sempre più diffusa nel nuovo mercato del lavoro?
Tutto dipende da ciò che intendiamo con questo termine, flessibilità. In un sistema funzionante, come quello inglese, la flessibilità non è per forza fonte di insicurezza. Significa meno rigidità del mercato del lavoro, ma questo nei paesi “flessibili” come la Gran Bretagna o la Danimarca non si è affatto tradotto in una minore durata media dei contratti, né in un aumento dei licenziamenti. In Inghilterra nell'ultimo anno ci sono molte meno persone che hanno perso il lavoro di venti anni fa.

Quale è la ricetta per un mercato del lavoro flessibile ma non insicuro?
Servono serie riforme del mercato del lavoro, che generino bassi livelli di disoccupazione e garantiscano la mobilità dei lavoratori. Bisogna stimolare la competizione e il libero mercato, e rimuovere le barriere. Bisogna incentivare le agenzie di lavoro che aiutano realmente i disoccupati a trovare un nuovo impiego. Fare in modo che i disoccupati si rendano disponibili col passare del tempo per lavori di diverso tipo. E rendere flessibili gli stipendi nelle regioni meno produttive, per abbassare il costo del lavoro. Ridurre le ore di lavoro o incentivare il prepensionamento non serve a nulla. 

Il lavoro dei prossimi decenni avrà più o meno regole di oggi?
Penso che dipenderà molto da paese a paese. Ma sono sicuro di una cosa: la tendenza generale in Europa sarà quella di introdurre regole per sostenere le famiglie, per esempio sostenendo le licenze di maternità o paternità, come è successo ultimamente in Gran Bretagna.

I sindacati sono una garanzia o un freno per il mercato del lavoro?
Il ruolo del sindacato deve essere quello di tutelare i lavoratori e migliorare le condizioni di lavoro e le retribuzioni, coerentemente con le richieste. Ciò significa che devono essere organizzazioni profondamente democratiche. Se operano in questo modo sono senza dubbio un bene per il mercato del lavoro. Ma spesso le cose non vanno in questo modo, e i sindacati agiscono in un modo che finisce col danneggiare i lavoratori.

Pensa che la competizione con paesi in cui il lavoro è molto meno tutelato, e quindi il costo del lavoro è molto inferiore, sia una minaccia per le economie occidentali?
No, non credo. In molti Stati dell'India esistono regole molto rigorose per i datori di lavoro, molto più che in parecchi paesi occidentali. Dal mio punto di vista, la libera competizione con i prodotti di questi paesi non può che far bene, alla lunga, sia a noi che a loro. La ragione per cui molti paesi europei hanno un tasso di disoccupazione così elevato non ha nulla a che vedere con le importazioni dalla Cina o dall'India.

Pensa che la globalizzazione farà bene al mercato del lavoro?
Sicuramente, e lo ha già fatto.




Stephen Nickell, economista, saggista ed esperto del mercato del lavoro, è titolare del Centre for Economic Performance della London School of Economics.

Paolo Bracalini, giornalista, è esperto di temi di economia, mercato del lavoro e politica estera.

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