Dopo l'uragano Katrina, il clima si è fatto rovente. I critici dell'amministrazione Bush hanno colto la palla al balzo per deprecarne la presunta insensibilità ambientale. Infatti, la violenza dei venti sarebbe la conseguenza morale, se non fattuale, del cocciuto rifiuto a ratificare il protocollo di Kyoto contro il riscaldamento globale. A dispetto di alcune teorie, però, non sembra esservi evidenza di un nesso causale tra la variazione in frequenza e intensità degli uragani atlantici e l'aumento delle temperature. Inoltre, la linea americana sul clima, nonostante la retorica ambientalista tenti di offuscarlo, si è imposta nelle negoziazioni internazionali. Mentre il protocollo di Kyoto è sempre più un dubbio vanto della sola Unione Europea, gli otto grandi riunitisi a Gleneagles, in Scozia, hanno convenuto che una strategia efficace deve fare perno su una partecipazione globale e sullo sviluppo di tecnologie pulite, cioè sugli investimenti in efficienza. Alcuni passi della dichiarazione e del Piano d'azione del G8 ricalcano parola per parola – o mimano – documenti della Casa Bianca sugli stessi temi. Ma il vero evento rivoluzionario è stato il lancio di una partnership, guidata dagli Usa, di cui fanno parte le economie emergenti di India e Cina, oltre a Corea del Sud, Australia e Giappone. Dei partecipanti, solo Tokyo ha ratificato il trattato sul clima: tutti gli altri ne sono esenti in quanto paesi in via di sviluppo, oppure lo hanno rifiutato. Eppure, le nazioni della coalizione rappresentano la metà delle emissioni globali: una percentuale destinata a crescere. Se il clima terrestre ha bisogno di interventi, è ovvio che è lecito aspettarsi qualcosa da chi ha le spalle larghe abbastanza da influenzarlo, non da chi è solo più tonante nel denunciarne i guasti.
Per comprendere meglio le ragioni e gli obbiettivi delle politiche climatiche a stelle e strisce, abbiamo interpellato James Inhofe, presidente della Commissione Ambiente e Lavori Pubblici del Senato americano.
Recentemente il premier inglese Tony Blair ha esercitato molte pressioni
per ottenere un impegno parte perché Washington si impegnasse a ratificare
il protocollo di Kyoto. Non avete alcuna intenzione di mutare la vostra
posizione?
Lo stesso Tony Blair, intervistato dall'emittente inglese Channel Four la
scorsa primavera, ha dichiarato: «Non credo che il riscaldamento globale
vada affrontato introducendo politiche che metterebbero a repentaglio la
nostra prosperità o crescita economica». Ebbene, il protocollo
di Kyoto significherebbe la perdita di quasi cinque milioni di posti di
lavoro e la distruzione di centinaia di miliardi di Pil americano.
I suoi sostenitori affermano però che Kyoto
sia un primo passo indispensabile contro l'effetto serra…
In verità Kyoto non poggia su un terreno scientifico. Questa è
una conclusione a cui sono arrivati indipendentemente scienziati, economisti
e politici. Il 6 luglio, giorno di apertura del G8, la Camera dei Lord di
Londra ha rigettato Kyoto e ha espresso serie preoccupazioni in merito alla
credibilità scientifica dell'Intergovernmental Panel on Climate Change.
Rammenta il famoso grafico noto come “mazza da hockey”, elaborato da Michael
Mann, che mostra come le temperature globali siano schizzate verso l'alto
nel Ventesimo secolo, raggiungendo livelli mai visti? Esso è alla
base delle conclusioni del Third Assessment Report. Ebbene, quel grafico
è stato giudicato inaffidabile a causa degli errori matematici e
dell'uso di metodologie improprie nella sua costruzione. La “mazza da hockey”
pretendeva di evidenziare una relazione tra le emissioni antropogeniche
e la crescita delle temperature. È sbagliata.
Non sembrano pensarla così le Accademie delle
Scienze di 11 paesi, tra cui gli Usa, che hanno confezionato un documento
comune sui rischi del global warming.
Quello non è altro che un documento politico: lo confermano i commenti
contro il presidente Bush di Lord May, presidente della Royal Society. Pensi
che dopo la sua diffusione, la National Academy of Sciences ha scritto al
mio collega senatore Craig dell'Idaho prendendo le distanze dal comunicato
stampa della Royal Society e garantendo di non condividere la visione di
Lord May.
Gli ambientalisti vi accusano di mettere l'economia
davanti all'ecologia. È così?
Sarebbe una tragedia se anche un solo posto di lavoro americano andasse
perso a causa di un approccio antiscientifico. Il cambiamento climatico
è diventato una religione per gli estremisti ambientalisti di sinistra,
e un'arma politica nelle loro mani contro i Repubblicani. Ovviamente la
salute e la stabilità della nostra economia devono rientrare nell'equazione
ambientale. Le soluzioni migliori a un'ampia gamma di sfide ambientali stanno
nell'innovazione e nel progresso tecnologico che derivano da un'economia
abbastanza forte. Sarà un caso se alcune delle nazioni più
povere del mondo sono anche caratterizzate da livelli bassissimi di qualità
ambientale? In questo senso, non c'è alcun trade-off tra ecologia
ed economia. Per esempio, un emendamento alla nostra legislazione sull'energia
presentato dal senatore Hagel poggia su un approccio ragionevole che punta
a rispondere all'effetto serra senza danneggiare l'economia. Questo è
il miglior approccio, anche perché ci consente di impegnare più
risorse, se lo riteniamo utile, man mano che apprendiamo più cose,
se lo riteniamo utile.
A dispetto dell'opposizione americana, l'Unione Europea
tira dritto per la sua strada. Qualcuno vi accusa di fare free riding sugli
sforzi dell'Ue di ridurre l'inquinamento: come risponde?
Be', prima di tutto ricordando che l'anidride carbonica non è un
inquinante. Noi siamo contrari a qualunque tetto vincolante alle emissioni
di anidride carbonica: lo ha ribadito pochi mesi fa il Senato con una schiacciante
maggioranza di 60 voti. Per quel che riguarda l'inquinamento propriamente
detto, il mio collega senatore Voinovich dell'Ohio ed io abbiamo appoggiato
una legge sull'inquinamento dell'aria proposta dal presidente Bush, che
ridurrà le emissioni delle centrali elettriche del 70 per cento (in
particolare, l'anidride solforosa che contribuisce alle piogge acide, gli
ossidi di azoto che contribuiscono allo smog, e il mercurio). Si tratta
del più forte attacco mai sferrato all'inquinamento atmosferico da
un presidente americano. Quindi qui non c'è alcun tentativo di fare
free riding. In realtà, gli Stati Uniti sono il primo paese a regolamentare
le emissioni di mercurio delle centrali elettriche, sebbene quelle americane
siano responsabili di appena l'1 per cento delle emissioni globali di tale
sostanza.
Il ministro Altero Matteoli ha detto che un “Kyoto
2” è impensabile senza una partecipazione globale. Voi stessi avete
lanciato una partnership con altri paesi asiatici e del Pacifico. Dove sta
allora l'oggetto del contendere con l'Ue?
Noi non accetteremo mai limiti vincolanti alle emissioni di anidride carbonica;
inoltre qualunque accordo che escluda i paesi in via di sviluppo è
fuori discussione. Non dimentichiamo che anni fa il Senato ha votato all'unanimità,
per 95 a zero, contro lo “stile Kyoto”, ma l'amministrazione Clinton ha
comunque firmato il trattato. Ciò nonostante, sebbene lo si ricordi
raramente, il presidente Clinton non ha mai inviato il protocollo al Senato
per la ratifica, sapendo che non sarebbe passata. L'amministrazione Bush,
peraltro, ha già avviato forme di collaborazione con l'Europa e i
paesi in via di sviluppo per ridurre i gas serra e rafforzare le infrastrutture
energetiche. Siamo infatti interessati e disponibili al confronto su qualunque
accordo basato sullo sviluppo e l'innovazione tecnologica, come alternativa
concreta a un approccio punitivo che potrebbe ostacolare la crescita economica:
specialmente quando la scienza non ne dimostra la necessità.
L'Europa ha comunque creato un mercato delle quote
di emissione. Ritiene che sia una strada percorribile?
L'esperienza dimostra che i sistemi di quote scambiabili sono il metodo
più efficace contro l'inquinamento. Lo conferma il successo del nostro
programma contro le piogge acide, che poi è alla base dell'iniziativa
del presidente cui prima ho fatto cenno. Il biossido di zolfo è stato
ridotto addirittura più velocemente di quanto richiesto dalla legge,
virtualmente senza arrivare nei tribunali o causare un aumento dei prezzi
dell'energia. Ma un tetto vincolante alle emissioni di anidride carbonica
non può funzionare perché il suo impatto economico e i conseguenti
aumenti dei prezzi dell'energia sarebbero insostenibili. Negli Usa le centrali
elettriche sarebbero costrette a cambiare combustibile, passando dal carbone
(di cui abbiamo ampie riserve sul suolo nazionale) al più costoso
gas naturale, e ciò porterebbe a una massiccia delocalizzazione delle
imprese americane. Del resto, l'ex commissario europeo all'Ambiente, e oggi
vicepresidente della Commissione, Margot Wallström, ha detto apertamente
che il protocollo di Kyoto serve a «creare condizioni uniformi per
le grandi imprese ovunque nel mondo». Questo sarebbe fortemente negativo
per l'economia americana. D'altro canto, un'economia forte rende possibili
gli investimenti nella cura ambientale per migliorare la qualità
dell'aria e dell'acqua, e lo stato di salute del nostro territorio.
James Inhofe, presidente della Commissione Ambiente
e Lavori Pubblici del Senato americano.
(c)
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