Florida, la Caporetto di Rudolph Giuliani
di Alessandro Marrone
[30 gen 08]
La Florida ha
probabilmente segnato una svolta nel campo repubblicano, indicando due
sconfitti certi ed un vincitore probabile nella corsa alla nomination
presidenziale. Nello “Stato del sole”, cerniera tra la East Coast ed il
profondo Sud degli Stati Uniti, John McCain ha vinto con il 36 per cento dei
voti, lasciando Mitt Romney al 31, e doppiando Rudolph Giuliani fermo al 15
per cento e seguito da vicino da Mike Huckabee con il suo 14 per cento. In
Florida hanno votato anche i democratici, ma lo Stato non manderà i delegati
eletti alla convention nazionale perché è stato punito dai vertici del
partito per aver anticipato l’appuntamento elettorale rispetto al calendario
prefissato. I candidati democratici non hanno perciò fatto campagna
elettorale in Florida, ma nello Stato di Miami hanno votato comunque un
milione e mezzo di loro elettori e Clinton ha ottenuto il 55 per cento dei
consensi contro il 33 di Obama. Si tratta certo di un segnale positivo per
Hillary, che tuttavia è bilanciato da un altro segnale preoccupante per la
sua candidatura. La senatrice di New York, a differenza del suo rivale
dell’Illinois, sta cercando ora di far revocare la decisione presa dal
partito e far ammettere i delegati della Florida (e del Michigan, dove si è
verificato lo stesso meccanismo) alla convention nazionale. Ciò testimonia
come Clinton presagisca che chiunque tra lei e Obama vincerà il grande
appuntamento del 5 febbraio, con 20 stati chiamati al voto, lo farà
probabilmente di misura e saranno quindi i delegati di una convention
spaccata a decidere chi candidare alla Casa Bianca. In questa situazione,
che non si verificava da decenni, in cui manca una schiacciante indicazione
popolare del candidato, ogni singolo delegato può essere decisivo nella
conta finale.
Nel campo repubblicano il primo degli sconfitti in queste
primarie è di certo Giuliani. La sua azzardata strategia di
puntare tutto sulla Florida trascurando completamente gli
appuntamenti elettorali in Iowa, New Hampshire, Michigan,
Nevada e South Carolina si è rivelata doppiamente
fallimentare: da un lato perché l’ex sindaco di New York ha
abbandonato Stati nei quali alla fine del 2007 era in testa
nei sondaggi, come Michigan e New Hampshire, dall’altro
perché investire tutte le sue risorse economiche ed il suo
tempo solo in Florida non è bastato a farlo arrivare neanche
secondo. Tale strategia lo ha inoltre portato di fatto a
scomparire dal dibattito pubblico nazionale che, ovviamente,
è ruotato tutto intorno agli appuntamenti elettorali in
calendario e a cosa dicevano i candidati impegnati in questo
o quello Stato. Ma il clamoroso fallimento di Giuliani, che
si è rivelato essere più popolare tra i commentatori europei
che tra i suoi connazionali americani, è davvero
addebitabile solo ad un errore di strategia? La ragione di
fondo è probabilmente un’altra, che riguarda tanto Giuliani
quanto McCain quanto le sorti del partito repubblicano in
queste elezioni: la sintesi tra la destra religiosa ed il
centro moderato del partito sui temi etici, e tra l’ala
liberista e quella non ostile a una certa tassazione sul
piano economico. Giuliani, il candidato più lontano delle
posizioni della destra religiosa per storia personale e
proposta politica, ha rinunciato di fatto a convincere
questa parte degli elettori repubblicani snobbando il
MidWest ed il Sud, per arroccarsi nella costa est raccolta
attorno a New York.
McCain ha scelto invece di combattere questa battaglia
politica in quasi tutti gli Stati chiamati al voto, perdendo
di misura (Michigan) o vincendo per pochi punti (South
Carolina) ma in ogni caso battendosi per conquistare
politicamente il segmento di elettorato diffidente nei suoi
confronti. Molti commentatori davano McCain per spacciato
già dopo la vittoria di Huckabee nel primo round in Iowa, ma
il reduce del Vietnam ha tenuto duro ed il suo coraggioso
gettarsi nella mischia ha probabilmente riscosso la simpatia
di un popolo poco incline ai bizantinismi e ai calcoli
politici, e più portato alla competizione dura e a viso
aperto. Inoltre McCain nella sua sorprendente rimonta ha
potuto contare sul voto determinante in alcuni Stati degli
elettori indipendenti e sul sostegno di gran parte della
stampa locale e nazionale che ha indicato nelle sue
posizioni le uniche capaci di battere al centro candidati
come Clinton e Obama. McCain ha anche avuto la fortuna di
poter contare sulla divisione della destra del partito tra
Huckabee e Romney, che ha danneggiato entrambi i candidati:
il primo, svantaggiato anche dalla scarsezza dei suoi fondi
elettorali, è ormai praticamene fuori dalla corsa, mentre il
secondo, che può contare sull’appoggio più o meno esplicito
di gran parte dell’establishment raccolto attorno alla
famiglia Bush, ha ancora qualche possibilità di vincere. A
McCain potrebbe giovare un possibile ritiro di Giuliani, che
secondo alcune indiscrezioni potrebbe addirittura schierarsi
apertamente a suo favore consegnandogli di fatto la
rappresentanza dell’intera area “centrista” del partito, ed
un seguito personale che potrebbe rivelarsi decisivo per
vincere in Stati come New York, New Jersey e Connecticut.
Stesso vantaggio non sembra profilarsi per Romney, visto che
Huckabee non mostra nessuna intenzione di abbandonare la sua
candidatura di bandiera. L’ex governatore del Massachusetts
può contare però su circa il doppio dei fondi elettorali di
McCain, anche se occorre vedere quanto l’effetto
galvanizzante innescato da due vittorie “pesanti” come South
Carolina e Florida indirizzerà il nuovo flusso di
finanziamenti verso quello che è oggi considerato da molti
il front runner repubblicano.
Il redde rationem nel Grand Old Party è fissato per il
“super martedì” del 5 febbraio, ed ora la competizione si
sposta dalle singole issues statali a temi di carattere
veramente generale. Ciò da un lato potrebbe favorire McCain,
che ha cercato di costruirsi un profilo di leader nazionale
anche scontrandosi con gli interessi localistici: in Florida
ha vinto nonostante abbia dichiarato apertamente che non
avrebbe dato un sussidio pubblico generalizzato per i danni
provocati dall’uragano Kathrina, ed in Michigan aveva detto
agli operai dell’industria automobilistica di Detroit che “i
loro lavori erano andati” e dovevano riqualificarsi per
trovare un’occupazione. Dall’altro lato potrebbe
danneggiarlo se il dibattito si spostasse troppo, alla luce
anche degli spettri di recessione, sull’economia, campo nel
quale Romney può contare sul suo appeal di top manager e
attaccare McCain per la sua posizione non ostile ad un certo
livello di tassazione. Ma al di là dei singoli temi, la
posta in gioco ora è l’unità tra le diverse anime del Grand
Old Party, e non a caso la prima dichiarazione di McCain
dopo la vittoria è stata la seguente: “Questo dimostra una
cosa: io sono un leader conservatore che può unire il
partito”. Affermazione supportata dal fatto che le primarie
vinte in Florida erano chiuse agli indipendenti, e che hanno
visto una affluenza al voto degli elettori repubblicani
doppia rispetto a quella del 2000. Come ha detto un ex
consigliere di Bush non certo vicino all’ex governatore
dell’Arizona, “gli astri sembrano allinearsi a favore di
McCain”. Adesso occorrerà vedere se l’oroscopo questa volta
sarà confermato.
(c)
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